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February 28, 2019

Il design è più bello se è social:
intervista a Claudio Larcher

Maria Quinz

Claudio Larcher, Direttore del Bachelor di Design presso NABA, Accademia di Belle Arti di Milano, ha sempre intessuto legami e connessioni con il nostro territorio. Dalla docenza di design di prodotto per dieci anni (dal 2006 al 2016) alla LUB di Bolzano, ai numerosi progetti con gli studenti e le realtà produttive locali, fino all’attuale collaborazione con il Kunst Merano/Merano Arte per una mostra in cantiere per ottobre, di cui siamo felicissimi di ricevere notizia in anteprima. Scopro che Claudio è anche originario di Trento e che da quelle parti si sente a casa. 

Ci incontriamo a NABA, in una bella giornata di sole. Intorno all’accademia, ma non solo, si snodano i tanti progetti di Claudio, che nel 2002 ha anche fondato, assieme a Flavio Mazzone, lo studio di design e progettazione Modoloco. Gli brillano gli occhi quando parla dei suoi studenti e della fucina creativa e pulsante di idee che è NABA. Mi dice che gestisce circa 400 persone tra studenti e docenti e molteplici sono i temi e le realtà di interesse del suo lavoro. C’è di che confondersi…penso io. Fare il professionista e l’insegnante sono due cose che per lui si completano a vicenda. Mi dice quanto lavorare con i giovani sia stimolante e nel farlo cita le parole del grande architetto Frank Lloyd Wright: “stare con i giovani ti insegna molto e questo perché fanno domande a cui non puoi non rispondere. Devi dare risposte, devi dimostrare qualcosa e questo fa del bene anche a te, altrimenti andresti dritto per la tua strada, senza rinnovarti”. 

03 Lampada Odaiba, Danese Milano

Che progetto espositivo hai in cantiere al Kunst Merano/Merano Arte?

Sto lavorando alla prima mostra sul design della zona Trentino – Alto Adige –Tirolo, che inaugurerà a ottobre. È la prima volta che viene sviluppata una ricerca così approfondita a scopo espositivo, su ciò che è stato realizzato negli ultimi cento anni (1919-2019) come design di prodotto, in un territorio così particolare e connotato come è il vostro. Nel team di progetto ci sono Ursula Schnitzer, storica/studiosa di Kunst Meran/Merano Arte e Massimo Martignoni, storico dell’arte e del design di Trento, anche lui docente presso NABA. Io mi sto occupando maggiormente della parte progettuale e contemporanea mentre loro si occupano della parte di ricerca storico/teorica.

Ci racconti qualcosa in più sul progetto?

Innanzitutto è un progetto che mi piace particolarmente perché è un modo per tenermi legato al territorio. Mio padre è di Trento e abbiamo ancora casa qui. Il fatto che abbia insegnato dieci anni a Bolzano è stato tuttavia un caso fortuito e inatteso, nel senso che ho vinto il concorso per quello che facevo allora con lo studio. In ogni caso, mi piace poter contare su una prospettiva particolare di vicinanza, ma anche di distanza, vivendo io a Milano, su ciò che è stato realizzato a livello di design in questi luoghi a me familiari. La nostra ricerca si è indirizzata su ciò che questa realtà ha espresso sia per quanto riguarda le aziende e l’artigianato locale, nella sua maggiore espressione qualitativa, ma anche verso il design “in altezza”. Perché, attingendo a un territorio prevalentemente montuoso, ci sembrava interessante raccontare anche il design di montagna, legato alla morfologia dei luoghi. Ci saranno proprio delle sezioni espositive divise “in altezza” più che in ordine cronologico, per dare risalto alla diversità degli ambienti. La mostra si chiamerà Design from the Alps.

08 Ferro 3, coffe table, Sphaus

È da molto che ci state lavorando?

Abbiamo già un anno di lavoro alle spalle. E posso dire che abbiamo scoperto molte cose interessanti e inaspettate, che non immaginavamo. Produzioni incredibili come la Capronidi Trento che costruiva aerei, per esempio. Oppure pezzi rari di motociclette d’epoca. Il signor Abarth, pilota e fondatore della Abarth & C. era originario di Merano. Ci sono molti oggetti interessanti che man mano verranno fuori. Abbiamo poi in un certo modo coinvolto nel lavoro anche i giovani: gli studenti dell’Università di Bolzano per la parte grafica e gli studenti di NABA per la parte espositiva della mostra. Ci piaceva l’idea di avere un gruppo con una visione trasversale un po’ diversa da quella delle solite mostre. 

Ci saranno designer contemporanei coinvolti?

Coinvolgeremo il design contemporaneo soprattutto attraverso le aziende. Realtà come PlankZuegg, per fare degli esempi. Siamo andati a riscoprire anche prodotti iconici come il “fruttino” della Zuegg, che ha fatto storia negli anni Sessanta. Oppure aziende di giocattoli in legno di Ortisei. Ci sono tutta una serie di cose di grandissima qualità che abbiamo riscoperto, per arrivare naturalmente a mostrare anche i prodotti di designer conosciuti come Matteo Thun, Martino Gamper, o Harry Thaler. Ma non mancheranno anche alcuni lavori usciti dall’Università di Bolzano o i grandi maestri, come Ettore Sotzass, di origini trentine.

 E questo in mezzo ai tanti progetti con gli studenti… Ce ne racconti qualcuno?

Ho diversi lavori in fieri, in programmazione per il Fuori Salone, ma non solo. Sia per parte mia, con Modoloco, che per NABA. I progetti con gli studenti sono l’energia alla base del lavoro che faccio. Stiamo portando avanti un progetto finanziato dall’Unione Europea con una associazione da tempo attiva presso alcune comunità Masai che si trovano in villaggi in mezzo al nulla, a nord della Tanzania. Abbiamo organizzato dei workshop con le donne del luogo che già avevano avviato una conceria naturale. L’attività guidata dall’associazione era già strutturata, tuttavia produceva pelli senza sapere effettivamente cosa farne. Con gli studenti abbiamo creato per loro piccoli oggetti e souvenir. Sono ora in produzione e in vendita direttamente sul posto per i turisti, poiché è zona di safari o attraverso altri sistemi di vendita internazionali consolidati, come Altromercato. Siamo stati lì dieci giorni con i ragazzi e abbiamo insegnato alle donne come creare gli oggetti. Il progetto sta andando avanti molto bene. Abbiamo in corso un’iniziativa simile anche in Ruanda dove stiamo realizzando dei prodotti che verranno venduti sul mercato milanese. Negli anni passati, sempre per lavori affini, siamo stati a Haiti e a Santo Domingo. 

06 Terra, progetti degli studenti di Naba in Tanzania

Qual è l’aspetto più interessante per gli studenti di queste esperienze?

 

Credo che il design utile allo sviluppo di sistemi preesistenti offra molte possibilità di crescita. È una parte meno conosciuta del design, forse poco valorizzata ma ad oggi può dare molto ai giovani in termini di esperienza e arricchimento personale. È fondamentale che sperimentino dal vivo e con mano, quanto il design possa essere socialmente utile e ramificato. Non si progettano solo oggetti ma strategie di service per esempio, insieme ad altri specialisti, dal sociologo all’economista, magari per sostenere altre comunità o realtà ai margini. Si possono valorizzare conoscenze tecniche artigianali che rischiano di scomparire come anche materiali dimenticati. Oppure scoprire una prospettiva diversa su ciò che è vicino a noi. Sempre con NABA abbiamo sviluppato un progetto per le case popolari MM (Metropolitana Milanese) che a Milano e dintorni ospitano fino a 30.000 persone. Una città nella città, se vogliamo. Abbiamo realizzato una rivista stampata in 35.000 copie gratuite per la gente delle case e presentato anche il progetto alla Triennale, nell’ambito della mostra curata da Stefano Mirti, 999 domande sull’abitare contemporaneo (2018). Gli studenti sono andati in giro a raccogliere informazioni, notizie, fotografie nelle case popolari e sono stati coinvolti altri docenti per scrivere gli articoli. Anche questo fa parte del design: lavorare con le storie, con il quartiere e la città a livello sociale. 

Un design radicato quindi il più possibile nella realtà quotidiana?

Direi proprio di sì. Anche adesso, non con NABA, ma assieme ad altri designer che abitano tutti in zona Città studi/Lambrate stiamo organizzando un evento per il Fuori Salone sul nostro quartiere. Nasce dalla domanda: come il designer può aiutare il quartiere in cui vive? Stiamo lavorando a una serie di piccoli progetti di intervento e servizio alla comunità, con il patrocinio del Comune di Milano. Il designer non può essere “il creativo alieno” che si chiude nel suo studio a osservare cosa fanno gli altri designer e progettare per trovare l’approvazione di altri designer, ma deve uscire fuori e creare reti di relazioni su molteplici fronti di azione. È un’opportunità incredibile di lavoro per i giovani. Non l’ho certo inventata io. Se vai alla Design Accademy di Eindhoven esiste già il corso di Social Design. Non basta saper disegnare una bella sedia. Di sedie ne abbiamo viste abbastanza. Dalle università escono 3000 giovani designer all’anno capaci di progettarne di bellissime con il colore del momento. Bisogna invece far capire ai giovani che oggi il design sono tantissime altre cose: dal food design, al service design, dal social design ai makers, ma non solo. Ci vuole un approccio a 360 gradi sulla realtà. A me piace cambiare il tema di ricerca ogni volta. 

04 Workshop in Mexico con gli studenti di Naba

Cosa vorresti dire ai giovani, per concludere?

Una volta ho sentito pronunciare una frase dal direttore di Elisava, scuola di design a Barcellona, che suona più o meno così: “il design non è il medico che salva il mondo ma è come una canzone di Bob Dylan, ti da 5 minuti di felicità”. La responsabilità del designer è migliorare l’habitat in cui viviamo. È dare quel qualcosa in più. Bisogna metterci passione, curiosità, molteplicità di interessi e soprattutto creare connessioni. A NABA arrivano studenti da tutto il mondo. È importante che i giovani si guardino attorno, che facciano rete e che si pongano domande. Milano offre moltissimo, tra mostre, architettura, eventi, stimoli. È la crescita culturale quello che devono perseguire. I nostri non sono studi di avviamento al lavoro e la tecnica con un po’ di impegno si impara. Più contenuto i giovani mettono in ciò che fanno, più nuove sinergie e opportunità di lavoro possono generare.

 

Foto: (1) Claudio Larcher; (2) Lampada Odaiba, Danese Milano; (3) Ferro 3, coffe table, Sphaus; (4) Terra, progetti degli studenti di Naba in Tanzania; (5) Workshop in Mexico con gli studenti di Naba

 

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