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December 3, 2018

Interior(- e) nomade:
intervista a Christian Pizzinini

Maria Quinz

 Incontro Christian Pizzinini nella sua casa studio di Milano in un monumentale palazzo ottocentesco. Abbandono il rumorio della via indaffarata – oggi è giorno di mercato, proprio qui davanti – e attraversando un imponente portone, raggiungo l’androne dell’edificio. La bellezza d’antan è così avviluppante, che evito di prendere l’ascensore, per meglio ammirare l’ampia spirale delle scale e la sequenza di porte dal fascino segreto. Altrettanto sorprendente è l’appartamento di Christian, dove mi accoglie con grande calore, eleganza, curiosità e i sorridenti cristalli blu dei suoi occhi. 

Christian dirige un’agenzia di comunicazione assieme ad Antonio Scolari (Pizzinini/Scolari Comunicazione), partner professionale, di vita e di viaggi, con cui condivide sogni e passioni soprattutto per l’interior, il design, l’arte e le cose belle tout court. La loro agenzia si occupa di turismo di alta fascia, grandi eventi, wellness, cultura, enogastronomia e hotel di lusso, con clienti provenienti soprattutto dal Nord Italia, Austria e dal territorio altoatesino, come l’Alta Badia, terra di origine di Christian. 

Nell’appartamento/studio di Christian e Antonio, convivono sorprendenti e armonici abbinamenti tra estrosa contemporaneità e sontuosità dell’involucro ottocentesco: si percepisce anche come ogni mobile o oggetto sia stato scelto e posizionato con estrema cura. Nonostante ciò, Christian mi racconta che si sente qui, come un po’ ovunque, di passaggio. Che ama circondarsi di cose belle ma aspira anche a una vita “nomade”, libera da radici, senza attaccamento ai luoghi e agli oggetti. Mi racconta che fin da ragazzino era affascinato dagli hotel, luoghi spesso affascinanti, pullulanti di vita, ma di perenne transito. Un “nomadismo” il suo, vissuto come un privilegio legato alla professione, ma anche come dimensione esistenziale: una vita sempre in movimento, alla costante ricerca di sé e di un altrove da scoprire, in costante tensione tra l’abbandonare e il ritrovare, tra il partire e il restare.

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Christian, quando hai deciso di partire e lasciare la Val Badia? 
In passato ero innamoratissimo del mio lavoro e della mia terra e non sarei mai andato via. Sono originario di La Villa e per circa 20 anni ho gestito l’ufficio stampa dell’Alta Badia. Noi ladini siamo molto radicati sul nostro territorio… L’Alta Badia è stata la mia palestra professionale. Posso dire che nel mio lavoro ho dato il massimo in quegli anni e ho avviato forse il primo ufficio stampa a livello di consorzio turistico in Alto Adige. Avevo carta bianca perché nessuno capiva più di tanto il mio lavoro e ho potuto raggiungere e accogliere la stampa e i mass media internazionali, anche grazie a ottimi collaboratori. La Val Badia, che in passato era meno conosciuta e frequentata, per esempio rispetto alla Val Gardena o a località come Cortina è cresciuta negli anni, diventando una meta turistica di eccellenza, con hotel pluri-stellati. Sono partito dalla mia valle a testa alta, senza rammarichi e spero di aver lasciato un segno. A un certo punto la mia pancia mi ha detto di andare via, di cambiare vita. Era un cordone ombelicale molto importante, che ho dovuto tagliare. A 33 anni… era il momento perfetto per partire.

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Dove sei approdato?
Inizialmente a Brescia, seguendo Antonio, dove insieme abbiamo avviato la nostra attività di ufficio stampa e comunicazione. Antonio è la parte creativa del nostro sodalizio, io preferisco occuparmi della comunicazione pura. Il nostro è un lavoro che ci appassiona molto e che ci dà il privilegio di viaggiare ed essere più o meno “nomadi”, liberi da rigidi vincoli logistici. Abbiamo la fortuna di poter vivere quasi ovunque: computer e telefono alla mano possiamo lavorare dove vogliamo. I nostri collaboratori lavorano tutti dalle loro postazioni e quindi non abbiamo strutture fisse, come un ufficio. L’organizzazione del lavoro è molto snella, cosa che ci ha permesso di stare in posti belli che amiamo, dove la creatività viene nutrita e stimolata e possiamo coltivare i nostri sogni legati al design e alla passione per le case. La vita da questo punto di vista è stata molto generosa con noi. 

Quali sono stati i tuoi successivi luoghi d’elezione?
Inizialmente ho vissuto tra la Val Badia e Brescia, dove poi mi sono trasferito e almeno una settimana al mese, abbiamo vissuto con Antonio nella nostra casa di Parigi. Il pied a terre parigino è stato il nostro primo progetto immobiliare. Poi d’un tratto ci è venuta voglia di sole e climi caldi e tramite un amico che viveva in Puglia siamo arrivati là e abbiamo iniziato il nostro pellegrinaggio verso il Sud Italia. Abbiamo comprato e arredato una casa che è stata subito pubblicata. Abbiamo abitato lì soltanto 12 giorni, poi è arrivato qualcuno che la voleva e l’abbiamo venduta. Sono quei grandi amori che, anche se li hai costruiti pezzo per pezzo per te stesso, in un dato momento capisci che puoi lasciar andare e cedere ad altri.

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Cosa cerchi in un luogo? 
Lavorando con hotel e ristoranti stellati, eventi e situazioni spesso patinate, direi, anche un po’ surreali, cerco luoghi dove si possa respirare più autenticità. Che poi credo sia ciò a cui tutti aspiriamo e che ricerchiamo nella vita. Adesso abitiamo la nostra terza casa in Puglia, a Galatina, almeno due, tre mesi all’anno. Galatina è una delle città pugliesi più barocche e nascoste, ancora intatta. Ancora molto cruda, autentica e poco turistica. Lì abbiamo iniziato a creare degli eventi e rassegne dedicati alla creatività, al design e all’arte. In futuro può darsi che ci sposteremo ancora, magari verso altre destinazioni, come Palermo che ci piace molto. Palermo è una città affascinante e bellissima, ancora in una dimensione “tosta”. Mi piacciono le situazioni di contrasto, non troppo comode e non troppo arrivate.

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E in una casa, cosa ti affascina?
Prediligo i luoghi che sappiano raccontare storie, densi di passato. Questa casa per esempio, era già bella di suo, con pavimenti vissuti di fine Ottocento, stucchi e vecchi infissi alle finestre. C’è voluto molto poco per renderla di nuovo viva. È “una vecchia signora” che non abbiamo voluto stravolgere, inserendo pezzi d’arte contemporanea e design che sono la nostra passione. A Brescia abbiamo vissuto in una casa del Settecento “carica di storie”: era lo studio di un pittore, interamente affrescato, con vista sul tempio romano e finestre alte tre metri. Uno spazio piccolo con poche comodità ma bellissimo a livello estetico: era come vivere in un teatro. Penso sia un po’ questo il segreto nelle case: non devi stravolgerle troppo perché sono già belle di loro. Basta seguirle… Noi possiamo inserire degli oggetti, che – quando usciremo e cederemo la casa ad altri – vogliamo poter togliere agilmente. Dopodiché la casa potrà rivivere di nuovo com’era, facendo la felicità di chi arriverà dopo di noi.

Come racconteresti il vostro “progetto nomade”?
Siamo solo agli inizi, il progetto è ancora in fase embrionale. È un po’ il nostro sogno, mio e di Antonio, che in futuro potrebbe legare insieme una serie di nostre altre passioni e idee legate al design, all’arte e all’interior. Vorremmo dare forma a situazioni ed eventi fruibili da altri, coinvolgendo realtà diverse. Per esempio ora a Milano stiamo ristrutturando un luogo che potrebbe diventare una piccola galleria, un hub legato al palazzo di Galatina. Dobbiamo capire in che direzione andare, però sicuramente continueremo a fare progetti che non siano troppo specifici, che possano essere ancora più trasversali. E questo anche per una questione di comunicazione, mondo che posso dire, conosciamo molto bene. Capiamo subito quello che la stampa vuole. Se sei troppo di nicchia, troppo design, troppo arte o moda ti precludi tutta un’altra fetta di fruitori. Per muoversi nel mondo life-style, bisogna saper creare situazioni che possano attirare su più fronti, diverse dal comune. Organizzare un evento in Puglia ad agosto, come abbiamo fatto con Hotel Nomade è stata un’idea riuscitissima. È il periodo perfetto per far scrivere i giornalisti: nel luogo di vacanza la gente ha tempo, ha voglia di venire e vivere un’esperienza diversa. 

Cos’è, esattamente, Hotel Nomade?
Hotel Nomade 
è una rassegna di arte e design a cui abbiamo dato vita nel mese di agosto nella nostra casa a Palazzo dell’Elefante, insieme a 12 artisti provenienti dal mondo della moda, del design, dell’interior e dell’architettura. Tutti creativi che sono in qualche modo già noti a una nicchia ma non dei nomi ovvi. Tra questi, gli architetti e designer Hannes Peer (altoatesino ndr), Giuliano Andrea dell’Uva, i fashion designer Erika Cavallini Christian Pellizzari. A livello di stampa abbiamo avuto quasi 100 articoli. È arrivato il mondo a trovarci. Le opere convivevano in sinergia con i nostri pezzi, già presenti nella casa. È stato entusiasmante. Non devi ricercare ovunque persone che condividano qualcosa con te, perché se comunichi bene le cose e dai il tuo meglio, ti trovano loro. In Puglia passa il mondo intero, tra luglio e agosto. Persone che in passato erano miti inavvicinabili, ci sono capitati in casa, perché volevano vedere quello che facevamo. La formula della vita è forse questa per me, seminare per poi raccogliere. 

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Quando è nata la tua passione per il design e l’arte contemporanea?
La fascinazione è nata già ai tempi della Val Badia, anche se le mie conoscenze le ho consolidate soprattutto negli anni vissuti a Brescia. Lì io e Antonio siamo diventati amici di un gallerista che si chiama Luciano Collantonio che ci ha dato un’infarinatura sulla storia del design e tramite lui ci siamo appassionati ai maestri degli anni Quaranta, Cinquanta e Sessanta, come Gio Ponti, Oscar Torlasco, Ico Parisi. Un altro amico gallerista e vicino di casa, Massimo Minnini, ci ha fatto scoprire artisti contemporanei, come Anish Kapoor e Sol LeWitt. Personalmente non ho alle spalle studi di design o arte ma ho sempre provato curiosità verso i maestri come Ettore Sottsass, che ha origini di La Villa, o anche Gilbert, del grande duo di artisti Gilbert e George, anche lui originario della Val Badia. Cercavo di ispirarmi a personaggi che avessero delle connessioni con la mia terra, perché conoscevo solo quella. Nel mondo tirolese, ladino, il design c’era molto poco. Esisteva l’artigianato artistico e poco altro. Sapere che personalità così forti erano partite da lì, è stato stimolante per me. Devo dire che ho avuto poi anche la fortuna di conoscere personalmente Ettore Sottsass. 

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Come è stato l’incontro con un mito come Ettore Sottsass?
È stato molto importante. Volevo conoscerlo e sono riuscito a contattarlo. Mi ha accolto nel suo studio di Milano, dove ha condiviso con me la sua passione per le Dolomiti e il legame con i luoghi d’origine. In qualche modo mi ha anche incoraggiato, dicendomi: “noi siamo montanari, ma possiamo farci vedere dappertutto. Siamo montanari ma con orgoglio e tu devi mostrarti per quello che sei”. Io allora ero una persona a tratti timida, sentivo di provenire da una realtà ristretta, dagli orizzonti limitati. Quando venivo a Milano i primi tempi e giravo per le redazioni mi sentivo come Heidi che scende dai monti… Invece l’incontro con persone come Sottssas, mi ha dato molta carica. Ho imparato a essere me stesso, faccio quello che mi sento di fare e credo che questo sia forse il vero successo nella vita. Ti devi rappresentare, sempre, per quello che sei.

 

Crediti fotografici:

immagine 1: Christian Pizzinini, foto Piergiorgio Pirrone
immagine 2: Antonio Lodovico Scolari e Christian Pizzinini, foto Piergiorgio Pirrone
immagine 3: Casa/studio Pizzinini Scolari. A sinistra, tappeto e tavolini di PROGETTO NOMADE, lampadario Gio Ponti,  divano Vincenzo De Cotiis per Baxter, alla parete opere di Mandla Reuter e Landon Metz, poltrona di Gio Ponti e piantana di Oscar Torlasco. A destra  tavolo di Carlo Scarpa, totems di Ettore Sottsass,  sedute Medea, opera d’arte concettuale di Raffaele Quida, lampade Venini, foto di Max Zambelli
immagine 4: Terrazzo di Palazzo dell’Elefante della Torre a Galatina, foto Daniele Notaro
immagine 5: Salone di Palazzo dell’Elefante della Torre con opera di Eduard Habicher,  foto Daniele Notaro
immagine 6: Progetto HOTEL NOMADE – Objects 2018. Consolle Butterfly  di Hannes Peer), opera al muro di PROGETTO NOMADE, scultura nera di Giovanni Lamorgese, foto Daniele Notaro
immagine 7: Interni di Palazzo dell’Elefante della Torre, foto Daniele Notaro

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