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November 22, 2018

Dimentica di respirare:
nelle profondità dell’esistenza

Mauro Sperandio
Un'intervista con la scrittrice Kareen De Martin Pinter per scoprire il suo ultimo libro, Dimentica di respirare

Dopo aver debuttato con L’animo leggero (Mondadori 2013) la bolzanina Kareen De Martin Pinter ha recentemente pubblicato Dimentica di respirare, edito da tunuè. Del libro, che ha a che fare anche con il nobile sport dell’apnea, mi ha colpito la capacità di catturare l’attenzione di chi legge, trascinandolo nelle profondità delle implicazioni che la storia suscita. La prosa asciutta, che non si spende in lunghe descrizioni e digressioni, narra la vicenda esistenziale di Giuliano, apneista di successo che vive con il peso di un luttuoso episodio risalente alla sua adolescenza. Una diagnosi senza speranza lo porterà a confrontarsi con le inquiete profondità della vita, invitandolo ad un’ultima immersione.
Di questo libro, che senza ironia “si legge tutto d’un fiato”, parliamo con l’autrice.
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Pur nata tra le montagne, nel tuo Dimentica di respirare l’ambientazione marina è trattata con grande dimestichezza. Quale attrattiva esercita su di te il mare?
       
Galeotto fu il libro, direi. Infatti all’origine della mia meraviglia per il mare, le specie marine e gli apneisti c’è l’opera L’uomo delfino di Jacques Mayol. Non ricordo come arrivò in casa mia, ma ricordo bene che qualche tempo dopo aver finito una delle ultime stesure del precedente romanzo, L’animo leggero, lo ripresi in mano e iniziai a esserne assorbita, goccia dopo goccia. Quando lo lessi, Mayol era morto da pochi anni e io avevo appena partorito. L’atto respiratorio è un movimento che va e viene con nel mezzo una pausa, una sospensione: il neonato nell’attesa di riempire i suoi polmoni per la prima volta, il morente per schiudersi a un altro mondo. Dentro di me si fece largo l’idea dell’apnea come un luogo, una stanza, un corridoio per accedere a un altrove. Anche un mondo sommerso, certo.
       
L’apnea, attività centrale nella storia, è un attività dalle caratteristiche particolari. Quali aspetti di questo sport trovi interessanti? Quali metafore richiama in te?
       
Mayol si tuffava dentro al respiro ancor prima di toccare l’acqua. Un viaggio all’indentro per scavarsi, spingere la carne più in là, far spazio all’aria. Il respiro diventa una persona con cui dialogare, aiutare, contro la quale arrabbiarsi, perdonare. Il primo viaggio in verticale dell’apneista è dentro di sé. Per dirla con le parole di un altro grande apneista, Umberto Pelizzari: il sub s’immerge per guardarsi intorno, l’apneista per guardarsi dentro. Ho cercato di fare un libro in cui il protagonista si partorisce alla vita a ogni discesa, rinasce lungo ogni respiro. Giuliano smette di respirare per battere record, ma l’apnea è un viaggio in fondo a se stessi e quando gli abissi vanno a fuoco liberando mostri marini, il passato si ricuce, palpitante, al presente. E lui dovrà dimenticare di essere uomo, farsi goccia tra le gocce per uscirne vivo.
       
Giuliano, il protagonista, vive un rapporto tormentato con il suo passato. Come vivi e con quale disposizione d’animo ripensi al tuo ieri?
       
Per riparare il presente, questa strana corrente d’aria che ci passa in fretta sotto al naso e che non capiamo mai abbastanza velocemente, non possiamo far altro che modificare il nostro sguardo sul passato. L’imbroglio si annida nei tempi verbali, dovremmo utilizzare il futuro per il passato e viceversa. Ma è una struttura mentale che poi è difficile anche solo da immaginare. In ogni caso, come scrisse Flaiano, si possono fare progetti solo per il passato. Ed è un viaggio all’indentro anche questo. Per dire, una sera un apneista mi ha raccontato che ogni tanto si metteva a contare le mattonelle della piscina, mettendosi delle regole, prima da destra a sinistra, dall’alto verso il basso, poi dal basso verso l’alto da sinistra a destra. Per fare apnea devi avere qualcosa a cui pensare, per smettere di respirare devi tenere la mente al guinzaglio, impedire di andare dove vuole lei. Impedirle di andare dove?, mi chiedevo. A livelli estremi, chi scende in apnea, come ha scritto David Le Breton, ha un grande bisogno di provare la sua innocenza, di rimetterla nelle mani del mare. E’ l’ordalia di oggi, un rito che lava via la colpa, o uccide. E la colpa ha sempre a che fare con il passato. Il vissuto ci tiene stretti, ha legato la sua corda intorno alla nostra vita.

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Il tema dell’eutanasia, che si ritrova in Dimentica di respirare, trascina immancabili discussioni e implicazioni morali. Perché la scelta di questo tema? Che spazio concedi, nella tua scrittura, all’impegno civile?
       
Impegno civile, non saprei. Mi piace spingere i personaggi al limite del loro possibile. Ha anche a che fare con il far esistere l’altro da sé, quanto di più lontano ci sia da noi, perché altrimenti sarebbe noioso. Il filosofo francese Pierre Zaoui ha scritto un saggio sulla discrezione in cui spiega come il modo migliore per far esistere l’altro sia scomparire per un attimo, abbandonarsi all’apparizione. Smettere, il tempo di un momento, di essere se stessi per abdicare a ogni volontà di potenza. Discretio significa sia discernimento che separazione: per raggiungere il senso dell’alterità, sembra suggerire Zaoui, per vederci chiaro, saper distinguere il noi dall’altro, bisogna sapersi allontanare e lasciar apparire. Un po’ come si guarda di nascosto un bambino giocare per conto suo. In fondo per capire se stessi serve l’abilità di entrare e uscire come un ago lungo l’orlo dell’esistenza, saper scomparire a intermittenza, piccole fughe dalle nostre voci e giudizi per approfittare poi a piene mani e senza lesinare dello spettacolo del mondo, degli altri, di quel noi lì. E’ il tempo della scrittura, anche. Se poi questo coincide talvolta con la comprensione della società in cui viviamo, ancora meglio.

Kareen De Martin Pinter, Dimentica di respirare,  tunuè , Latina 2018.

Foto:©2,3 tunuè

 

 

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