Culture + Arts > Visual Arts
November 6, 2018
Cosa si nasconde dietro alle strutture della nostra realtà? Intervista all’artista Mirijam Heiler
Francesca Fattinger
L’artista Mirijam Heiler, vincitrice del concorso 11.11.11.11 Espace Young indetto dal circolo culturale Espace La Stanza, dove ha appena esposto alcuni suoi lavori, ci racconta un po’ di lei, di come trae l’ispirazione per i suoi dipinti e di come la pittura sia la sua vera lingua madre.
I suoi dipinti sono suggerimenti più che narrazioni, sono inviti cromatici per entrare nel suo sguardo. Un mondo fatto di griglie, di recinzioni e di reti che nascondono cieli e sfondi dai colori tenui, alla ricerca del non detto, di ciò che si nasconde dietro l’immagine, dietro il guscio, dietro l’apparenza.
Quando hai cominciato a dipingere e cosa ti ha spinto proprio in questo ambito artistico?
Molto presto. La pittura mi è sempre stata più familiare che la mia lingua madre. Trovo più facile esprimermi attraverso lo spettro dei colori che attraverso le lettere pronunciate. Anche se voglio solo suggerire delle cose con le mie immagini e non voglio raccontare storie chiaramente leggibili. Ho sempre amato trascorrere ore nei musei a guardare i dipinti. Sentivo che mi stavano trasmettendo qualcosa di veramente vero. Volevo continuare questo incantesimo, scoprirlo. Così ho studiato 6 anni molto intensamente, dipingendo con Tatjana Doll alla Kunstakademie di Karlsruhe e ora lavoro nel mio studio all’interno dello “Spazio creativo RU.17″ a Bolzano.
Da cosa trai ispirazione?
All’inizio dei miei studi presso la Kunstakademie di Karlsruhe, il mio interesse consisteva nella descrizione delle persone. I miei nonni e gli sconosciuti. I loro volti e le loro emozioni. Fino a quando non è diventato sempre più chiaro che la mia vera curiosità stava nelle tracce sui loro volti, rughe e cicatrici. La superficie della pelle che pian piano si allontanava dall’osservazione ravvicinata. Usando il metodo della riduzione, ho iniziato a eliminare tutto ciò che era superfluo nelle immagini, a ridurre il colore con molta trementina, lasciando solo tracce, cicatrici o lo scheletro di una storia. Sono interessata all’apparente semplicità, all’ordine e alla chiarezza, così come alla piattezza, alla monocromia e alla ripetizione delle stesse forme.
Spiegaci ad esempio i tuoi lavori che nel titolo contengono una data precisa, perché ce l’hanno?
Non voglio raccontare niente con le mie immagini, ma alcune hanno un motivo alla loro base. Uno screenshot da un giornale di notizie funge da base per questi dipinti. Lo screenschot è come un’istantanea incompleta, così come lo è ogni memoria e tuttavia ci dice qualcos’altro. Nel processo della pittura, questa storia viene a perdersi. Ciò che rimane nelle immagini è solo il guscio, la confezione o la struttura della narrativa originale. Questi dipinti mostrano un vuoto. Nessuna ombra che indica la posizione del sole, nessuna prospettiva che suggerisce un luogo. Nulla indica l’origine, tranne il titolo, che rivela in quale giorno e a che ora ho salvato lo screenshot sul mio computer.
La tua scelta cromatica è molto chiara e ti contraddistingue. Che colori privilegi e perché? E quale processo artistico si cela dietro alle tue opere, come le realizzi?
Lavoro con solvente diluito e con poco colore. Non è un lavoro additivo, ma riduttivo e abrasivo. Prima viene posta la tinta, poi il colore si spegne e si cancella con la trementina. Fino a quando il colore si ferma. Dipingo dipinti monocromi e in blu, in tutte le sue possibili sfaccettature e sfumature. E anche se mescolo ancora e ancora tutti i colori insieme, finisco sempre con la stessa tonalità. Se dipingo una foto in verde chiaro o rosa, devo girarla dopo un breve periodo o appenderla, perché questi colori mi disturbano. Il blu è l’unico colore che può esistere per me.
Le tue opere catturano lo sguardo in una serie di griglie e forme per poi farlo vagare tra colori tenui e sfumati. Quale viaggio vuoi far esperire ai tuoi osservatori?
Sono interessata alle strutture, agli ordini costruiti. Recinzioni, reti e griglie, onnipresenti nei media. Confinano con o in qualcosa e si riferiscono a ciò che si nasconde dietro. Una nebbia, nuvole, un cielo limpido. Li faccio vedere, ma non del tutto. Sto solo suggerendo cosa potrebbe esserci dietro. La griglia nega la vista totale. Si sospetta qualcosa, si scopre qualcosa e nello stesso momento quel qualcosa scompare e scivola via di nuovo. Nei mie dipinti cerco di mostrare qualcosa di apparentemente ordinato e strutturato.
Attualmente sto lavorando a una serie di poster e sto sperimentando nuovi metodi e strumenti per articolarli. *work in progress*. Questi lavori saranno mostrati in una mostra insieme a Bianca Schick nel laboratorio di Ruralurban nel gennaio 2019.
Foto: Francesca Fattinger
Comments