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November 5, 2018

Le Artenaute sorelle migranti della Venere degli Stracci

Francesca Fattinger

Alcune settimane fa si è concluso il progetto “Quale Bellezza?”, curato da Manuel Canelles (Spazio5artecontemporanea – ambasciata del progetto Terzo Paradiso) e Nazario Zambaldi (Teatro Pratiko – progetto META), che ci ha permesso di vedere a Bolzano l’installazione   Venere degli Stracci (1967) di Michelangelo Pistoletto. Si tratta della Venere migrante che dopo aver intrapreso un lungo viaggio tra luoghi dimenticati, marginali e periferici è arrivata fino a Bolzano.  

Tra gli incontri conclusivi di questo ricco programma, il 13 ottobre Paola Zanini, Project Manager del Dipartimento Educazione, Castello di Rivoli (TO), Museo di Arte Contemporanea ha presentato tanti progetti realizzati dentro e fuori dal Museo, finalizzati alla ridefinizione del ruolo etico e sociale che l’arte contemporanea può assumere nei confronti della collettività.

A seguire l’intervista alla Responsabile Capo del Dipartimento Educazione del Castello di Rivoli Anna Pironti che ci racconta come secondo lei l’arte contemporanea possa far riflettere sulle istanze del tempo presente e farsi carico di un fondamentale compito: quello di porre le domande giuste per spingerci verso una società sempre più inclusiva.

Come ha partecipato il Castello di Rivoli al progetto “Quale Bellezza”? Come s’inserisce il vostro intervento nel contesto delle innumerevoli attività che il museo fa fuori dal museo, incentrate su un senso più ampio del suo ruolo, ossia “verso lo sviluppo integrale dell’individuo”? 

Per rispondere a questa domanda occorre precisare che sono onorata di rappresentare le ARTENAUTE del Dipartimento Educazione del Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea. Un collettivo di donne che ho riunito nel percorso della mia crescita professionale, in tempi diversi, in oltre 34 anni di lavoro al Museo. Gran parte di questo percorso condiviso con Paola Zanini e Barbara Rocci. La precisazione serve per spiegare l’uso del NOI nelle risposte, perché rappresento una realtà operativa e progettuale multipla, un collettivo di donne che lavora per la diffusione e la promozione dell’arte e della cultura contemporanea. 

Abbiamo partecipato al progetto “Quale Bellezza?” perché, di fatto, noi da sempre ci occupiamo della dimensione educativa dell’arte contemporanea ritenendo che il museo non sia un luogo chiuso ma, un progetto culturale che nel tempo presente, deve necessariamente aprirsi all’esterno, alla collettività e quindi al mondo. Per noi lavorare fuori sede è come lavorare al Museo. Nel caso specifico la nostra prossimità con Michelangelo Pistoletto e CITTADELLARTE riguarda il Terzo Paradiso e la rete degli Ambasciatori, senza dimenticare che le sue opere fanno parte della collezione del Museo fin dall’apertura (1984) tra le tante ovviamente la Venere degli Stracci (1967). Questo il contesto che ha favorito la relazione interpersonale con il curatore del progetto Manuel Canelles, con il quale abbiamo in comune, una certa idea di mondo e di società, molte affinità concettuali e operative e ovvio una grande passione per l’espressione artistica contemporanea nelle tante declinazioni. Pensiamo ad esempio che l’arte e la cultura possano essere veicolo di promozione sociale. In questo senso riteniamo che l’educazione all’arte vada interamente ri-contestualizzata, nei diversi ambiti disciplinari ma anche nella dimensione storico/critica e letteraria. Noi ci stiamo lavorando a partine dalla definizione del nome di chi opera in tal senso. Con la parola ARTENAUTA abbiamo, quindi, voluto indicare non solo un ambito professionale ma anche un nuovo modo di vivere e promuovere la relazione con l’arte contemporanea e non solo. Un nuovo nome, che rimanda a un potenziale storico leggendario (…in principio furono gli argonauti, poi vennero gli astronauti, più recenti internauti e gastronauti) definizioni che attingono alla comune matrice dell’idea della navigazione come viaggio di scoperta verso l’ignoto. Viaggio come metafora della conoscenza resa concreta dalla sperimentazione e dall’esperienza, calata anche nel ruolo di servizio per la collettività. Modalità per promuovere e favorire l’apprendimento e la scoperta, in forma individuale e collettiva. La pratica del lavoro collocata nell’ambito delle funzioni museali, apre alla partecipazione attiva e alla condivisione, all’interno di un sistema culturale complesso e si realizza intercettando necessità visioni e sensibilità. Il progetto della Venere Migrante si colloca dentro un complesso sistema di visioni e ragioni che partono dall’arte ma includono aspetti della società, mentre attingono alle urgenze del tempo presente per riportare il dibattito, dentro e fuori dal museo, lo spazio-tempo della storia e della memoria. Tuttavia non è storytelling è una necessità, un bisogno, non possiamo sottrarci! 

Visto che l’hai già nominata, parliamo subito della Venere degli Stracci e delle motivazioni per cui un’opera simbolo dell’arte contemporanea diventa un modo per parlare di migrazione e di frontiere.

La Venere degli Stracci, che quest’anno compie 50 anni, una ragazza più che maggiorenne, porta già in sé il carattere della migrazione. È un’installazione che si compone di elementi diversi, la statua riferita a Venere è la copia di una celebre Venere neoclassica con la mela (Bertel Thorvaldsen (1770-1844 Louvre) davanti a un cumulo di stracci. Quando Michelangelo Pistoletto ha realizzato l’opera nel ’67 quell’installazione rappresentava una modalità tipica dell’arte povera. Ovvero una creazione pensata per riconsiderare la relazione tra contemporaneità e passato, tempo presente e storia dell’arte. Un insieme di elementi, apparentemente incongrui, per costruire una visione caratterizzata da un’identità enigmatica e polisemica, per lo spettatore. Nell’insieme un’opera interrogativa che poneva domande invece che risposte. Nell’opera Venere rinuncia a mostrare il volto, nascondendo l’identità, il segno tangibile dei propri tratti somatici. Una Venere con mela, precisa allusione al mito greco e a tutto ciò che consegue nella storia dell’arte e dell’umanità. Per noi che siamo italiani e quindi con ascendenze greco/latine, usare quella Venere implica voler riconsiderare il giudizio di Paride, un’allusione che dal mito porta alla storia del mar mediterraneo, indirettamente a tutta la storia della migrazione così come la conosciamo noi, da Ulisse in avanti. 

Nell’opera Venere negando allo spettatore la vista del suo bel volto, affonda il suo sguardo fecondo, nel mucchio di stracci, che in realtà sono abiti dismessi, indumenti che hanno interagito con i corpi e di quei corpi hanno assorbito l’essenza stessa della vita, l’umore, il sudore, l’odore. Venere sottrae alla nostra vista la sua maggiore attribuzione, il suo bel viso, per portare la sua bellezza, come riverbero, in quel mucchio di stracci che potenzialmente è un mucchio di storie, vissuti e trascorsi. Ciò era già implicito anche quando Michelangelo Pistoletto con quella prima installazione realizzava una feroce critica al consumismo. Oggi lo è ancora maggiormente, perché Venere, è diventata migrante. Da Lampedusa, al MAAM poi è arrivata fino a Ventimiglia, dove il tema dei migranti incrocia, la questione “incandescente” del confine, così come inteso nel tempo presente, problema che non riguarda solo l’arte ma l’umanità intera. Parlando con i volontari abbiamo appreso delle difficoltà che hanno dovuto affrontare nell’aiutare i migranti a spogliarsi dei loro abiti. Noi pensiamo al nostro gesto quotidiano di indossare e toglierci gli abiti, prendendo abiti puliti dall’armadio e poi riponendoli la sera o mettendoli a lavare, ma non è così quando un abito è stato incollato sul corpo di un migrante, nove volte su dieci non si stacca e toglierlo provoca ferite, lacerazioni, dolore. C’è tanto vissuto in quegli abiti e anche in quel contesto: c’è tanto di contemporaneità e di necessità di riflessioni. Questo narra la Venere diventata Migrante, quando da un altro tempo, dalla storia dell’Arte arriva alla contemporaneità, in forma di copia e quindi di simulacro, assumendo la responsabilità sociale di accogliere l’istanza del tempo presente affondando il suo bel volto nel mucchio di stracci. Questo è lo sguardo che tutti noi dobbiamo coltivare! Questo ci suggerisce Venere soprattutto nell’affrontare il problema della Migrazione, nello spazio tempo/tempo dell’oggi in cui molte persone vengono considerate meno che stracci. L’opera di Pistoletto diviene così simbolo di questo momento storico e si riattualizza come a Sanremo per il Premio Tenco MIGRANS 2018, per aiutarci a ri-considerare la migrazione nel suo complesso: siamo migranti perché siamo umani. La storia degli uomini è una storia di migrazioni. Siamo italiani, quindi navigatori, poeti e migranti, ma la storia della migrazione non è solo la storia dei nonni di alcuni di noi emigrati in America in cerca di fortuna, ma anche la storia di Ulisse che ritorna ad Itaca dopo aver viaggiato nel mar Mediterraneo, di Enea che giunge sulle coste del Lazio dopo la fuga da Troia con il vecchio Anchise sulle spalle o di Annibale che è passato sulle Alpi con gli elefanti. Voler cancellare la migrazione dalla storia dell’umanità è come voler cancellare un tratto distintivo dell’umanità. Si migra alla ricerca di una terra promessa, si migra per necessità o perché cambiano le condizioni, e oggi tanta migrazione è dovuta alle guerre, ai cambiamenti climatici e alla ricerca di migliori condizioni di vita. Lo sguardo carico di pietà della Venere suggerisce di considerare la migrazione come inalienabile alla condizione umana, in altre parole occorre uno sguardo carico di umanità e solidarietà per poterla affrontare. 

Ascoltandoti, mi sembra di ritrovare molte delle linee di pensiero di Giorgio de Finis, con cui hai anche precedentemente collaborato, in particolare nel parlare del museo innanzitutto come spazio aperto di discussione e incontri. 

Con Giorgio de Finis ci siamo trovati prima del MACRO al MAAM, Museo dell’Altro e dell’Altrove, e qui c’è il nostro progetto “Abi-Tanti , la moltitudine migrante” che poi è lo stesso progetto portato a Melbourne per il museo della migrazione. Quello che a me piace del lavoro di Giorgio è il fatto che si sta occupando di arte contemporanea, ma lo sta facendo con l’occhio dell’antropologo contemporaneo che assegna all’arte un valore fondamentalmente sociale. Soprattutto è importante per me dire che abbiamo lavorato con lui perché si sta occupando di diritti sociali e di bambini che vivono al MAAM, che è un luogo dove vivono famiglie che hanno occupato uno spazio. In questo caso l’arte diviene una cortina di protezione di una cittadella che si chiama Metropoliz. I bambini che sono nati, in quel contesto, per la legge italiana non esistono e Giorgio de Finis sta lavorando per far riconoscere l’identità di quelle persone. E noi in questo lo sosterremo sempre. Il nostro progetto è stato pensato per parlare del fenomeno della migrazione in modo creativo, un progetto orizzontale, praticabile che situiamo nello spazio fuori dal museo quasi come fosse un inciampo tra i piedi della gente per parlare di una contingenza che è quella del tempo presente, una sorta di work in progress collettivo che si realizza a partire dal materiale di scarto, con una base ecologica ed etica. Nasce dagli scarti della lavorazione del legno e configura un insieme di elementi che vagamente assomiglia a un insieme di robottini: una sorta di gioco di costruzioni in cui nei singoli luoghi arriva la moltitudine migrante, ossia l’insieme degli oggetti realizzati. In ogni luogo però nascono anche gli abitanti del luogo con proprie caratteristiche specifiche. Chi produce l’oggetto non lo porta a casa,  ma lo consegna alla moltitudine migrante, che si compone attualmente di oltre 12.000 esemplari, ma a noi non interessa l’aspetto da guiness dei primati, ma la potenzialità di questo piccolo esercito di soggetti silenti che con la loro presenza ci fanno riflettere sull’alterità e sul fenomeno migratorio, perché a migrare sono le persone, per questo noi parliamo di moltitudine migrante e non parliamo di migrazione di popoli, perché riteniamo sia un’inesattezza storica.

Parli spesso del Dipartimento Educazione del Castello di Rivoli come il cuore pulsante del museo, come siete riuscite a farvi conoscere come una delle eccellenze italiane arrivando anche al riconoscimento del premio dell’Arts Learning Festival di Melbourne nel 2017?

Ti potrei rispondere in un modo molto semplice, ossia lavorando, sempre intensamente; cercando di promuovere una crescita personale, lavorando come se non fosse un lavoro, nutrendo dentro di noi l’idea che stiamo compiendo un viaggio, che serve innanzitutto a noi vere migranti della cultura. Ci spostiamo da un posto all’altro, da un’opera all’altra, per arricchirci sul piano professionale, culturale, emotivo, spirituale. Per questo ci professiamo ARTENAUTE, perché si tratta sempre di vere opportunità d’incontro e di viaggio. Occasioni preziose per attualizzare e rinnovare il nostro pensiero, in compagnia dell’arte e degli artisti contemporanei Michelangelo Pistoletto in primis. Esperienze e conoscenze per andare in profondità, anche nei momenti storici difficili come quello che stiamo vivendo. L’energia dell’arte come motore di trasformazione sociale, come un fiume carsico, si muoverà, riaffiorerà. L’arte è necessaria perché serve per opporsi a questo imbarbarimento del presente, nella consapevolezza che ci sono eterni movimenti che fanno anche cambiare strada all’umanità, per questa ragione occorre lavorare, portando l’arte alla gente e la gente all’arte, servirà per sentire un vento favorevole che ora vediamo contrario ma che non potrà che cambiare!

Foto: Paola Zanini + Anna Pironti

 

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