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November 5, 2018

Giocosità e creatività di un “progettista editoriale”: intervista a Pietro Corraini

Maria Quinz

Raggiungo Pietro Corraini nel suo studio di Via Savona a Milano, situato sopra l’omonima libreria, che oggi essendo lunedì mattina, con amaro rammarico, trovo chiusa. Riesco a perdermi prima di trovare il suo ufficio, che straripa di libri dalle copertine coloratissime e oggetti altrettanto caleidoscopici e curiosi, all’interno di un ambiente solare, con tratti e atmosfere che oscillano tra suggestioni infantili, domesticità quotidiana e indaffarata operosità, propria di una vivace officina creativa. Qui Pietro lavora oggi con alcune collaboratrici che mi presenta una per una. Parliamo insieme di molti aspetti della sua attività che mi incuriosisce molto, perché – come lui stesso riconosce – è di difficile definizione. Pietro quotidianamente affronta nel suo lavoro poliedrici ambiti professionali, con molteplici prospettive e campi d’azione: dall’editoria, alla grafica, dall’arte al design, dall’insegnamento all’allestimento di spazi. Di recente Pietro è stato anche docente di Comunicazione visiva presso la Facoltà di Design della Libera Università di Bolzano. 

In primis, mi faccio raccontare il percorso che lo ha condotto dalla sua città d’origine a Milano per intraprendere un nuovo capitolo di vita e storia di Corraini Edizioni, fondata come casa editrice e galleria d’arte a Mantova dai suoi genitori, intorno alla metà degli anni Settanta. L’importante casa editrice, che da sempre collabora con artisti, designer e illustratori di fama internazionale è nota soprattutto per l’attenzione e l’estrema cura del libro inteso come oggetto d’arte, in particolare quello per bambini. Risale a metà degli anni ’70 l’esordio di un ventennale sodalizio con l’eclettico designer e artista Bruno Munari che con Corraini Edizioni ha strettamente intrecciato la sua creativa storia di vita e di lavoro. 

 Corraini Edizioni

Pietro, cosa ti ha portato a Milano?

Sono venuto a Milano sostanzialmente per frequentare il Politecnico. Posso dire che l’attività di Corraini a Milano è stata determinata soprattutto dalla mia presenza qui come scelta di vita e atmosfere: dal desiderio di respirare l’aria milanese da grande città, seppur fumosa e nebbiosa… e Milano in questo non è molto diversa da Mantova! Ho aperto un piccolo spazio solo mio, uno studio di grafica, più o meno dal 2007: attività che tuttora affianco e interseco al lavoro della casa editrice, sviluppando progetti anche per realtà differenti. Qui ho una collaboratrice che si chiama Maria Chiara Zacchi con cui porto avanti i lavori forse più “folli e visionari” che approccio in generale, con maggiore libertà. Mi occupo – come dicevo – comunque principalmente della casa editrice che rimane un’azienda di famiglia e dove lavoro a distanza ma in sinergia con il “clan Corraini” (più conosciuto come circo Corraini) di Mantova.  In un secondo momento è nata anche la nostra libreria, pensata insieme a Fabio Castelli. 

Ti muovi professionalmente tra ambiti lavorativi differenti, tu come ti racconteresti? 

Non è semplice per me definirmi. Dipende forse dal contesto e dalle persone con cui mi trovo a lavorare. Sicuramente “progettista editoriale” è la definizione che maggiormente mi si addice. In realtà anche quando allestisco degli spazi e do vita a dei progetti tridimensionali, dove la gente “entra” in un luogo, agisco come se avessi a che fare con progetti di tipo editoriale. Progetti “narrativi” alla maniera più tipica del libro che di altri strumenti, per interazione, intimità e colloquio che cerco di instaurare con il pubblico che sperimenta ciò che ho realizzato per lui. Il mondo dell’editoria – tra narrazione e cura dei contenuti – è sicuramente il contesto dove traggo più ispirazione. Editoria, intesa non solo nel senso della produzione dell’oggetto libro, ma anche – utilizzando l’inglese – quale pratica lavorativa dove risulti molto chiara la distinzione e la interrelazione tra “editor” e“publisher”. L’editor è quella figura professionale che, partendo da un contenuto, riesce con il suo lavoro a condurre il tutto ad uno scatto in avanti. C’è chi intende tale scatto unicamente in termini commerciali, chi solo contenutistici, chi in termine di supporto agli autori. Io personalmente cerco di mettermi a cavallo tra i due ruoli, aiutando gli autori a trovare delle strade più efficienti in tutti i sensi e ad avere coraggio. Ci si immagina più facilmente un editore nel ruolo di chi debba “contenere l’estro” degli autori. A me capita invece più spesso di avere a che fare con personalità che nonostante le notevoli intuizioni, tendono ad autolimitarsi, ritenendo le proprie idee esagerate ed eccessive. 

 Corraini Edizioni

Come è stata la tua esperienza con l’Università di Bolzano e il suo territorio?

Sono legato da tempo all’Alto Adige, perché ho sempre frequentato e amato questi luoghi fin da piccolo, soprattutto il Lago di Carezza. Devo dire che per me arrivare a Bolzano per insegnare non è stato come essere catapultato in un mondo sconosciuto. Mi sono subito trovato bene. L’università è un isola felice, un gioiello a livello internazionale. A voler fare le pulci, il difetto che si potrebbe forse rilevare è quello di non riuscire sempre a sfruttare a pieno le potenzialità del territorio. Il personale docente è molto preparato, unisce varie generazioni, dai ricercatori giovanissimi e intraprendenti, a nomi di caratura internazionale, che si trovano insieme a lavorare in un contesto fertile, dove sussiste una distanza cortissima tra progettazione, prototipazione e costruzione di un’opera. Qui senti di poter fare con immediatezza cose che in altri posti realizzeresti con tempi e modalità scoraggianti.
Gli studenti sono bravi – anche se spesso vanno spronati a osare – e possono godere di una visione in cui pensiero e produzione non siano scissi, dal momento che l’Università di Bolzano sa valorizzare i laboratori pratici dove si sperimenta con le mani. Nel mio corso di comunicazione visiva ho proposto agli studenti il progetto qui – lì – là, dove realizzare un lavoro di comunicazione che potesse evolversi in un oggetto reale, costruito nello spazio e nelle tre dimensioni. 
Il tema era difficile. Molti lo hanno affrontato in modo egregio, altri con qualche difficoltà, anche se tutti hanno potuto contare sugli strumenti offerti loro dalla commistione tra discipline teoriche e pratiche – cosa rara in altre università e che noi della nostra generazione ci sognavamo – . 
Nel mondo della comunicazione tutto evolve molto velocemente. Potersi muovere tra competenze acquisite a diversi livelli da sicuramente una marcia in più a questi ragazzi.

 Corraini Edizioni

Hai lavorato in precedenza nel contesto altoatesino?

Sì con il progetto Oplàabbiamo da molti anni una proficua collaborazione con la biblioteca civica di Merano: curiamo insieme un archivio, sempre presente, tra i più completi al mondo di libri d’artista per bambini. Nel 2007 abbiamo allestito una mostra per i dieci anni dell’archivio Oplà dal nome Children’s Corner con Merano Arte, mentre l’anno scorso, per la ricorrenza dei vent’anni abbiamo curato una mostra all’interno di Palais Mamming Museum, il museo civico della città di Merano. É stato un lavoro molto divertente perché abbiamo inserito i libri all’interno del percorso tematico – storico del museo, creando abbinamenti inusuali e sorprendenti, come nell’accostamento, per esempio, tra i libri di Munari e antichissime rocce monolitiche… Trovo che il museo sia uno degli esempio dell’eccellenza altoatesina  – anche se il contenuto è quello di una collezione civica di una piccola città come Merano, quindi non di caratura internazionale, è tuttavia allestito con estrema cura, da persone che lo seguono con un’attenzione al dettaglio che fa veramente la differenza. 

Qual’è quindi l’aspetto che ti piace di più dell’Alto Adige? 

Il fatto che, come dicevo prima, quando si decide di fare una cosa, anche se semplice e modesta, la si decide di fare nel miglior modo possibile. Naturalmente le risorse economiche hanno un peso in questo, ma credo che alla base dell’agire ci sia comunque una certa attitudine, una volontà delle persone di voler fare le cose bene. Fare bene, in connessione tra città e natura, tra compressione e dilatazione del tempo. La vicinanza con la dimensione naturale credo sia fondamentale: per far bene ci vogliono i tempi giusti – dalla natura si impara a rallentare. La montagna stessa, con la sua forte presenza, richiede di adattarsi ai suoi tempi e alle sue regole. Il rispetto del tempo è un’attitudine rara e speciale che percepisco qui e che credo pochi posti abbiano così marcatamente in giro per il mondo. Posso trovare forse delle similarità soltanto con il Giappone. 

Torniamo a te, tra i tanti progetti editoriali, a cosa ti sei dedicato recentemente? 

Di recente, cosa di questo giorni, ho collaborato con Ilaria Rodella dell’associazione i ludosofici– che si occupa di percorsi didattici con strumenti propri del mondo della filosofia – e la redazione di Internazionale allarealizzazione di un numero della rivista dedicato ai bambini. É stata una bella sfida – si può trovare il numero in edicola – è appena uscito. Un altro progetto a cui tengo molto e che ho curato sempre con i bambini come destinatari, è un evento all’interno del Festivaletteratura di Mantova. Da anni mi occupo di tutta la parte grafica del Festival come anche anche degli allestimenti. All’ultima edizione abbiamo voluto dar vita a un particolare spazio ludico di creatività per bambini: una sorta di ampio parco giochi tematico – con molteplici laboratori che potessero accogliere più dei 15/20 bambini normalmente coinvolti in un singolo laboratorio. Durante il Festival, abbiamo dedicato a questo evento l’intera casa di abitazione del Mantegna, con l’intervento di numerosissimi artisti. É stato un bellissimo progetto. 

 Corraini Edizioni

E invece di cosa ti sei occupato nel settore del design di prodotto?

Per quanto riguarda gli oggetti, sto cercando di mettere in produzione un prototipo di qualche anno fa: un carillon ideato alla nascita di Stella, la mia prima figlia. Un semplicissimo oggetto composto da due sfere in legno e una cordicella a unirle, che una volta tirata avvia la melodia. Ho lavorato con un artigiano per realizzarlo, perché per quanto mi impegni nel fare le cose, mi rendo conto di non avere le capacità tecniche di finitura che un artigiano ha, né l’eleganza del gesto di chi lavora con le mani quotidianamente. Mi piace progettare oggetti ludici “strampalati”e spesso gli artigiani quando mi vedono arrivare si mettono, sorridendo, le mani nei capelli…

Un altro progetto recente realizzato per il precedente Salone del mobile di Milano è una linea di piccoli vasi, chiamati TrapulinL’idea è nata pensando alle mie figlie che spesso tornano a casa portando il fiorellino da mettere nell’acqua, la classica margheritina o il piccolo rametto… Volevo trovare il modo di dare importanza all’oggetto, oltre che al gesto. 

Per la realizzazione dei vasi ho collaborato con un fablab con cui lavoro spesso. I Trapulin sono stampati in 3D e vengono creati nel momento stesso in cui vengono stampati, secondo un algoritmo che combina cinque o sei variabili diverse, prese da punti diversi: pur essendo sempre uguale il codice genetico, che va a pescare nella “successione di numeri” del genio matematico Fibonacci, ogni vaso è unico. Non ne esiste uno uguale all’altro, a voler esaltare l’unicità del fiore che lo abiterà. Durante il salone del Mobile erano in mostra a Cascina Cuccagna dove una stampante 3D li generava giorno e notte. Bambine felicissime!

Hai a che fare spessissimo con il mondo dell’infanzia, tra libri e eventi, cosa ha significato per te essere padre per il tuo lavoro? 

L’arrivo delle mie figlie mi ha aiutato moltissimo nella progettazione. L’aspetto ludico per me è fondamentale. Dico sovente ai miei collaboratori e anche agli studenti quanto sia importante  divertirsi nel proprio lavoro. Naturalmente c’è sempre una parte di fatica. Non so chi diceva che “se ti diverti troppo a fare il tuo lavoro vuol dire che non stai lavorando abbastanza”… Anche questo è vero. Il lavoro non è un gioco. Necessita di sudore e impegno, oltre a richiedere che si entri in connessione sinergica con il progetto, per non arrivare a risultati spenti e privi di anima. A volte tuttavia, il pensiero nel mio lavoro diventa così limpido, che non è banale per me dire che il progetto parrebbe quasi “procedere allegramente da solo, quasi camminasse sulle proprie gambe”.

 

Foto 2:  Max Rommel; Foto 5: Eleonora Ondolati; le altre: Corraini Edizioni

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