Music

July 12, 2018

CD “The String Theory”: Marcello Fera & Ensemble Conductus e la musica “per immaginare”

Mauro Sperandio

Il ventennale sodalizio tra Marcello Fera e l’Ensemble Conductus  trova nel recentissimo CD “The String Theory” un interessante “compendio”. La confidenza tra il violinista, compositore e direttore d’orchestra e l’ensemble è generata da uno stretto giro tra scrittura, direzione ed interpretazione, che offre al pubblico una sanguigna e non mediata produzione.
Ne parliamo con Marcello Fera.

Quali crede possano essere i principi della “string theory” che dà il nome al cd recentemente uscito?

Il titolo del CD fa riferimento ad una delle teorie più affascinanti delle scienze moderne. La “teoria delle stringhe” – così viene abitualmente tradotta in italiano – farebbe risalire l’origine del tutto, materia ed energia, a dei “corpi vibranti” di natura filiforme, le “strings” appunto. Benché ancora molto dibattuta e non confermata da evidenze sperimentali, il fascino di quest’idea del cosmo scaturito da “corde vibranti”è ovviamente irresistibile per un musicista. Corde vibranti sono poi quelle dell’Ensemble Conductus che è protagonista del CD insieme alla mia musica. Una sorta di doppio ritratto del mio lavoro di compositore e dell’orchestra d’archi che è stata prima interprete della maggior parte delle mie composizioni. Gli archi come paradigma di un’intera esperienza quindi e questa famiglia di strumenti in inglese si nomina appunto con la parola “strings”.

In un rapporto così stretto tra scrittura, esecuzione e direzione, quali sono le sue esigenze in termini di isolamento e condivisione?

Queste esigenze riguardano la divisione del tempo della mia esistenza. La scrittura infatti necessita di isolamento e l’attività di interprete avviene invece nella collaborazione e nella condivisione. Le due cose per me dialogano e si alimentano a vicenda. I miei colleghi sono i primi ascoltatori e giudici delle mie composizioni e questa dimensione della prima lettura di un brano è sempre molto emozionante e fertile di indicazioni per eventuali ritocchi o nuove idee.

Penso a “Mazurka d’Doro” e a “Flor Formosa”, ispirate rispettivamente da un brano popolare padano e capoverdiano. Che ruolo riveste il ricordo nella sua scrittura musicale?

Un altro brano di “The String Theory” si chiama Mnemophonia facendo appunto riferimento esplicito alla memoria, al ricordo. Il ché la dice lunga sul ruolo che gioca nella mia scrittura. Penso che noi si sia costituiti principalmente di memoria, sia da quella riferibile alle nostra esperienza diretta che da quella delle esperienze che ci precedono e ci trascendono, proveniente dall’esterno, dalla storia e dalla vita degli altri. Così è per me almeno. Prendo atto di questa forte componente che diventa parte del mio materiale da costruzione. I brani da lei citati sono gli unici due non miei all’interno del CD. Si tratta di due brani popolari, il primo incastonato in una elaborazione che assume un forte rilievo sull’originale, il secondo più semplicemente trascritto. La loro presenza qui non ha a che fare tanto col ricordo quanto con l’idea degli archi come “misura di tutte le cose”…scherzo naturalmente ma voglio dire che fa parte di questa nostra caratteristica – dell’ensemble e mia – di ricondurre al suono degli archi musiche nate in contesti, epoche e per strumenti anche molto differenti. La trascrizione diventa così un gesto di appropriazione per amore e il suono degli archi una casa comune accogliente. La musica popolare di ogni latitudine poi, ha in sé elementi autonomi che la caratterizzano come tale che sono fondamentali e a mio modo di vedere imprescindibili nel considerare e praticare la musica.

Ritratto Sollbauer HD

Riesce ad identificare cosa rende per lei seducente una musica ascoltata?

Faccio una piccola premessa: penso che le qualità di un’opera d’arte si inscrivano sempre in un processo che coinvolge contemporaneamente l’opera e chi la fruisce. Voglio dire, estremizzando un po’, che l’opera esiste solo nel momento in cui viene percepita da qualcuno. E quindi in questo senso c’è una componente attiva, da parte di chi ascolta, di chi vede, di chi legge, nel determinare l’esistenza e le qualità di un’opera. Penso che in qualche misura l’opera d’arte, così come la bellezza, sia sempre un rito in continuo verificarsi di cui tutti noi facciamo parte. Detto questo, lei parla di seduzione e mi pare che in questo verbo ci sia già quasi la risposta alla sua domanda. Ci seduce ciò che promette ed è già piacere, ci seduce ciò che rompe un tempo ottuso e ci fa percepire l’esistenza con più acutezza e intensità, ci seduce ciò che fa sembrare completamente nuovo ciò che già conosciamo portandoci così a ri-conoscerlo, ci seducono intelligenza, tenerezza e sensualità. Ci seduce ciò che è contemporaneamente in grado di accenderci e di consolarci ma anche di ferirci. Ecco alcune cose che rendono seducente una musica ascoltata.

Tutti i brani di “The string theory” hanno una forte componente evocativa. Possiamo dire che si tratti di un album “per immagini” oppure “per immaginare”?

Mi viene detto spesso. Io in realtà non associo mai la musica ad immagini, mentre ho un’idea drammaturgica dei rapporti interni alla scrittura musicale. Le varie voci e il modo in cui si muovono, così come il succedersi di “fatti” all’interno della composizione sono per me riferibili a una logica teatrale, un teatro dei suoni si potrebbe dire. La qualità evocativa della mia musica credo possa dipendere sia dal chiaro rilievo con cui si presentano certi climi emotivi, sia dall’impressione frequente di imbattersi in qualcosa di conosciuto. Questa impressione in realtà non può trovare riscontro in citazioni o rifacimenti perché non ci sono. E’ alimentata invece da elementi che appunto evocano esperienze che ci appartengono. Quindi per tornare al nocciolo della sua domanda, risponderei: “un album per immaginare”.

Foto: ©Karlehinz Sollbauer

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