Food
June 29, 2018
De gustibus Connection #87: Fabio Groppi, Ristorante Dolomieu, Madonna di Campiglio
Mauro Sperandio
Mauro Sp: Il 20 luglio debutterai nella cucina del Ristorante Dolomieu. Se dovessi presentarti con un piatto e non a parole, cosa mi proporresti?
Fabio Groppi: Presenterei sicuramente un piatto che mi accompagna da molti anni e che ho riproposto in varie versioni: dei tagliolini freschi, impastati a mano con trentasei tuorli e tirati al momento, cotti quando arriva la comanda in cucina e conditi con burro di malga e tartufo. Nella sua semplicità, anche estetica, questo piatto stupisce alla prima forchettata.
M: Dovendoti descriverti a parole?
F: Sono uno chef che si porta dietro una tradizione culinaria sicuramente antica, perché ho mosso i primi passi nelle cucine di vecchia tradizione, anche grazie a mio nonno Ferdinando Bertiglia , che cucino anche per Grace di Monaco. Ho fatto poi delle esperienze che mi hanno portato a crescere più dal punto di vista tecnico, che da quello delle ricette, ma che mi permette di proporre in maniera sempre nuova la tradizione in cui sono cresciuto. Sono però anche noto per essere un cuoco che lavora molto d’istinto e non ama piatti cervellotici o di preparazioni troppo lunghe. Quando mi trovo gli ingredienti davanti riesco a dare il meglio di me, interpretando i desideri dei clienti.
M: Dietro ogni chef, c’è sempre una brigata. Come vedi il tuo ruolo di “capo”?
F: Ho sempre lavorato con ragazzi molto giovani e ho posto attenzione al mio ruolo di formatore. Credo che il ruolo dello chef sia quello di “bravo pilota”, che mette a frutto le peculiarità e le esperienze dei suoi collaboratori, non ignorando l’aspetto umano. Un chef deve sapere delegare e supervisionare; in questo modo arricchisce il proprio bagaglio.
Sono un ex rugbista e porto in cucina la filosofia di questo magnifico sport: quando vesto la casacca bianca ed entro in cucina, entro per vincere e non per fare una comparsata. In quest’ottica, avere una squadra affiatata diventa assolutamente indispensabile.
M: Saprai che questa, più che una rubrica di cucina, è un’irruzione nella creatività e nelle cucine degli chef. Non posso però non togliermi la curiosità di sapere cosa non può mancare nel frigorifero di casa Groppi…
F: Il Parmigiano Reggiano non manca mai.
M: E nella cucina del Dolomieu, di cosa non si potrà fare a meno?
F: Tutta la frutta e la verdura possibile, erbe aromatiche incluse. Sono convinto che l’abbinamento dei giusti vegetali alla carne, al pesce e nei primi piatti possa fare la differenza da un punto di vista gustativo e anche visivo.
M: Parliamo di golosità. Di cosa sei vergognosamente insaziabile?
F: Ho passato la mia infanzia tra Liguria e Piemonte, due regioni che mi hanno fatto appassionare al salato, più che al dolce. La mia colazione è salata e amo i lievitati, come la focaccia e i grissini. Mi piace non solo mangiarli, ma anche prepararli per i nostri ospiti.
M: Dopo tre anni in Sardegna, approdi ora tra le montagne del Trentino. Cosa porterai di quella terra così particolare?
F: Nel 2015, dopo tanti anni in Alto Adige, sono sceso dalla Val Badia in Sardegna per respirare aria nuova e cimentarmi con prodotti completamente diversi. Ora ho fatto il viaggio al contrario, tornando ai monti, che amo immensamente, nonostante le mie origini liguri e, quindi, marine. La Sardegna mi ha fatto confrontare con prodotti semplici, ma interessantissimi. Tra questi la fregola, che può essere impiegata sicuramente con funghi, erbe spontanee e nocciole, ingredienti tipicamente montani.
M: Mi dicevi del tuo passato di rugbista. Hai ancora tempo per dedicarti a qualche sport?
F: Non molto, ma quando posso vado a correre. Se troverò un po’ di tempo, non mancherò di farlo anche a Madonna di Campiglio.
M: Anche per liberare la testa dalle impegnative questione della cucina…
F: No, a dire il vero. Nel tempo libero, che sia con i miei figli piccoli e mia moglie o a correre, non manco di pensare al mio lavoro. Anzi, capita spesso che le nuove idee mi vengano proprio nelle occasioni di svago. Uno dei miei piatti più noti si chiama “Porca l’oca” ed è composto da una scaloppa di fois gras avvolta con lardo di maiale di montagna, servita con insalata di funghi ed una sfera di cioccolato. Questo piatto nasce da un espressione, “porca l’oca”, che uso con i miei figli quando mi fanno arrabbiare. Il piatto, come a me capita abbastanza spesso, è nato dal suo nome e non il contrario.
M: Agli chef che incontro chiedo sempre un piccolo menù, in modo da assicurarmi di non aver parlato con un mitomane. Non lo faccio per me, che non sono assolutamente goloso, ma per i lettori, a cui voglio dare indicazioni utili. Non so come possiamo fare in questo caso, visto che il tuo debutto avverrà tra qualche giorno…
F: Ti posso dire che ci sarà sicuramente un menù “strutturato” ed uno “istintivo”. Attraverso il secondo, incontrando in sala gli ospiti, potrò fare delle proposte “sartoriali”, che renderanno i piatti di ogni tavolo davvero unici. Ci saranno alcuni mie classici, come il “Porca l’oca”, e non mancheranno, oltre agli ingredienti del territorio, anche gli “elementi” del territorio, come il legno e la pietra che userò per alcune preparazioni.
M: Un’ultima domanda: dove posso lasciare l’auto per una ventina di giorni?
F: Perché?
M: Non voglio perdermi un tavolo in prima fila per il tuo debutto!
Foto: © Fabio Groppi
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