Food

June 16, 2018

Angelo Carrillo e Slow Food Alto Adige

Mauro Sperandio

Giunto a Roma per studiare storia e critica del cinema, Angelo Carrillo incappa in una delle più felici versioni della serendipità: oltre che soddisfare la sua umanistica sete di conoscenza, ha scoperto un sano interesse per il buon bere e il buon mangiare. Non soffermandosi al piacere effimero di un buon pasto, Angelo si è dedicato all’enogastronomia con serietà e dedizione, riservando amore e attenzione ai tesori del Südtirol
Presente in svariate guide, vanta collaborazioni con l’Espresso e, fin dal 1999, con l’Alto Adige, di cui cura la pagina enogastronomica.
Oltre che al “buono”, il suo impegno bada anche al “pulito e giusto”, come recita il motto di Slow Food, di cui è recentemente diventato fiduciario per la nostra provincia. Apriamo, con apiciana curiosità, la sua dispensa…

Questa recente elezione a fiduciario di Slow Food Alto Adige è un traguardo che giunge dopo un lungo cammino. Come nasce e come si concretizza il tuo interesse per la filosofia “slow”?

Slow Food ha rappresentato per la gastronomia all’inizio degli anni 90 quello che il ’68  è stato per la politica: una rivoluzione. Per me una scoperta degli anni in cui a Roma studiavo cinema e teatro e nel tempo libero esploravo insieme ai compagni dell’università le osterie, i prodotti della cultura contadina scomparsa, ma anche i primi scrittori che si occupavano di gusto: Manuel Vázquez Montalbán e Andrea Camilleri. Si leggeva il Manifesto e i primi numeri dell’inserto del Gambero Rosso di Stefano Bonilli. Master Chef era davvero ancora molto lontano.

Quando hai cominciato a occupartene professionalmente?

Per fortuna non subito. Era una passione. Partecipai ai primi saloni del gusto di Torino del 1998 e del 2000. Memorabili. Poi cominciai a collaborare con giornali e riviste scrivendo recensioni di ristoranti e vini. All’epoca eravamo in pochi e credo di aver scritto per tutte le maggiori guide passate e presenti.
angelo carrillo
Come credi si possa descrivere la filosofia Slow Food?

Slow Food è in primo luogo una “lobby” culturale che aiuta a promuovere le piccole realtà agroalimentari: dal coltivatore alle osterie che propongono la cucina tradizionale del territorio. Le fa conoscere e dà supporto comunicativo e sostegno scientifico grazie alla fondazione e a numerosi ricercatori, molti dei quali lavorano e insegnano all’Università di Scienze Gastronomiche. Ma offre una visone globale del problema, come emerso nel congresso che si è tenuto a Chengdu in Cina lo scorso anno e che ha offerto una visione globale di quello che dovrebbe essere l’agricoltura di oggi e di domani: buona pulita, giusta, e aggiungiamo anche sana.

Quali prodotti e tradizioni illustrano, in particolar modo, la nostra terra?

Se pensiamo alla situazione del comparto agroalimentare altoatesino di appena due o tre lustri fa, si capisce la strada che in breve ha fatto il settore. Enorme, direi. Ma il prodotto cui sono più legato è quasi sicuramente l’Ur-Paarl (il pane di segale) della Val Venosta. Un po’ perché sono cresciuto a Malles e quel pane profumato di cumino e trigonella cerulea fa parte dei sapori della mia infanzia, un po’ perché fu il primo presidio che realizzai collaborando con Slow Food partendo da un progetto del fondo sociale Leader. Lo concretizzai praticamente da solo, coinvolgendo la Camera di Commercio di Bolzano che trovò i cospicui fondi in un paio di settimane. Fu una specie di miracolo che ci permise di partecipare con il primo presidio altoatesino al Salone del Gusto del 2004, ma non un fatto scontato. L’idea di prodotto di nicchia è stata accettata dal comparto agroalimentare altoatesino, costruito sul sistema cooperativistico nato alla fine dell’800, da appena una decina di anni. Solo di recente si è capito che i prodotti della tradizione sono capaci di trainare anche quelli di consumo.

Nel pittoresco e idilliaco scenario altoatesino non mancano però delle importanti contraddizioni…

Le contraddizioni sono sia sociali che ambientali. Le prime hanno prevalso fino agli anni 70 quando le differenze sociali, culturali ed economiche del mondo contadino di montagna e quello rurale-industriale di valle erano stridenti. Basti pensare al libro inchiesta del trentino Aldo Gorfler “Gli eredi della solitudine”, che prevedeva la rapida scomparsa di quel mondo che fu invece salvato dalla politica. Quella buona, ma soprattutto intelligente. Più complesso è il tema ambientale, perché se la ricchezza altoatesina è stata costruita partendo dall’agricoltura, il problema delle monoculture è ancora enorme. L’Alto Adige da solo copre quasi il 10% del mercato europeo delle mele e solo negli ultimi anni si è cominciato ad affrontare la produzione preoccupandosi anche delle ricadute ambientali. Va detto, a onor del vero, che la produzione altoatesina è ogm-free e gli investimenti nelle pratiche di coltivazione biologiche o pulite sono in crescita.
Slow Food Alto Adige

Che potenzialità non ancora espresse ha l’Alto Adige?

L’Alto Adige si è troppo a lungo affidato solo alla cooperazione e ha avuto spesso poca fiducia nella possibilità di sviluppo dei prodotti di nicchia e di eccellenza non solo tecnologica. Qualcosa è cominciato a cambiare con la creazione del presidio del Graukäse della Valle Aurina, nel 2008, che ha dimostrato la capacità propulsiva di un formaggio quasi primitivo nell’immaginario del mondo gastronomico, tanto da arrivare fino all’Alta Cucina. In questi anni abbiamo visto nascere molti nuovi progetti e prodotti davvero artigianali che, più o meno, non solo hanno trovato una propria collocazione, ma si sono rivelati vincenti anche dal punto di vista commerciale. Basti pensare alle verdure antiche di Harald Gasser.
 
Quali occasioni Slow Food Alto Adige proporrà per avvicinare la gente al “mangiare consapevole”?

Organizzeremo molte attività sul campo con le Domeniche Slow, durante le quali, almeno una volta al mese, visiteremo una delle osterie Slow Food e i “giacimenti golosi” del territorio. Avremo poi in autunno un congresso sul pane e, in Valle Aurina, le settimane del Graukäse in cui coinvolgeremo anche studiosi e osti per scoprire ancora più nel dettaglio le tante sfumature di questo formaggio. A Bolzano invece fonderemo “L’Accademia della Stoccafisso alla Bolzanina” per rilanciare questa antica ricetta e il suo legame con la storia gastronomica e commerciale dell’arcipelago Tirolese. Ma organizzeremo anche serate per far conoscere prodotti e tradizioni della dieta mediterranea.

Foto©: 1 Luca Mangalia; 2,3 Marco Simonini
 

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