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May 4, 2018
Marta Cuscunà e i pupazzi: l’attrice e drammaturga svela la magia tecnica del suo teatro
Maria Quinz
Se il dibattito sul rapporto ormai imprescindibile tra teatro e nuove tecnologie è al centro di riflessioni teoriche da parte di critici della materia e delle arti in senso vasto da svariati decenni, non altrettanto frequente è la possibilità per un pubblico ampio, non solo di addetti ai lavori, di addentrarsi tra la magia e i segreti del “dietro le quinte”, scoprendo dal vivo piuttosto che tramite i media l’affascinante complessità progettuale alla base di molti apparati scenografici.
Marta Cuscunà, giovane e talentuosa attrice, oltre che autrice di un’intensa trilogia sulle resistenze femminili (É bello vivere liberi, La semplicità ingannata e Sorry, Boys), dove recita da sola animando dei pupazzi via via sempre più realistici ed evoluti, incontrerà il pubblico bolzanino proprio per raccontare la complessità della ricerca che si nasconde dietro la movimentazione delle sue creature. Una rivelazione che prenderà vita nell’ambito del lavoro ideativo, ancora in fieri, del suo prossimo spettacolo, Il canto della caduta.
La lecture-performance di Marta, con la scenografa Paola Villani e l’assistente alla regia Marco Rogante – collaboratori con cui l’attrice ha condiviso tutte le fasi di progettazione del lavoro ancora inedito e di Sorry, Boys – avrà luogo presso il NOI Techpark di Bolzano, in collaborazione con il Teatro Stabile di Bolzano e Centrale Fies, nelle giornate del 6, 7 e 8 maggio.
Marta, ci racconti come nata l’idea di making off de Il canto della caduta?
Direi che è nata a seguito di un confronto con il direttore del Teatro Stabile di Bolzano, Walter Zambaldi che, dopo aver visto il mio spettacolo precedente, Sorry, Boys, ha pensato che potesse essere interessante portare alla luce tutta la parte progettuale necessaria alla costruzione dei pupazzi, fulcro dei miei spettacoli. Una fase del lavoro forse intuibile allo spettatore, ma costretta a rimanere comunque in secondo piano, non trovando adeguati spazi di valorizzazione. L’idea di Walter è stata quindi quella di creare un collegamento, un’apertura del Teatro Stabile e degli artisti verso il parco tecnologico, portando al di fuori del palcoscenico i retroscena tecnici della ricerca teatrale, in un contesto particolare in cui il racconto degli aspetti ingegneristici e tecnologici potesse essere il tema centrale.
Come è avvenuto l’avvicendarsi di apparati scenici sempre più evoluti nei tuoi spettacoli?
Sicuramente l’aumento della complessità ha avuto una svolta con Sorry Boys, che prevedeva un numero molto elevato di personaggi da muovere in scena. Se nella Semplicità ingannata i pupazzi erano sette, in Sorry, boys mi sono ritrovata ad animare 12 teste mozze con tratti molto realistici. Era importante che le teste non muovessero solo la bocca come le monache della Semplicità Ingannata, ma che riuscissero a riprodurre in modo più complesso l’espressività umana e quindi potessero, oltre alla bocca, battere le palpebre, digrignare i denti, aggrottare la fronte. Questo ha voluto dire aumentare la complessità del sistema ingegneristico, in linea con l’aumento della movimentazione espressiva: in scena sono sempre sola e l’evoluzione tecnica dei pupazzi mi ha permesso di fronteggiare più dinamiche contemporaneamente.
Come avviene il processo del tuo lavoro creativo assieme a quello di Paola Villani?
Diciamo che il nostro lavoro procede assolutamente di pari passo, in parallelo. Il progetto artistico influenza il progetto scenografico e viceversa. In Sorry, Boys, per esempio, Paola è riuscita a rispondere alla mia esigenza di movimentazione delle teste, scegliendo di usare i meccanismi dei freni di biciclette, collegando tra loro una serie di leve che io aziono con mani e piedi.
Per mio conto, ho dovuto in qualche modo dare vita a una drammaturgia e una serie di dialoghi in grado di supportare la coreografia necessaria per muovere le teste. Per esempio aggiungendo nuove battute quando mi era necessario liberare una mano, far parlare un personaggio piuttosto che un altro e così via. Direi quindi che i nostri due progetti sono cresciuti insieme, anche perché ogni tipo di pupazzo ha bisogno di ritmi diversi con cui muoversi e comunicare le proprie “emozioni”.
Le creature di Paola sembrano possedere una vita propria, delle esigenze individuali a cui devo stare attenta, per riuscire a renderle vive sulla scena.
Nel Canto della caduta state sperimentando nuove strade rispetto a Sorry, Boys?
Sì, anche se i lavori sono ancora in corso. I pupazzi meccanici che stiamo costruendo saranno un’ulteriore evoluzione rispetto alle teste di Sorry, Boys, perché mi permetteranno di controllare con un’unica mano sette movimenti contemporaneamente. A livello progettuale è stato un percorso molto accidentato, per certi versi simile a un esperimento scientifico: siamo andati avanti per tentativi, prototipi fallimenti, dubbi. Al momento abbiamo trovato qualcosa di molto funzionale e che all’inizio non prevedevamo potesse essere così complesso.
Dal punto di vista tecnico, siete ricorsi a risorse particolari?
Ci tengo a dire che, per la prima volta, abbiamo iniziato un dialogo con una serie di aziende che si occupano di componentistica industriale e che hanno accettato di farci da sponsor tecnici, fornendo i materiali che compongono i pupazzi. A differenza delle altre volte, necessitiamo ora di una componentistica che ci garantisca maggiore affidabilità e precisione. Tali aziende lavorano abitualmente per settori completamente diversi da quello del teatro ma hanno sposato l’idea che l’innovazione, in qualsiasi campo avvenga, possa essere utile e sostenibile, anche se si ha a che fare con imprese culturali o compagnie teatrali.
Quando debutterà il canto della caduta?
Il debutto avverrà a ottobre a Udine al Festival organizzato da CSS Teatro Stabile di Innovazione del Friuli Venezia Giulia. La particolarità di questo spettacolo è che, per la prima volta, avrò una co-produzione internazionale: oltre a Centrale Fies e al CSS di Udine, tra i co-produttori ci saranno lo Stabile di Torino e il Teatro Sao Luiz di Lisbona. La collaborazione coinvolgerà poi il Teatro Stabile di Bolzano e la compagnia portoghese A Tarumba Teatro de Marionetas, che si occupa di teatro visuale e organizza un Festival di figura che inizierà tra qualche settimana a Lisbona: uno tra i festival i più prestigiosi a livello europeo, che già in passato ha messo in cartellone due miei spettacoli.
Puoi darci qualche anticipazione sui temi del canto della caduta?
Il Canto della caduta si ispirerà alla leggenda ladina del regno dei Fanes, fortemente radicata nel suo territorio di origine: le vostre valli dolomitiche altoatesine. Sarà il tentativo di raccontare come questo antichissimo e affascinante mito ladino sia in grado ancora oggi di far emergere delle domande e delle problematiche universali, ancora fortemente contemporanee e necessarie. Lo spettacolo vuole essere una riflessione sulla guerra e su come le società da sempre utilizzino i conflitti come sistema di costruzione di rapporti economici e sociali.
La realizzazione di questo spettacolo e l’insieme delle novità che investono il mio lavoro mi fanno davvero percepire questo momento come molto importante. Vi aspetto al NOI Techpark per raccontarvi tutti i retroscena!
STUDIO VISIT h 15-18
MAKING OF h 20.45
NOI Techpark, Bolzano
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