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April 30, 2018

Manfred Alois Mayr: colore oltre il colore

Mauro Sperandio

Manfred Alois Mayr è noto come “l’artista del colore”. I suoi “interventi cromatici” – nella cantina Manincor, all’Università di Bolzano, al Forte di Fortezza, al vorarlberg museum, per citarne alcuni – suscitano un deciso impatto su chi li osserva. Attenti, però: la forza del suo lavoro non sta nell’apparenza dei colori impiegati, ma nell’identità del colore impiegato. La storia e la funzione della sede dei suoi interventi guidano Mayr nella scelta dei pigmenti e delle tecniche, celebrando non l’originalità dell’artista, ma l’identità del luogo che il colore riceve.

Chi ama il colore e le opere della creatività si figuri il suo studio come il Paese dei balocchi: non credo ci sia oggetto, di pittore, di scultore, di falegname e di alchimista, che non invogli ad essere toccato. Dei tanti campioni di tinta che si trovano nello studio vien voglia di saggiarne la consistenza, la superficie, il profumo e persino il gusto.manfred alois mayrDal tuo punto di vista, credi che ci sia una supremazia del colore, rispetto alla forma?

Il mio lavoro mi fa credere che sia la forma a chiedere il colore. Quando mi viene chiesto di realizzare un concetto cromatico per un certo ambiente, è il posto stesso, le sue pareti, a indicarmi il colore adatto. Come fosse una musica, ricevo dal luogo una certa risonanza, che mi fa individuare la strada giusta. Sono io a scegliere il colore quando voglio raccontare qualcosa: Da dove arriva il tale pigmento? Come è ottenuto? Quali tradizione sono ad esse legate? Cosa lo accomuna al contesto in cui viene applicato?

La possibilità di comprare pitture già pronte, non ha impoverito il “panorama cromatico”?

Diciamo che la globalizzazione ha interessato anche i colori, visto che una certa vernice la posso trasportare e usare in qualsiasi parte del mondo, anche dove tradizionalmente non sarebbe mai stata impiegata. Questo fenomeno non mi tocca, perché non vedo il colore come decorazione, ma come un elemento che funziona solo se ha una certa forza e vibra in una certa maniera. Perché ciò accada il colore deve essere creato, come dicevo, ad hoc per l’ambiente in cui si troverà.
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Mi riferisco alle nuove costruzioni che stanno, anche in maniera poco rispettosa nei confronti di edifici storici, spuntando nelle nostre città. Non credi che la scelta dei colori – per lo più tra il bianco e il grigio – sia un po’ timida?

Al tempo in cui sono stati costruiti i portici di Merano, ad esempio, buona parte degli edifici era di color bianco-calce. Se a quegli edifici dessimo un colore blu oltremarino, introdurremo un elemento decorativo, che è soggetto alle mode. La questione che tu mi poni ha forse a che fare con la qualità dell’architettura. Il colore interagisce con la luce e le “anonime” facciate dei nostri tempi, con la loro scala di grigi, vivono e dimostrano comunque il loro carattere.
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Ogni giorno, nel momento di scegliere cosa indossare, facciamo delle scelte che riguardano il colore. Come guardi a questa “manifestazione cromatica”?

Nello scegliere il colore per le toilette dell’Università di Bolzano, ho invertito la convenzione per la quale il rosa è femminile e il blu è maschile. Nonostante i pittogrammi indichino quale porta scegliere, quasi tutti sbagliano. Questo è un bell’esempio del rischio principale che corrono i colori: l’automatismo. Altro pericolo sono le mode, che, come gli automatismi, limitano la libertà di scelta. Quando mi vesto, scelgo i colori da indossare a seconda di come mi sento; la scelta di oggi non sarà necessariamente quella che vorrò fare domani. Se “vivo” il colore, la moda non può funzionare. Le persone che hanno personalità e carattere non si lasciano influenzare dalla moda. Non è che non ammiri i grandi stilisti, sia chiaro, ma non capisco un milanese che si veste con il loden per girare nella sua città, come non capisco un vestito di Armani indossato tra le montagne. In entrambi i casi sono fuori luogo, perché non rappresentativi del modo di vivere e comportarsi di chi li indossa e avulsi dal contesto.

Pensando alla tua formazione e attività accademica nell’ambito della pittura, non ti mancano gli spazi più contenuti e intimi della tela o del foglio?

Non più, perchè voglio essere dentro il colore, avvolto dal colore. Pensa a Morandi e alla manciata di oggetti riprodotti nelle sue nature morte, che cambiavano ogni volta identità grazie ai diversi colori impiegati. Quello spazio ristretto della tela, me lo figuro come uno spazio infinito. Non bado alla misura, ma allo spazio.

Credi che ci sia un colore che ti possa rappresentare meglio di altri? Penso ad una tinta che ti caratterizzi da sempre, nonostante il continuo mutare che caratterizza la vita di ognuno.

Mi sento giallo. È questo un colore che mi interessa molto e che considero “pericoloso”, perchè soggetto a continui cambiamenti a seconda della luce.
Vedi quel campionario di colori là sulla parete? Ho messo il giallo proprio davanti alla mia scrivania, in modo da poterne osservare il comportamento durante il passare delle ore.
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Oltre al giallo “pericoloso”, ci sono altri colori che ti richiedono particolare impegno?

Il bianco è un (non) colore che non finisce mai. Ogni volta che lo adopero, mi chiede molto impegno per arrivare ad un buon risultato. Oltre alla scelta del colore, bisogna badare alla tecnica in cui è impegato. Facendo un esempio musicale, pensa a come la nota DO sia sempre la stessa, ma sempre diversa a seconda che la si suoni con un pianoforte, un violino o una tromba.

Visto che le analogie tra suono e colore sono tante, ti chiedo: che rapporto hai con la musica?

La musica è per me molto importante. In gioventù ho anche suonato per un periodo, ma ad un certo punto ho deciso di dedicarmi al solo ascolto, impiegando la mia sensibilità e attitudine al vedere, più che al sentire. Quando vado a sentire un concerto non riesco mai a concentrarmi esclusivamente sulla musica, perché essa evoca nella mia mente colori e combinazioni cromatiche.

Foto: Manfred Alois Mayr

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