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February 28, 2018

Idee, persone, futuro: Asia De Lorenzi e il Cohousing Rosenbach

Anna Tagliabue

Asia De Lorenzi – millennial classe 1995, meranese, fotografa e futura scienziata della comunicazione – dallo scorso settembre abita uno dei 16 appartamenti del nuovo cohousing a Oltrisarco. Insieme alla stanza, a lei e agli altri inquilini hanno anche affidato il compito di mettere in piedi da zero un progetto per il quartiere, che li vedrà impegnati per i prossimi due anni.
Conoscevo già Asia per i suoi video per alcuni eventi universitari, ma oggi la intervisto per capire un po’ di più del progetto di cohousing di Rosenbach, un posto nuovissimo con stanze colorate e sale comuni, dove la gente fa i turni per qualsiasi cosa e ognuno, oltre ai suoi soliti impegni, porta avanti sia un progetto di sviluppo personale che uno nel sociale.
Mentre mi prepara una tisana e la sua coinquilina Silvia si rintana a preparare dozzine di verifiche di matematica per i suoi studenti (tutte diverse e personalizzate secondo una bellissima mappa colorata delle associazioni banco-alunno), accendo il registratore e apro le orecchie.

Questo cohousing sembra un grande progetto fatto di progetti. Puoi spiegarci un po’ meglio di cosa si tratta?

Beh, nonostante sia un cohousing, l’intero progetto è in realtà basato su percorsi individuali: in una serie di colloqui personali abbiamo discusso delle nostre esperienze e della nostra biografia, abbiamo cercato di delineare le competenze di ciascuno, in modo da tirare fuori anche quelle che non pensavamo di avere e svilupparle, creando poi un dossier.

Una biografia?

Sì, esatto. È stata un’esperienza particolare, soprattutto per il fatto di dover parlare ogni volta di se stessi in terza persona, ripercorrendo gli anni passati, le scelte e le motivazioni dietro ogni attività iniziata e smessa, in modo che dal nostro inconscio venissero fuori il nostro profilo e le nostre competenze.

Stando a questa indagine, quali sono le tue competenze?

Fotografia e videomaking sono gli ambiti predominanti. Ho scoperto di avere una buona manualità dopo aver aiutato mia mamma con dei lavoretti per i bambini – cosa che non avrei MAI messo in un curriculum! –, e poi competenze di coordinazione e organizzazione. Questi colloqui fanno venir fuori un sacco di cose.
Si è trattato di una cosa pensata, un percorso quasi di autoanalisi in cui siamo tutti seguiti. È stato bello rendersi conto della strada e delle esperienze fatte, delle cose che ti succedono. Ad esempio, nel corso della vita, ti capita di dire: “Mi appassiona questa cosa, so fare questo e non quest’altro”, tutto il resto però lo lasci perdere. Attraverso questo percorso riesci invece a renderti conto anche del tuo essere multitasking.Asia De Lorenzi cohousing

Cosa mi dici del progetto nel quartiere?

Insieme a un’altra ragazza sto sviluppando un progetto fotografico, intergenerazionale e interculturale. L’obiettivo è collegare due generazioni di abitanti presi dal quartiere, e raccogliere dagli anziani alcune storie di vita che possano essere utili ai giovani d’oggi. Il titolo che abbiamo pensato è “Vivere: Istruzioni per l’uso”. Queste pillole di saggezza vorremmo utilizzarle per creare una mostra itinerante, in cui allestire anche delle tavole tematiche dove la gente partecipi a delle discussioni, perché il tutto non sia solo una esposizione ma uno scambio vero e proprio.

Questo progetto ti ha permesso di capire meglio quali potrebbero essere i piani per il tuo futuro? C’è qualcosa in particolare all’interno dei tuoi studi che ti “chiama”?

Queste non sono domande da fare a qualcuno che studia comunicazione! Credo che all’interno di un percorso di studi, e dai 18 anni fino ai 30, più esperienze fai meglio è. All’interno di comunicazione c’è un sacco di roba diversa e questo ti lascia tutte le porte aperte, però è in un certo tempo limitante: l’avere troppa scelta mi confonde un po’, a dire il vero, e credo sia normale. Sicuramente tutto quello che ha a che fare con l’arte, fotografia, cinema mi interessa.
Nel progetto posso quindi applicare la mia passione nell’ambito sociale e culturale, il che per me è ottimo anche a scopo lavorativo. Comunque, progetto e competenze sono cose parallele, non è detto che il tuo progetto si sviluppi all’interno di una delle competenze che scopri di avere. 

C’è una critica che ti senti di muovere al cohousing?

Più che una critica, è un’impressione: credo che non si sia puntato tanto sulla collettività, quanto sulla persona. E non è un’impressione ma una realtà: l’obiettivo principale è rendere l’individuo più autonomo, il che era chiaro già nel contratto. Dipende poi, ovviamente, dal carattere. Sono solitamente abbastanza socievole e nella mia visione questo stare assieme era una cosa sottintesa, ovvero stare 24 h su 24 insieme agli altri e fare magari qualche attività di gruppo in più. Tanti di noi si trovano ogni sera nella sala comune per vedere un film o cenare, e capita che se per due giorni non ti presenti, il giorno dopo ci siano venti persone che si preoccupano della tua salute… Si crea una grande famiglia fatta di persone molto diverse, sia per età che per professione, che ritengo una ricchezza che a me dà tantissimo. Anche se a volte, stando tanto tempo con le persone, sia a casa che in università, va a finire che hai bisogno di isolarti per ricaricare le energie. 

Quindi la comunità si sviluppa da sola?

Certo. In realtà poi capisci che la collettività è una cosa che non può essere imposta e deve partire da noi. Ognuno ha la sua vita e partecipa con i propri tempi e spazi. La comunità si forma pian piano, anche se non è scontato che tutto vada “secondo progetto”. La vita in collettività è secondo me una parte fondamentale dello stare bene, soprattutto nel momento in cui uno per la prima volta va a vivere per conto proprio. Se non stai bene con chi vivi, puoi sviluppare la tua individualità quanto vuoi ma non funziona. Anche se questo è ovviamente legato al contesto.

Raccontaci qualcosa degli abitanti.

Abbiamo tutti età e background diversi. C’è una coppia di sposini, lei è del Perù, ma è in Italia da dieci anni ormai, e sono così carini. Lui fa il web designer, lei lavora in un’azienda a Lana. Ci sono vari studenti e Omar, che non si è ancora capito cosa fa. (Stavamo iniziando a pensare che lui potesse essere il nostro progetto sociale: “sistemare la vita di Omar!”). C’è un ragazzo che lavora per la provincia, un altro per la SASA, un altro fa il personal trainer! (e adesso che si è fidanzato con un’altra ragazza del cohousing, le insegna tutte le routine di allenamento e le passa il my protein), un musicista, un supplente di tedesco e Silvia, che fa l’insegnante di matematica.

Come si fa a venire a vivere da voi?

La scorsa volta non hanno fatto una pubblicità ottimale a mio parere, e alla fine abbiamo ancora delle stanze vuote. Che per 130 € al mese, se ci pensi, è assurdo. Probabilmente nei prossimi mesi, credo in primavera, sarà riaperto il bando per i nuovi inquilini. C’è anche un altro progetto promosso dalla consulta giovani, ovvero di prendere l’ex edificio dei telefoni di stato in Corso Italia, riqualificarlo e farlo diventare un giga cohousing e coworking da aprire nel 2020. La facoltà di design ci sta lavorando insieme a una ragazza di Padova che studia architettura e che ora scrive la sua tesi su questo progetto.
È una bellissima idea, orientata ai giovani, che comprende un ostello, una terrazza e un ristorante, e fa rivivere tutto il quartiere che c’è intorno. Per una volta non ha nulla a che fare con la politica, ma è un progetto partecipativo che ha come obiettivo solo quello di portare qualcosa di nuovo e bello in città.

Grazie, Asia. Ultima domanda: come vedi il tuo futuro, cosa sarai da grande?

A guidare le mie scelte lavorative sarà l’idea di impegnarmi in qualcosa che voglio realmente fare. Credo che ciò che farò all’inizio della mia carriera non sarà lo stesso lavoro che farò a 60 anni. Finché potrò, farò la digital nomad, anche se è più impegnativo di un lavoro standard…

Foto: Asia De Lorenzi

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