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November 6, 2017
Grandi avventure, amicizie, amori e cooperazione: European Outdoor Film Tour ’17/’18
Anna Tagliabue
L’European Outdoor Film Tour ha fatto tappa a Bolzano per il terzo anno di fila, per cui in tanti già lo conoscevano: così sabato sera c’era il tutto esaurito all’Auditorium di Via Dante dove la serie di documentari di sport estremo, avventura e viaggi è stata proiettata.
Il Tour sta girando l’Europa, ma parla un po’ di tutto il mondo. Dall’America al Nepal, dalla Groenlandia all’Ecuador, con un tema in comune: l’avventura. Non c’è solo sport estremo all’edizione di quest’anno dell’E.O.F.T. che dal 2001 propone la proiezione, soprattutto in Germania, Nord Italia e paesi Scandinavi, di documentari sulle imprese estreme di alcuni sportivi ed esploratori. Riprese grazie a droni e voli in elicottero, le sette storie non hanno lasciato a bocca asciutta chi si aspettava una scarica di adrenalina e un racconto visivo ben riuscito. Paesaggi spettacolari da tutte le latitudini, cime himalaiane e giungle, canyon di roccia e di ghiaccio sono l’habitat dei loro protagonisti: gente che ha deciso di trasformare la propria normalità in qualcosa che è – almeno per noi – forse solo un sogno o una pazzia. E che li mette costantemente a confronto con i propri limiti, fisici e psicologici. Alla fine loro li oltrepassano, non solo grazie a una preparazione di ferro e capacità sopra la media, ma anche perché sono capaci di accettare la sfida e gli ostacoli, capire i propri limiti e, se necessario, tornare indietro, come hanno fatto addirittura Simone Moro e Tamara Lunger, che ne La Congenialità, vengono mostrati fallire, e infine riuscire, nella traversata del Kanjangchenjunga in Nepal, tutta completamente sopra gli ottomila metri.
Simone Moro, che è anche il volto del Film Tour di quest’anno, viene ritratto nell’ultimo documentario della serie insieme alla sua compagna di cordata e bolzanina Tamara Lunger, che lo chiama “vecio” e lo tira su (anche letteralmente, data la sua potenza fisica ben all’altezza del famosissimo bergamasco) con un umorismo sfrontato e diretto che, anche in un’impresa del genere, è bene sapersi portar dietro.
Aspettatevi quindi non solo una serie di imprese sovrumane, ma anche i ritratti dei loro protagonisti, chi sceglie di vivere in un furgone per risparmiare e vivere arrampicando, o di attraversare la calotta artica in kite ski (sciando trainati da una piccola vela che sfrutta i venti artici) per poi scendere in kayak 500 chilometri di fiume, per scoprire alla fine, che questo è pure ghiacciato.
Non solo atleti: in Dug Out si racconta di due ragazzi inglesi, che hanno poco degli esploratori, inoltrarsi nella riserva ecuadoreña Huaorani per imparare a costruire da zero una piroga da un tronco scavato. Scoprono così non solo l’assurda bellezza della giungla, con la sua pioggia violenta, le scomodità, i pasti scarsi a base di sole banane, la fatica del lavoro che spacca la schiena, ma anche la resistenza e la resilienza del popolo con cui vivono, che conosce e sfrutta così bene il suo ambiente – dove gli oggetti di paglia e legno resistono più di quelli in plastica – perché lo rispetta. Poi Steph Davis, arrampicatrice statunitense che perde il marito dopo un volo in tuta alare e supera il momento peggiore della sua vita così come affronta un salto: gettandocisi dentro, non prendendo scorciatoie, ricominciando ancora una volta da zero. C’è qualcosa nel saltare che ha conquistato Steph, così come Ben Stookesberry, kayaker professionista che da una vita scende i fiumi e le cascate più impetuosi al mondo: il salto è la loro scelta estrema (Choices è il film su Steph): non c’è modo di tornare indietro, non c’è spazio per i ripensamenti. Tutta la vita è lì, in quell’attimo che ti separa fatalmente dal rischio della morte, rischio che comunque decidi di prenderti, saltando.
Anche questo è stato il bello dell’EOFT, che oltre alle corse in downhill (Follow The Fraser) e alle acrobazie su sci (Heaven), alla fine sceglie di mostrare – nei film principali in scaletta – alcune persone a trecentosessanta gradi, che trionfano e sbagliano e infine riprovano, senza mai abbassare il proprio livello, mettendo a rischio la pelle per avere quell’estremo, quell’avventura, a portata di mano. Tutte le storie sono poi anche storie di grandi amicizie, amori e cooperazione, perché in condizioni estreme c’è un bisogno, estremo, del supporto fisico, tecnico o umano dell’altro.
E allora quello che forse può accomunare anche noi a Simone Moro e Tamara Lunger, non saranno la fama né il traguardo di aver scalato uno (o molti di più) ottomila, ma piuttosto la disciplina e lo spirito che si possono mettere nell’affrontare le scelte e le difficoltà delle situazioni più o meno estreme che, prima o poi, toccano ad ognuno.
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