Music

November 1, 2017

Erlend Øye: il norvegese-siracusano che ama suonare in cima alle montagne

Claudia Gelati
Erlend Øye, norvegese e siracusano d’adozione, ospite nella terza edizione del Kaltern Pop Festival. Facciamo due chiacchiere con l’altra metà dei Kings of Convenience … ma non solo.

Lo so, lo so… è una vergogna. Io che da qualche anno a questa parte, la musica la mangio anche a colazione, non sono mai stata a un festival. Uno serio, perlomeno.

Ecco l’ho detto! Dalle mie parti, li chiamano tutti festival giusto per darsi un tono, convinti che questo appellativo dia quell’aria esotica anche alla sagra di paese, sul campino del prete, con due band di adolescenti alternativi.

E  poi succede che Kaltern – Caldaro, classico paesello altoatesino ai più noto per l’omonimo lago e il vino, ad Ottobre diventi una vera e propria cassa di risonanza per quella miscela incredibile di artisti provenienti da tutta Europa, che qui si incontrano durante il Kaltern Pop Festival, fratellino minore —quest’anno alla terza edizione— del tedesco Haldern Pop, nato nel 1984 e dove, giusto per citare qualche nome da niente, hanno suonato anche Franz Ferdinand, Bon Iver, Mumford & Sons, First Aid Kit, etc. Insomma, hanno suonato lì, su per giù tutti gli artisti che ho amorevolmente e pazientemente inserito nelle mie playlist spotify, giusto per dire eh.

Ed è proprio al Kaltern Pop Festival che sabato scorso ho avuto il piacere di incontrare e fare due chiacchiere con Erlend Øye. Per tutti coloro che hanno vissuto fino ad oggi su un’altro pianeta, e che non hanno mai osato canticchiare timidamente sottovoce Misread, Erlend è proprio il rosso occhialuto dei Kings of Convenience. Dal 2009, anno di “Declaration of dependence”, sono però  passati quasi dieci anni, ma tranquilli … per fortuna nostra Erlend non ha mai smesso di fare musica: è stato il leader dei The Whitest Boy Alive, progetto elettro-dance Berlin-based; poi ha inciso un album con la band reggae islandese dei Hjálmar e da qualche tempo a questa parte si è trasferito in provincia di Siracusa e ha iniziato a cantare in italiano.

I venti chilometri che separano Caldaro dalla “mia” Bolzano, li percorro in bus. Una strada che è un susseguirsi di dolci curve adagiate tra vigneti e meleti; un viaggio leggero sotto il sole del sabato pomeriggio ed io mi incollo al finestrino perché questo paesaggio d’autunno è semplicemente incredibile. L’incontro è fissato per le 17, nelle splendide sale della residenza Windegg. Ma quando arriva Erlend? Sono attimi di trepidante attesa e ad ogni hallo/ciao/hello dei musicisti che entrano nel backstage, sussultiamo per un attimo.

Ma eccolo… non lo vediamo ancora, ma capiamo che sta arrivando: dal vano scale una voce calda e pacata, canticchia un motivetto allegro. Quando finalmente fa la sua comparsa, riempie la stanza perché è altissimo ed ha un voce pacata che emana dolcezza. Sfodera il suo italiano, praticamente perfetto, e ci saluta: «Ciao, piacere.» Se Erlend Øye fosse un colore, per me sarebbe un arancione autunnale, irriverente e agrodolce. Ha una testa di riccioli biondi, grandi occhiali, occhi azzurri più del cielo ed indossa un pullover rosso, che insieme alla parete turchese della Blauer Saal del Windegg, sembrano creare la palette perfetta.

Facciamo due chiacchiere con Erlend, che parla e ascolta volentieri, mentre beve una tazza di tè e mangia una fetta di torta.

Erlend, per prima cosa, come possiamo pronunciare il tuo nome correttamente?

A me va bene, se pronunci il mio nome come pensi che sia giusto. Anche a me è successo… Avevo un’amica spagnola che si chiamava Gema, ma il suo nome si pronunciava Gema (andate a pescare la “G” in gola per fingervi spagnoli, ndr), ma io non potevo dire questa cosa… ogni volta dovevo fermarmi e poi continuare: « Ggg…era».

Erlend Øye (c) Andreas Bertagnoll K21Raccontaci il tuo Kaltern Pop.

Allora io sono qua perché un anno fa ho incontrato quelli di Stargaze, l’ensemble classico di Berlino. Volevamo fare qualcosa insieme e Kaltern Pop ci sembrava il luogo più adatto.

Siamo stati qua lunedì, martedì, mercoledì e poi anche venerdì per fare le prove; io ho portato nove canzoni, più alcune vecchie. Mi è piaciuto molto. È meglio fare un festival in una piccola città come questa, dove si mangia bene, si beve bene, c’è una bellissima vista e tante altre cose belle; invece di andare a suonare in un parcheggio qualsiasi fuori una grande città. È proprio un’altra cosa. Un’altra cosa bella, è che gli organizzatori sono super bravi a creare queste collaborazioni speciali e già questa è una ragione per venire Da lontano. Qua non ascolterai sicuramente la stessa cosa che ascolteresti, ad esempio, a Milano a febbraio. Questa è una cosa che succede solo qua, è unica: collaborazioni speciali solo per il Kaltern Pop Festival. 

E come è andata ieri?

È stato un po’ difficile… Ad esempio, ci sarebbe voluto il mio tecnico del suono oppure un soundcheck di almeno di tre ore, perché è davvero difficile farlo. Ma il pubblico è stato moooolto attento, super pubblico. Forse questo è super importante, sì.

Quando si vuol fare qualcosa di nuovo, si è sempre molto nervosi ed è meglio se il pubblico ti sostiene e non se ne va dopo poco. Invece ieri sera, è stata una cosa super speciale. Quando io sono a un concerto, mi chiedo sempre perché l’artista non parli di più con il pubblico: quando vado ad un concerto, sentire sempre e solo musica mi annoia. Quando c’è un bel contatto con il pubblico si può fare anche qualcosa di unico, che non succederà mai più, irripetibile. Quel pubblico in quella stanza, con quella energia. Ed è questo il punto. Anche per me è importante, perché se devo fare 100 concerti, vorrei che ognuno fosse diverso dall’altro.

Anche oggi (sabato, ndr), è stato molto bello: sono stato su a suonare a  Passo Mendola. E poi per me è stato stranissimo, vedere così pochi italiani se non quelli di madrelingua tedesca.

Tu sei Norvegese, ma hai vissuto prima in Inghilterra, poi a Berlino e da qualche anno in provincia di Siracusa. E oggi sei qui, che è appunto una strana miscela da Italia e Mitteleuropa. Quali sono state le tue prime impressioni riguardo il Südtirol?

Oh beh … Siracusa-Bolzano è un bel salto. Sono già stato un volta a Bolzano, ed è proprio in mezzo tra Siracusa e Bergen. Non mi aspettavo un Alto Adige così moderno.

Ho avuto un impressione molto positiva della provincia. D’altronde, l’Italia è un paese pieno di posti belli. E i posti belli sono sempre le piccole città. Ci sono tantissime persone che vanno a Milano o Roma: cosa trovano?! Io non ho mai trovato tanto come turista. Ma se vai in una piccola città come questa, anche in soli due giorni scopri cose nuove e trovi posti belli, perché qua non ci sono le classiche trappole per i turisti. Conosci la gente del posto e si può anche fare amicizia. Questo fatto della lingua mi ha sorpreso… tutti parlano anche italiano! (ride)

Qua poi è tutto molto pulito, tenuto bene. C’è meno vita nelle strade. Però, d’altronde si tratta sempre di un bilancio, di uno scambio: tu puoi avere questo, ma non puoi avere anche quello (sorride, mangiucchiando la sua torta). Ma, sono impressionato dalla ricchezza che vedo . È proprio un bel posto, siamo quasi a novembre ci sono ancora frutti, fa ancora caldo. Sembra quasi che l’Alto Adige sia più “ricco” che il Tirolo austriaco, come varietà di vegetazione.

Invece quando vedi tante case o città, lasciate a sé stesse è segno che c’è qualcosa di strano o che non funziona.

Tu abiti da cinque anni sul mare, in provincia di Siracusa. Dalla Norvegia, come mai proprio l’Italia?

È solo per vivere per qualche anno una vita diversa. La Sicilia è un avventura. La Sicilia è… proprio differente.  Ad esempio non si parla altra lingua che l’italiano; non è stata ancora scoperta totalmente. Io sono l’unico turista (ride) ed è proprio quello che mi piace. In Sicilia, io sono sempre “molto benvenuto”: sono stato una volta in ferie e quando sono tornato per abitarci mi hanno accolto a braccia aperte.

In un momento in cui anche gli artisti italiani preferiscono cantare in Inglese, tu arrivi dalla Norvegia e decidi di cantare in Italiano, una lingua totalmente diversa dalla tua lingua madre.

Si. Ma alla fine quando io canto in italiano, non è molto differente da un italiano che canta in italiano. “La prima estate” (il  primo singolo in Italiano, ndr), secondo me è molto più apprezzata, fuori dall’Italia. Ad esempio, tutti quelli che parlano spagnolo, riescono a capire un po’ o possono usare la loro immaginazione per completare il tutto mentre ascoltano.

Ma anche in Corea… quando sono stato lì e ho suonato “La prima estate” cantavano, sapevano le parole! (sgrana i suoi occhi azzurri con stupore)

Non è che fossero studenti di italiano, solo «naaaa aaa naaaa aaaah». Insomma, cercavano di copiare il suono (ride).

Erlend Øye (c) Andreas Bertagnoll K41Erlend, tu hai anche inciso cover italiani degli anni ’60 e ’70. “Sapore di sale” di Gino Paoli, “E la chiamano Estate” di Bruno Martino o ancora “Grande grande grande” di MinaE’ una passione che avevi da tempo?

No, è iniziato tutto quando mi sono trasferito. Prima di venire  in Italia, pensavo alla musica italiana solo come Eros Ramazzotti. E Vivaldi. E Sabrina. (Salerno, ndr)

Poi però, ho scoperto che c’è un mondo intero, e ogni anni ho scoperto nuovi pezzi belli.

Attualmente, sei impegnato nella raccolta di queste cover in un album?

No. Spero a un certo punto di fare uscire un disco con pezzi in italiano scritti da me. Non ho il tempo, sto facendo tante cose. Continuo a lavorare su diversi progetti, sia con i miei gruppi che come solista. Questa collaborazione con Stargaze è sicuramente qualcosa che voglio usare anche per un disco… Ma parliamo di questo festival. Ad esempio, per me è anche un peccato che ci sia poca gente di Bolzano qua al Kaltern Pop, no? Sarebbe bello coinvolgere di più i locals nelle prossime edizioni. Per far venire più italiani, dovrebbero promuovere anche il fatto del vino:  perché gli italiani si muovono per il cibo, ma solo per la musica… mmm, nah. Dicono: «Ah, si mangia anche bene, allora andiamo?!»  (ride)

Musica: Italia e Norvegia a confronto…

Io trovo che in Italia, non c’è quella curiosità per la musica che c’è nel Nord europa.

Gli italiani si muovono sempre un po’ come una comitiva e i giovani che vogliono ascoltare musica, si spostano nelle grandi città o direttamente all’estero. Nel Nord Europa invece è più facile dire, tipo… «Vediamo… andiamo a vedere chi c’è».

Erlend, noi ti ringraziamo per questa bella chiacchierata. Vuoi lasciare un saluto ai lettori di franzmagazine.com?

Mmm, si…  a me piace tanto suonare  in questa zona. Mi piace tanto suonare in cima alle montagne e se qualcuno vuole invitarmi a suonare qua nelle Dolomiti, io sono sempre disponibile. Ciao!

 

Certamente avrei voluto chiedere e dire ad Erlend Øye altre mille cose, come mi capita  nove volte su dieci nel quotidiano. Ma è stato comunque molto bello e quasi quasi fatico ancora a crederci. Si rimane disarmati di fronte all’umiltà di chi, con la sua pacata dolcezza e la sua voce sussurrata, ha suonato sui palchi di tutto il mondo, praticamente. Erlend Øye è uno che parla e ascolta volentieri; sorride con la bocca e con gli occhi; con le dita raccoglie le briciole della sua torta. Un personaggio e una persona unica, curiosa, colorata ed estremamente comunicativa. Sicuramente e definitivamente ‘more than apples and cows’; proprio come piace a franz.

Ah, Erlend… Quando vuoi, noi ti aspettiamo di nuovo qua in Südtirol.

 

Photos by Andreas Bertagnoll

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