Food

June 9, 2017

De gustibus Connection #58: Stefano Ghetta, Ristorante L Chimpl, Vigo di Fassa

Mauro Sperandio
De gustibus connection è una violazione della proprietà (intellettual-culinaria) altrui, un auto-invito a pranzo da chi sa cucinare davvero, un rapido interrogatorio senza la presenza di un legale, una perquisizione senza mandato tra mestoli e padelle. Visto che la cucina è un universo senza confini, oggi andiamo in Trentino a trovare Stefano Ghetta, chef del L Chimpl di Vigo di Fassa.

Mauro Sp: Marito, due volte papà, chef di un ristorante apprezzato e stellato e anche maestro di sci. Una vita in equilibrio tra lavoro e relax?

Stefano Ghetta: Lo sci e l’attività all’aria aperta mi permettono di staccare dalla cucina, ma devo dire che le idee per i nuovi piatti mi vengono fuori dalla cucina. La mia famiglia ed io viviamo in un posto bellissimo, una piccola frazione di Vigo di Fassa, abitata da sole quaranta persone. Prima che ci incontrassimo, a pochi metri da casa, sono andato a prendermi i germogli d’abete, che in questo periodo sono verdi e tenerissimi. Poco sotto il ristorante, per dire, raccolgo lo spinacio selvatico. Un giro nei boschi della zona mi rilassa, ma mi fornisce idee sempre nuove per il mio lavoro.

M: Nei piatti della tua cucina si assapora il territorio in cui sei nato, vivi e lavori. Ma come nasce la tua passione per la cucina?

S: Da bambino ero, ma confesso di esserlo ancora, ero un gran goloso. Passavo molto tempo in cucina con la nonna, guardando e assaggiando. Prima di parlare di passione per la cucina, parlerei di amore per il cibo. Oggi, a pranzo, ho preparato per i nostri ospiti degli ossibuchi alla milanese con polenta. Ne avrei mangiati sicuramente tre piatti…

M: A quale tentazione gastronomica non riesci a fare a meno?

S: Le arachidi. Le metterei sul dolce e sul salato. Anche delle buone patatine snack non mi lasciano indifferenti…

M: Come avviene l’evoluzione da “cucina schietta e tradizionale” a “cucina moderna con i sapori del luogo e della tradizione”?

S: Ripensando alla tradizione e adattandola alle esigenze di oggi. La mia nonna preparava un caramello di punte di larice e me lo dava quando avevo la tosse. Il sapore di questo preparato era dolce con un retrogusto balsamico. Ho pensato che questo caramello avrebbe potuto accompagnare selvaggina e formaggi, ma, per poterlo usare in questo contesto, avrei dovuto rinforzare il sapore. Allora ho eliminato l’acqua che la nonna aggiungeva al caramello di zucchero e cime di larice, sostituendola con una centrifuga di larice e aggiungendo un po’ di sale.

M: Il tuo L’Chimpl da Tamion è un ristorante stellato dalla cucina raffinata. Immagina, per un attimo, di essere il cuoco della “Trattoria da Stefano”. Che piatti non potrebbero mancare nel tuo menù?

S: La mia golosità nasce con i piatti da trattoria. Il gusto che cerchiamo per i nostri piatti deve essere apprezzabile e gradito da tutti, senza osare stranezze incomprensibili. Quello che proponiamo è apprezzato perché è semplice e gustoso, ma con quel qualcosa in più che ti porta in una dimensione diversa da quella della trattoria. Io faccio cucina cucinata non solo sperimentale. Nella “Trattoria da Stefano” non farei mancare i canederli con il formaggio e il purè con lo spezzatino. Bada però che, se i canederli al formaggio sono fatti con una ricerca attenta degli ingredienti, con una cottura attenta, un piatto così semplice non sfigura nemmeno in un ristorante di alto livello.

M: A quali “classici” del tuo ristorante sei particolarmente legato?

S: Ad una polenta servita con una fonduta contenuta in una crocchetta e un salmerino. Dietro questi piatti ci sono due tecniche interessanti
La farina di polenta viene lasciata nel bosco per dieci giorni, in modo che prenda un sapore un po’ selvatico, e poi viene cotta con un’infusione di aromi della zona.
Il salmerino, di piccola pezzatura e allevato per noi in modo naturale, viene immerso per due giorni in un fumetto preparato con la testa e le lische dello stesso pesce e l’aggiunta di sale e zucchero. In questa salamoia il pesce assume la consistenza di un prosciutto molto saporito e morbido.

M: Nella vita e nel lavoro non si finisce mai di imparare. Come continua, finita ormai la scuola da un pezzo, la tua formazione?

S: Ogni anno seguo tre o quattro corsi di cucina all’anno. Alcuni corsi sono io a tenerli nel nostro ristorante. Compro e studio almeno cinque libri di cucina ogni anno e appena posso vado a mangiare dai miei colleghi. Anche il mio lavoro del passato è fonte di ispirazione e mi piace rivisitare le mie ricette a distanza di anni. Guardare avanti è importante, ma anche guardare al passato ha la sua utilità.

M: Cosa della cucina, invece, non ti interessa?

S: Gli insetti, a detta di molti il “cibo del futuro” al momento non mi interessano. Posso dirti però cosa non solo mi interessa, ma ritengo addirittura fondamentale: il divertimento. Se stai bene in cucina i piatti riescono miglio. Questo lo percepisce anche il cliente, che mangiando riesce a capire che il team della cucina lavora con gioia assieme. Una brigata demotivata produce piatti tristi.

M: Della sala e del vino si occupa con grande passione tua moglie Katia. Non da sommelier, ma da chef, che ruolo e che importanza dai a questa bevanda?

S: Cibo e vino vanno decisamente d’accordo, ma qualche piatto trova nella birra una compagna preziosa. Non sottovalutiamo però l’acqua: se molto gasata fa svanire profumi e sapori, mentre una più ferma non li altera.

M: Visto che l’ora del pranzo appartiene al passato e quella di cena all’imminente futuro, ti chiedo che cosa di buono pensi di portarmi in tavola…

S: Cominciamo con un uovo, uno delle nemmeno dieci uova che ogni giorno le galline dello zio di mia moglie ci porta dal suo pollaio. Cotto a vapore, te lo servo con spinaci selvatici, schuttelbrot e patate.
Di primo, una zuppetta con salmerino leggermente affumicato, con cipollotto e biete. Di secondo, un pollo ruspante con una crosta di girasole e carote: mi piace abbinare alle carni ciò di cui si nutrono gli animali.

M: E per dessert?

S: Una passeggiata per Tamion.

M: Nel senso che devo andarmene a spasso?

S: Ma no! È il nome del dolce! Percorrendo la stradina sopra il ristorante troviamo il cirmolo, che usiamo per fare un biscotto. Troviamo poi la camomilla, che usiamo per un gelato, e il sambuco, con cui prepariamo una crema. Qualche frutto di bosco completa l’opera.

M: Che bontà! Non solo non vado via, ma mi sa che rimango pure…

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