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May 1, 2017

La spedizione artica di una scuola trentina al Trento Film Festival

Cristina Vezzaro
Un insegnante di Trento e la sua classe in una spedizione alle Isole Svalbard, nell’arcipelago del Mare Glaciale Artico. Ecco la storia di un progetto che li ha accompagnati per anni e migliaia di chilometri, presentata nella sezione “Orizzonti vicini” del 65° Trento Film Festival.

Matteo Cattadori l’ho conosciuto lo scorso anno, durante la raccolta fondi per questo incredibile progetto. Casualmente usavamo lo stesso sito di crowdfunding dedicato a progetti scolastici, e nonostante i due progetti fossero molto diversi nella sostanza e nel costo (un videoproiettore da 400 euro nel nostro caso, costi di viaggio per un’intera classe per 6500 euro nel suo), a un certo punto avevo trovato tra i sostenitori del nostro piccolo progetto anche lui. Lo avevo ringraziato molto, stupendomi che oltre a genitori e parenti anche un estraneo avesse sborsato dei soldi di tasca sua per il nostro proiettore. Ma lo spirito di questo professore è ammirevole a 360°.

Matteo, vuoi dirci chi sei?

Sono Matteo Cattadori, insegno scienze al Liceo Fabio Filzi di Rovereto, un liceo sociopedagogico, in pratica per intenderci l’equivalente delle vecchie magistrali. Nel 2006 ho fatto un’esperienza di due mesi in Antartide, come insegnante-embedded di ANDRILL (ANtarctic geological DRILLing), una ricerca scientifica paleoclimatica internazionale. Da allora mi sono specializzato nella divulgazione scientifica (scolastica) dei temi che riguardano le regioni di questo pianeta e, in particolare, dei cambiamenti climatici.

Come è nata l’idea di portare i ragazzi nell’Artico? 

L’idea è nata da un piccolo desiderio di vendetta personale che, in qualità di viaggiatore incallito, ho sempre avuto nei confronti della gita scolastica. Mi spiego meglio. Insegno da 25 anni e, da sempre, ho accompagnato classi nelle classiche gite: Barcellona, Roma, Parigi, Firenze. Fin dai primi anni di insegnamento mi son sempre chiesto se quella era la migliore forma di esperienza di viaggio che la scuola era in grado di esprimere e offrire agli studenti. Senza nulla togliere alle tantissime (molte di più di quello che si pensa) gite tradizionali che le scuole propongono tutti gli anni, mi sembra che il viaggio sia parecchio distante da questo modello. Immaginare un viaggio e uno scopo ben preciso, pensare a come realizzarlo, raccogliere le risorse, rispettare il budget, affrontare gli imprevisti, accanirsi e aggirare gli ostacoli, riviverlo mentalmente mille volte prima di farlo e poi altrettante dopo il ritorno, e poi la magia della condivisione, quella autentica però, fatta in faccia alle persone.
In tanti altri settori la scuola ha fatto e sta facendo tuttora una sforzo di modernità enorme, ma in quello del viaggio educativo, tranne nobilissime eccezioni anche nella nostra regione, mi sembra che ci siano ancora enormi margini di miglioramento. Per come la vedo io, il viaggio è una risorsa sterminata e tuttora inesplorata di potere formativo e di motivazione; dopo questa esperienza ne sono ancora più convinto.
Il fatto che la classe fosse composta quasi esclusivamente da ragazze è stato uno stimolo professionale ulteriore per capire se questo strumento può essere utilizzato con efficacia per combattere i condizionamenti sociali, subdoli ma molto solidi, che tuttora tengono lontane le ragazze da percorsi di studio e lavoro nelle discipline scientifiche.

Come hanno reagito i ragazzi alla tua proposta?

Nel momento esatto in cui l’ho presentata per la prima volta, nel novembre 2014, hanno reagito in maniera molto eterogenea. Chi ha urlato di gioia, chi è corso alla cartina per cercare il nome “Isole Svalbard”, chi cercava di farsi ripetere dal vicino perché non aveva capito, una studentessa si è anche ribaltata all’indietro con la sedia!
Nei giorni successivi è iniziata una lunga sequenza di fasi, ognuna vissuta con un differente stato d’animo. Dapprima si è fatta largo la sensazione che la proposta fosse una semplice provocazione, poi è iniziato il lavoro di raccolta fondi e ci siamo scontrati subito molto duramente con i primi no dei potenziali sponsor e le difficoltà economiche. Ancora adesso le studentesse ricordano la fase di raccolta fondi, durata un anno e mezzo, come un viaggio parallelo a quello vero fatto in Artico nel luglio 2016. I momenti di sconforto e delusione sono stati numerosissimi, ma abbiamo sempre reagito. A volte anche con piccoli stratagemmi, come ad esempio quello di avvicinare il traguardo. Ricordo che ci eravamo dati anche un obbiettivo minimo da raggiungere e oltre il quale ci potevamo considerare soddisfatti: quello di prendere una radler (piccola) alla stazione dei treni di Vipiteno.

Come hanno reagito i genitori?

Il sostegno, forte e incondizionato, dei genitori è stata una delle ragioni profonde del successo del progetto. E questa è tutt’altro che una novità per chiunque lavora nella scuola o come educatore.
Dopo una prima fase di incredulità, hanno lavorato tutti e quotidianamente per sostenere i loro figli e tutta la classe. Hanno attivato tutte le reti di relazioni personali per ottenere incontri con aziende e istituzioni e si sono messi in gioco in prima persona, ognuno con le proprie risorse: c’è chi ha aiutato in cucina nelle numerose cene e feste di raccolta fondi e chi ha suggerito i modi più corretti per la gestione fiscale e amministrativa delle risorse che iniziavano ad arrivare. 

Quali sono state le principali difficoltà o resistenze incontrate? 

È difficile fare un ordine di difficoltà, comunque tra le primissime metterei le difficoltà burocratiche. Posso testimoniare che la scuola è una struttura strutturalmente e geneticamente inadatta all’organizzazione e gestione di esperienze come questa. Le sue esigenze prevalenti sono di organizzare e gestire ogni attività con largo anticipo e di programmarla e pianificarla nei singoli dettagli, inoltre molte sono le stesse che si ripetono ogni anno.
Per non parlare della sicurezza scolastica, che si preoccupa del rischio derivante da ogni singolo oggetto o situazione che si verifica nella scuola: da quello di scivolare su un gradino al rischio di inciampare in un filo elettrico. È facile immaginare l’espressione sul volto del responsabile della sicurezza scolastica quando un insegnante un giorno gli spiega che vuole portare una classe intera al Polo Nord.
Noi abbiamo avuto numerose fortune e coincidenze che ci hanno permesso di dare forma al progetto. In particolare il sostegno della dirigente scolastica (Marta Ober), che ha fatto tutto quanto era nelle sue possibilità, e l’aiuto di un’associazione di Trento (Skyislands) di comunicazione e divulgazione scientifica.

Come si è realizzato fattivamente il sogno?

Sapevamo che la raccolta fondi era la parte più ardua in assoluto e mai riuscita. Quindi il piano era altrettanto semplice: provarle tutte.
Abbiamo coperto tutta la gamma possibile di attività che un gruppo di studenti può intraprendere per raccogliere fondi: dal crowdfunding scolastico (sulla piattaforma School Raising), alla vendita di formaggio, dall’organizzazione di eventi per bambini alla vendita di torte domenicale sui sagrati delle chiese. Con le attività di aiuto compiti, le ragazze si sono fatte una fama notevole di insegnanti molto brave tra le mamme della nostra città. Per la ricerca di sponsor abbiamo fatto circa 45 incontri anche fuori regione, e un terzo ha dato esito positivo. Tutte le attività, sia del crowdfunding ma anche quelle successive di studio e preparazione al viaggio, si sono sempre svolte in orario extrascolastico.
Abbiamo incominciato a capire che il sogno si sarebbe realizzato dopo il Natale 2015. Durante le vacanze ci eravamo dedicati alla raccolta fondi con ancora maggior impegno, sfruttando anche la presenza in città di numerosi turisti per i mercatini di Natale. Il primo giorno di scuola dopo le vacanze abbiamo fatto il consueto bilancio aggiornato e alla fine dei conti abbiamo alzato la testa, ci siamo guardati in faccia e non è servito dircelo, era chiaro: ce l’avevamo fatta!
Pochi giorni dopo siamo stati contattati dal CNR, il Consiglio Nazionale delle Ricerche che gestisce la base scientifica italiana “Dirigibile Italia” proprio alle isole Svalbard, era interessato a sostenere la parte logistica e scientifica del progetto.

Che cosa ha offerto l’esperienza ai ragazzi?

Qui dovrebbero rispondere loro, e idealmente lo dovrebbero fare tra qualche anno. Io posso solo testimoniare che questa esperienza è come se ci avesse permesso di accedere a un livello superiore e (purtroppo) molto esclusivo del grande gioco dell’educazione. Usando l’analogia, un po’ funambolica, coi videogiochi, posso dire che durante quest’anno scolastico stiamo scoprendo insieme che niente è più come prima, a scuola e nella vita. C’è un livello d’intesa e complicità enorme, le difficoltà e gli ostacoli ci sono ancora ma non sono più gli stessi, lavoriamo tutti e insieme nella stessa direzione, quella di costruire il loro futuro. È una sensazione inebriante che ci fa vivere le giornate con grandissimo impegno e serenità. 

L’esperienza più incredibile e quella più difficile del viaggio? 

D’istinto mi verrebbe da rispondere che è stata quella di riuscire a trovare quasi 30 sponsor e 300 persone, quelle del crowdfunding disposte a sostenere economicamente il nostro progetto. Poi, però, se penso a quello che è successo durante il viaggio cambio subito idea, soprattutto se penso a quello che è successo durante un volo interno.
Un giorno un gruppetto ha avuto il privilegio, grazie al CNR, di compiere un viaggio in aereo da Longyerbean, la principale cittadina delle Svalbard, alla cittadina di Ny Alesund; che è un piccolo paesello più a Nord formato da una ventina di casette interamente dedicate alla ricerca scientifica e gestite da enti di ricerca di numerose nazioni. Il viaggio è durato un’ora e ci ha permesso di sorvolare ghiacciai, fiordi, tratti di mare verde smeraldo disseminato di piccoli granelli candidi (gli iceberg) da cui partivano striature marroni lunghissime formate dal vento e dai sedimenti rilasciati dagli iceberg stessi.
Siamo stati in silenzio tutto il tempo e senza guardarci; all’arrivo, al momento di alzarci avevamo tutti le lacrime agli occhi.

Il prossimo progetto? 

Per il momento non ci sto pensando, cerco di godermi al meglio questo momento. Siamo nel pieno della fase finale, quella che abbiamo voluto chiamare restituzione. In cui facciamo incontri, sia con gli sponsor per raccontare dal vivo il nostro viaggio, sia con scuole e studenti di tutta Italia per cercare di trasmettere almeno un po’ dell’energia positiva che questo progetto ci ha dato. Gli studenti raccontano tutto il progetto, non solo il viaggio e spesso la parte su cui si concentrano le domande è proprio quella della raccolta fondi, c’è il desiderio autentico di sentirsi dire, da coetanei, che i propri sogni possono realizzarsi.
Poi c’è anche il film. L’ennesima fortuna che abbiamo avuto in questo percorso è stata quella di incontrare un film maker di Trento, Alberto Battocchi che dal primo momento non ha avuto dubbi sul fatto che questa storia meritasse di essere raccontata. Dopo mille peripezie siamo riusciti ad avere due film maker con noi alle Svalbard. Con quel materiale Alberto ha fatto un film che è stato ammesso alla sezione fuori concorso “Orizzonti vicini” della 65° edizione del Trento Film Festival in corso di svolgimento.

Il film “RESEt – Una classe alle Svalbard” sarà proiettato domani, 2 maggio, alle ore 21.30 alla Multisala Modena 2, e sabato, 6 maggio, alle ore 19 alla Multisala Modena 3, e ci auguriamo possa essere di ispirazione per molte altre classi e molti altri giovani.

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