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January 30, 2017

“Calendar Girls”: quando a spogliarsi (per beneficenza) sono donne ordinarie, tra girasoli e un’ardita sfida al bigottismo

Claudia Gelati
Dal 26 a 29 Gennaio “Calendar Girls” è andato in scena allo Stabile di Bolzano, basato su una storia vera, più unica che rara, già protagonista nel 2003 dell’omonimo film inglese. Angela Finocchiaro e un cast perfetto per uno spettacolo colorato e gioioso, ben scritto e ben recitato, dove si riflette ma si ride anche tanto e fragorosamente, dritto in faccia alla Morte ingiusta e inaspettata.

 “Calendar Girls” è un testo teatrale di Tim Firth, basato su un fatto realmente accaduto. Siamo alla fine degli anni ’90, in una piccola comunità tra le verdi distese dello Yorkshire. Il Woman’s Institute è una associazione femminile, nata nel 1915 e tuttora la più grande associazione di volontariato femminile nel Regno Unito, particolarmente tradizionalista: buone maniera, lavoro a maglia, ricami e marmellate casalinghe, la quale ogni anno si impegna a realizzare un sobrio e classico calendario per raccogliere soldi per beneficenza. Ma quando la posta in gioco diventa salvare l’ospedale della comunità, fiori secchi e romantici paesaggi inglesi non bastano più. E’ in questa circostanza che un gruppo di signore di mezza età, dalla vita ordinaria, decidono che posare nude sul calendario è l’unica soluzione per raccogliere più fondi. La proposta creò molto scalpore sia per l’eta avanzata delle dirette interessate, ma anche e soprattutto per la vicinanza dell’associazione alla chiesa. Qualcuno sicuramente ricorderà il film del 2003, basato sull’omonima vicenda, con la regia di Nigel Cole, di cui Firth è autore e sceneggiatore, con le splendide Helen Mirren, Julie Walters, giusto per citarne due, ad interpretare le impavide signore. Un esempio di ottimo cinema inglese, ammiccante, ben scritto e ben recitato, diventato un film cult e molto amato dal pubblico femminile.

Con questi presupposti, storia irriverente e un’antenato da cinema, non si può non essere curiosi di vedere, nella splendida cornice dello Stabile bolzanino, il primo adattamento teatrale italiano della storia, che nel suo primo anno di tournée ha registrato un successo straordinario: 108 repliche in 5 mesi, tutte sold out e con più di 72.000 spettatori. Sul palcoscenico non troviamo certo delle novelline: le nostre signore da calendario sono capitanate da Laura Curino, Ariella Reggio e una splendida Angela Finocchiaro, con la regia di Cristina Pezzoli, in grado di plasmare raccontare la psicologia femminile a tutto tondo.
Come sempre, è quando si apre il sipario che la magia inizia. Una scenografia semplice, due soli ambienti che fanno un po’ da fil-rouge della narrazione: la collina che vede l’alternarsi delle quattro stagioni e la scialba e austera sagrestia della chiesa della comunità. Tra un botta e risposta di battute irriverenti e risate sincere, la storia prende forma e seguiamo con gli occhi fissi sul palcoscenico la quotidianità di queste signore. La cosa che più mi ha affascinato è la psicologia di ognuna di loro: sono tutte diverse, tutte splendide a modo loro, tutte fragili. Il racconto di una quotidianità quasi paradossale, tra eventi di beneficenza, cappellini e tovagliette da tè e una foschia di ingenuo bigottismo che aleggia sulla vicenda. Questo equilibrio viene a rompersi quando il marito di Annie, una delle protagoniste, muore dopo un’estenuate lotta alla leucemia. Crollano le certezze si va a riflettere sulla vita, quella che verrà e quella che ormai se n’è già andata senza “grazie e arrivederci”.

E’ Chris-Angela Finocchiaro che in memoria di un grande amico, trova il coraggio di sfidare la convenzione e bigottismo, trascinando le amiche in questa avventura epocale. Nude per una buona causa. Nude per una rinascere e riscoprirsi. Nude per affrontare -con coraggio- l’età.

Credo che la forza della storia, e in particolare di questo adattamento italiano, siano proprio le personalità che entrano in contatto ed interagiscono sul palco.
Un gruppo ben assortito che illumina la pièce e le dona un carattere speciale ed irriverente, capace di divertire lo spettatore e di ridere con lui. C’è la casalinga color pastello, devastata dalla vedovanza; la maestra in pensione che si sente vecchia dagli -enta; la vamp super chic che dimostra però un’inaspettata fragilità e la musicista che fa risuonare il suo blues nella sagrestia della chiesa e si nasconde in esso, tra una sigaretta e un tatuaggio nascosto. E poi c’è John, il marito malato che riesce sempre a scherzare su di sé e sulla malattia, sorridendo fino alla fine; e un goffo barelliere imbarazzato, che si trasforma nel fotografo di un fenomeno più unico che raro.

Completa l’allegra combriccola la direttrice bacchettona che in realtà, dietro una rigida facciata di morale condensata, ha solo voglia di cavarsi qualche sfizio.
Ma “Calendar Girls” è bello anche e soprattutto perchè, grazie all’uso della parola e all’energico cast, è una risata continua, sfacciata e coraggiosa, di fronte alla morte, all’oblio, alla decadenza, al tempo che passa e all’inadeguatezza che noi donne ci portiamo sempre addosso come un marchio di fabbrica.

“Calendar Girls” è bello perchè affronta due dei temi tabù della vita di tutti: l’invecchiamento e la nudità, e li combina insieme con gioia e carattere, senza risultare per nulla volgare. La nudità ingenua e sincera, non photoshoppata, di donne normali come potrebbero essere mia zia, la postina e la tabacchina dove vai a comprare le sigarette. Gente normale, con una vita normale, talvolta anche noiosa ed imperfetta. Donne normali che hanno una loro personalità definita e mostrano le loro fragilità e le loro paure, al passare delle stagioni dello spettacolo e della vita.
Giovedì mi sono divertita molto a teatro: ho riso alle battute e alla mimiche di Finocchiaro e compagnia, ma ho anche riflettuto. Ed è proprio questo il bello del teatro; di quello scritto e recitato bene. Bene, ovvero con l’anima e il cuore.

E siccome che le nostre signore da calendario e l’entourage di persone che hanno lavorato e lavorano tutt’ora a questo progetto, una cuore grande ce l’hanno davvero, dovete sapere che la causa benefica non rimane solo appesa al sipario, ma invade la nostra caotica e problematica realtà. Il linea con la scelta fatta da Tim Firth all’uscita del film -ha devoluto gran parte delle sue royalties all’associazione Leukaemia Research UK- , anche lo spettacolo italiano ha scelto di sostenere l’Associazione Italiana contro le Leucemie, i Linfomi e il Mieloma con il progetto Case AIL, che si impegna a migliorare la vita del malato e della sua famiglia.
Una spettacolo colorato, che fa ridere, riflettere e fa anche del bene.

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