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November 25, 2016

Torino Film Festival 34 – Boom

Cristina Vezzaro

Siamo quasi agli sgoccioli di questa 34a edizione del Torino Film Festival, edizione decisamente all’insegna della pioggia e di tanti bei film in concorso.

Iniziamo da quello che secondo molti è il probabile vincitore, il cinese The Donor, già Premio Cipputi, di Qiwu Zang, storia di un uomo attanagliato da problemi di soldi. Quando risulta compatibile di rene con una cugina ricca che il fratello vuole a tutti i costi salvare, senza dire niente alla moglie si sottopone al prelievo del rene per il trapianto, che tuttavia non riesce. Il fratello non si dà per vinto e prosegue quindi la sua ricerca di un rene compatibile per salvare la vita alla sorella. Ma quante vite bisogna distruggere per riuscirci? Intenso nella recitazione, il tema faustiano si ripropone qui fino a imboccare una vita d’uscita drastica.

Altro film molto intenso è il cileno Jesus, di Fernando Guzzoni, storia di adolescenti sbandati che si dividono tra street-dance, ragazze, alcol e droghe, a cui una notte sfugge la situazione di mano. Jesus decide di affidarsi al padre che lo ha allevato da solo alla bell’e meglio dopo la morte della madre. Ma a un certo punto la protezione famigliare non sarà più sufficiente e sarà necessario decidere cosa fare. Duro, durissimo nella costruzione, violento senza tregua, il film sembra trovare il suo perché nella scena finale, che lo risolve magistralmente.

Quello degli adolescenti è un tema molto presente anche quest’anno al TFF, ad esempio nel poco riuscito Las Lindas, dell’argentina Melisa Liebenthal, regista che ripercorre la crescita sua e di un gruppo di ragazzine alla ricerca della propria femminilità e personalità. Noiosetto e piuttosto banale. Meno noioso, pur non essendo un capolavoro, il serbo Vetar /Wind, di Tamara Drakulic, storia di una vacanza di un padre con la figlia adolescente che (anche lui) ha allevato da solo dopo la morte della madre. Secondo un modello che sta diventando cliché nei film su genitori-single – figli, la vacanza diventa un momento di confronto-realtà importante, una sorta di specchio da cui non si può fuggire.

Dell’esordio da regista di Andrea De Sica, ne I figli della notte, bisogna dire che si tratta di un film molto ambizioso – troppo? – nel tentativo di imitare suggestioni sorrentiniane con una storia che – sbagliando – sconfina nell’horror e alla fine non risulta convincente. Tornando un po’ all’essenza e con un po’ di umiltà in più, non mancheranno le sorprese.

C’è poi una sezione da dedicare ai film poetici. Da Porto, di Gabe Klinger, una storia d’amore improbabile e difficile che si snoda lungo un intenso erotismo urbano e fisico lasciando addosso sensazioni molto vivide, a Turn Left Turn Right, del cambogiano Doug Seok, splendida ricostruzione quasi onirica ma poi invece estremamente presente ed efficace di uno spaccato di vita di una famiglia, di un padre e una figlia, nel momento in cui quest’ultimo è malato. Decisamente molto intenso.

Ai film in francese dedichiamo una sezione a parte: La mécanique de l’ombre, di Thomas Kruithof, è un thriller costruito in modo piuttosto lineare ma efficace con François Cluzet e Alba Rohrwacher, premiata a Torino con il Premio Cabiria 2016. Les derniers Parisiens, di Hamé Bourokba ed Ekoué Labitey, è invece una riuscita istantanea della Parigi di Pigalle o Belleville o oltre la Gare du Nord, la Parigi dove fou si dice ouf e dalla galera si entra e si esce regolarmente, la Parigi dove ti insegnano a sopravvivere passando da un lavoretto all’altro e magari fregando qualcuno nel processo, e dove i sentimenti – di famiglia, di amicizia, di lealtà – spesso rischiano di andare a farsi fottere. Intenso nella regia e nella costruzione, è un film che, soprattutto in lingua originale, non delude.

Deludenti sono invece Maquinaria Panarmericana del messicano Joaquin del Paso, anch’esso Premio Cipputi per il tema, che il regista centra benissimo inizialmente ma trova ben presto i suoi limiti nella forma quasi surreale con cui lo tratta perdendo l’attenzione dello spettatore. Anche Wir sind die Flut / We are the tide, del tedesco Sebastian Hilger, prova a indagare un mistero di una cittadina tedesca da cui la marea, ritiratasi, avrebbe portato con sé tutti i bambini del villaggio, incastrando vita privata di chi di questo mistero si occupa e vicenda, senza mai riuscire però a trovare un fil rouge convincente.

Infine Christine, di Antonio Campos, è la storia vera di Christine Chubbuck, conduttrice della TV americana negli anni ’70, un po’ vittima di un modo di fare TV che poco le si confà e un po’ vittima forse anche di un maschilismo ancora imperante che le impedisce di sfondare come meriterebbe o di trovare una sua voce autentica senza doversi snaturare, fino a non farcela più. Un vero tuffo nel passato.

Mancano poche ore ormai alla proclamazione dei vincitori di un’edizione che, nonostante il maltempo, ha visto aumentare il numero di visitatori e si conferma come la più importante rassegna di opere dopo il glamour veneziano.

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There is one comment for this article.
  • Daniel Mattes · 

    Buongiorno,
    Tante grazie per le belle parole sul film di Doug Seok, Turn Left Turn Right. Io lavoro come press agent per la ditta di produzione del film, Anti-Archive, basato a Phnom Penh in Cambogia. Vi ringrazio ancora per la recensione ma volevo offrire una correzione. Il video nella parte superiore di questo articolo è sbagliato; è il trailer di un’altro film dello stesso nome dalla Hong Kong dal 2003. Ecco il link per il trailer corretto – dal film cambogiano attualmente nel concorso del 34esimo Torino Film Festival: https://www.youtube.com/watch?v=2F413rSuqY8.
    Grazie ancora per le belle parole!
    Anti-Archive Press
    press@antiarchive.com