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October 21, 2016

Le “montagne di luce” di Andrea Salvà

Mauro Sperandio
Dal 22 al 30 ottobre 2016, negli spazi della galleria 00A di Merano, il fotografo Andrea Salvà espone i suo scatti fatti di solida roccia e impalpabile luce.

Le vette alpine, grazie alla loro difficile raggiungibilità, resistono all’indiscriminata avanzata della specie umana. Le fotografie realizzate da Andrea Salvà in questi spazi fuori dal tempo forniscono all’osservatore spunti di riflessione sulla loro bellezza e importanza, e sulla necessità della loro conservazione.

Realizzi le tue fotografie mediante l’uso di un banco ottico. Quali sono, oltre le maggiori dimensioni delle fotografie, le caratteristiche del lavoro con questo apparecchiatura?

Dal punto di vista tecnico, in termini di effetto visivo e in relazione all’apparecchio impiegato per ritrarle, le montagne  possono essere considerate delle “architetture”. Per questo tipo di soggetti c’è bisogno di un approccio ottico complesso, che eviti appiattimenti e distorsioni. Ciò è fattibile solo con banchi a corpi mobili, che permettono un controllo prospettico rigoroso e una visione priva di artefatti. Il problema è che sono apparecchiature pesanti e ingombranti. Il banco ottico è privo di batterie e può rimanere per giorni a temperature polari senza subire danni. Questo mi permette di concentrarmi nel lavoro compositivo, senza altre preoccupazioni tecniche, quali quelle tipiche tipiche del digitale quando impiegato in ambienti estremi.
Le pellicole piane di dimensioni 10 x 12 cm permettono una resa ottica incredibile, perché più è ampia la superficie sensibile dell’emulsione, più l’immagine, al momento della stampa, si presenterà con un effetto di tipo “tridimensionale”.
Non a caso, i banchi ottici sono usati da quasi tutti i grandi paesaggisti contemporanei.

© Andrea Salvà, dalla serie Montagne di luce, 2016_01

Lo scatto di una fotografia, proprio il “click”, è sempre un lavoro individuale. Come vivi l’assoluta solitudine dell’ambiente di alta montagna? In che modo essa influenza la tua creatività?

Devi considerare che mi sposto nelle zone che fotografo andandoci a piedi, in totale autonomia e spesso restandoci per qualche giorno. Questo approccio permette di vivere un’esperienza totalizzante, si tratta di fotografia vissuta come facevano i primi grandi fotografi nordamericani, che si spostavano in zone impervie per documentare il nuovo paesaggio.
Dovendo camminare per ore, con attrezzature fotografiche ed alpinistiche, spesso vengo aiutato da amici trasformati loro malgrado in novelli “sherpa”.
Le mie esperienze alpinistiche precedenti sono essenziali, perché ci muoviamo in ambienti in quota con condizioni meteo particolari, in uno scenario che esige preparazione, rispetto ed attenzione.

La ricerca per questo lavoro si è protratta per più di quattro anni. Cosa hai scoperto in questo tempo? Come è mutata la tua percezione del paesaggio?

Le montagne sembrano essere diventate mero luogo di svago e oggetto di marketing per prodotti di tutti i generi. Puoi avere cene di pesce mediterraneo a duemila metri in rifugi “di montagna”; sfrecciare con la moto, rombando sotto le più belle pareti delle Dolomiti senza nessun problema .
I cambiamenti visibili sotto i duemila metri fra strade e percorsi hanno creato un disastro ambientale ed estetico ormai irreversibile, mentre in quota, per la difficoltà di accesso, il danno è per ora limitato.
L’alta montagna non ha perduto in realtà il suo valore simbolico di mondo minerale ancestrale e complesso sia a livello visivo che emotivo.
Il disastro è più che altro culturale, non ci si rende conto che potremmo rovinare anche questi ultimi meravigliosi spazi.

© Andrea Salvà, dalla serie Montagne di luce, 2016_02

Quali spunti di riflessione e quali interrogativi pone agli uomini la montagna che non mostra segni di antropizzazione?

La  montagna è un mondo da cui dipendiamo anche economicamente, basti pensare all’energia, al turismo, all’acqua o all’aria. Spesso è considerato alla stregua di un non-ambiente, reso un prodotto sottoculturale, tendenzialmente brutto e superficiale.
La parte in quota della montagna è forse l’ultimo paesaggio incontaminato rimasto vicino alle nostre città, con il mio lavoro vorrei riuscire a comunicare anche il valore di questi luoghi, fonti di ricchezza interiore assolutamente da preservare.

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