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September 7, 2016

“Le ho preparate giusto oggi”: la valigia-fobia dell’astronauta (femminile singolare)

Claudia Gelati

“Le ho preparate giusto oggi. 

E’ un grande traguardo per me. Chi mi conosce, sa che sono molto reticente nel farmele.
Partirei più spesso e più volentieri se non ci fossero loro.
Che poi non so mai quali scegliere. Una è troppo cicciona, l’altra è piccola piccola; quella è sfigata e la mia preferita è sempre fuori uso.
Propria non mi piace farmele. E’ proprio una cosa che odio. Potessi, le eviterei. Potessi.

Si, le valige. Parlo di valige… cosa pensavate, maliziosi?
Insomma come si prepara la valigia per lo spazio? Si per lo spazio, perché è questo il viaggetto leggere che mi attende fra una decina di giorni. Quelli di ASA mi lanciano da qualche parte, venerdì 16 Settembre. Sedicisettembre, una data che ormai ce l’ho scritta in faccia.
Me la ripeto, la mattina, davanti allo specchio, come un mantra.

Cosa ci si mette dentro, in una valigia per lo spazio? E come lo metto? Piego tutto, con la biancheria sotto e i maglioni sopra,come mi ha insegnato la mamma o arrotolo tutto un po’ a caso, giusto per occupare meno posto.
Il bagnoschiuma me lo porto o ci sono quelle boccette magiche?
Le calze? Lana o cotone?
La maglia della salute? La lingerie? si sa mai…
E il cambio per la sera? sarà una cosa extra-lusso? bah.
Oh … ma gli assorbenti? Mica li fabbricano di qui a mille anni luce. Almeno credo. No?

Sai che c’è? C’è che tutte queste domande insensate, paradossali e stupide sono figlie illegittime della paura. Se ci badate, ogni volta che ci una nuova avventura ci attende a braccia aperte, ci costruiamo una barriera di impalpabile sicurezza, una fortezza inarrivabile ed indistruttibile agli occhi del mondo intero. Fingiamo di essere tranquilli e contenti, ma dentro crepiamo dalla paura. Crepiamo. Crepiamo come la terra cotta, che in confronto alla porcellana… è la tira sfigata. Un po’ come me. 

Paura che non ti lascia scampo, piccolo umano. Ti tortura sempre; ma la notte, quando rimani inesorabilmente solo, ti colpisce di più. Secondo me lo fa anche apposta. Sei li che stai per prendere sonno e…. zac. Paura. Panico. Aiuto. Piato disperato. Modalità voglio-la-mamma.
Hai paura perché sei umano. Ho paura perché sono umana. Così la notte, anziché dormire, mi invento domande inutili a cui non posso dare una risposta certa e definitiva. Non le ho quelle dannate risposte. Non le ho.
Cazzate, dico fra me e me. Cazzate che però non mi fanno dormire.
A volte vorrei tornare bambina, quando l’unica colossale preoccupazione era come evitare, tatticamente, il minestrone di verdure. Vorrei tornare bambina, quando per prendere le decisioni più importanti della nostra esistenza, ci lanciavamo i bigliettini con i quadratini si o no. La vita intera era una crocetta. Vorrei, ma non posso. Vorreste, ma non potete.
Non fraintendetemi, però… ho una grande voglia di avventurarmi in questa nuova, gigantesca cosa. Ho solo paura. Forse è normale. Forse no. Non lo so. Di nuovo.

Comunque mi ispira lo spazio, anche se non sono una fan della scienza.
Il mio Spazio, è uno spazio creativo. Uno spazio dove le idee circolano più liberamente, dove si parla, si crea, si gioca, si vive autenticamente. Desiderio infinito di vita.
Che poi chissà com’è sto spazio… buio o luminoso? Grande o un bugigattolo?
Triste? Spaventoso? Bello? Inutile? Bah.

Vorrei che in quello spazio che presto mi accoglierà, ci sia abbastanza “spazio” per proiettare i nostri desideri, le idee folli e proibite che mai abbiamo provato a confessare ad alta voce. Confessare a mia madre, a mio padre, all’uomo che amo, ai figli che non ho, al cielo, alla terra, a Dio.
Progetti paradossali, irrealizzabili con la burocrazia terrestre. Input creativi, voglie volatili e passeggere, amori nascosti. Tutte quelle cose che, nella dannata vita quotidiana, nascondiamo accuratamente sullo scaffale “follia precaria ed irrealizzabile”. Scaffale, che più che uno scaffale, ormai somiglia sempre più a un vaso di Pandora. Vietato aprire, c’è scritto sopra. Con l’indelebile, a caratteri volgarmente cubitali.
E se a questo giro lo aprissi?
Magari faccio un favore all’umanità.
Magari su ROSENGARTEN PLANET trovo pure l’amore. E’ la volta buona che torno a casa con l’anello al dito. Ma anche no, dopotutto. Sono sicura che mia madre apprezzerebbe. Eccome.
Sono sicura che ha pure il corredo ricamato, sepolto da qualche parte.

Ragazzi, la verità è che scrivo per assopire, per fare addormentare la paura, in questa notte precaria e confusa. Ho paura, forse più del solito.
Eh che non è colpa mia, dopotutto. Da piccoli ci insegnano una manciata di valori, ci insegnano cosa è giusto e cosa è sbagliato; ci insegnano a salutare e a ringraziare. Ci insegnano a camminare, ad andare in bicicletta e a scrivere.
E quando sui goffi disegni infantili scriviamo un traballante “voglio-fare-l’astronauta”, loro non ci credono e se la ridono. I genitori moderni, tutti social e hashtag pronto in tasca, dovrebbero invece prendere in considerazione la cosa; abituarsi all’idea dello spazio come futuro posto di lavoro per il loro pargolo. E iniziare a preoccuparsi, ovviamente.
Una cosa che non ci hanno insegnato a scuola o a casa, forse,però è quello di riempire la valige-destinazione-futuro, di aspettative, di energia, di voglia di vivere, di sana ambizione. Io l’ho capito adesso, che sono vicino ai trenta.

Facciamo una cosa.
Facciamo che mi state vicino, e quando mi lanceranno verso l’infinito ed oltre, mi farete ciao con la mano.
Facciamo che non lo so, perché ho troppa paura anche per pensare a cosa fare.
Facciamo che se ho la tuta spaziale bella bella, mi faccio un regalo.
Facciamo che se Rosengarten è una figata come quelli della ASA promettono, quando torno faccio una festa, mi ubriaco e …
Facciamo che non mi ubriaco, che è meglio per tutti.
Facciamo che se torno … no, no.
Facciamo che QUANDO torno, vado a vivere da sola, di grazia.
Facciamo che se mi abbracci più forte, stanotte non avrò paura.
Facciamo che ho una disperata voglia di vivere, e allora non mi può accadere niente.
Facciamo che per stanotte, la paura la mando a quel paese e provo a dormire.
Facciamo che la vita è una e la provo a vivere autenticamente.
Facciamo finta che, per una buona volta, la valigia sia perfetta”.

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