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August 11, 2016

“Fare l’astronauta…”

Claudia Gelati

Fare l’astronauta non è una cosa semplice. L’ho capito ora, io.
 Non si tratta più solo di quel sogno adolescenziale di lasciare la tua impronta umana su un’entità che per decenni rimarrà segreta e misteriosa ai più. 
Non si tratta di indossare una bella tuta biancargento, scintillante e su misura per te.
 Non si tratta di salutare mamma e papà prima del lancio.
 Non si tratta di andare al lavoro come tutti i miei amici cresciuti, aspettare in coda al semaforo e bestemmiare alla vita davanti al passaggio a livello.
 Non si tratta, però, nemmeno di qualcosa da vivere come un fenomeno paranormale.


A voi sembrerà strano ma per me, piccolo uomo comune prelevato da ASA e catapultato nel processo creativ-scientifico di RSNGRTN161709, questa gabbia spaziale argentata, questo putiferio di pulsanti che si illuminano ad intermittenza, come in una discoteca dei miei anni ’80, è diventata una sorta di casa. Una casa ingombrante e costosa, con mille responsabilità che si accavallano pretenziose sulle mie piccole spalle umane. L’eccitazione che proviene dall’esterno, coinvolge anche noi, attori argentati del momento. Ho una gran voglia di vedere che faccia ha questo misterioso pianeta Rosa.

La notte quasi non dormo, penso e ripenso: come sarà il viaggio? avrò paura? come sarà una volta arrivati? avrò paura? avrò paura? Me lo chiedo continuamente.

Tutta questa eccitazione, questa euforia, mi terrorizza. Ho paura di fallire.
 Per fortuna questi pensieri mi torturano solo la notte; di giorno sono troppo impegnato con gli addestramenti. Una gran bella storia: sembra di stare in un vero e proprio college. Certo un college un po’ speciale che cura l’addestramento dalla fase iniziale fino al raggiungimento della tanto attesa Qualifica di Astronauta. 
Le lezioni sono proprio come all’università. Almeno credo, io non l’ho mai frequentata: poca voglia di studiare e troppa di indipendenza. Me lo ricordo il Me dei vent’anni: scellerato, insofferente, ribelle, intraprendente, innamorato di una nuova ogni sera.
 Questa avventura mi esalta anche perché mi da la possibilità di recuperare il tempo perduto davanti a una scrivania a passare carte cifrate, incomprensibili e tutte uguali. Prima che l’ASA mi prendesse per mano, ero un quarantenne anonimo. Ma già qualche “viaggio” la mia mente se l’era fatto. E sotto sotto, mentre facevo il mio lavoro banale, sapevo che il mio destino era altrove. Magari non avrei pensato proprio che fosse nello spazio, ma tant’è. Forse è per questo che mi hanno scelto. Forse è per questo che partirò anche io verso RSNGRTN161709.

Dicevo che le lezioni sono un po’ come quelle che mi raccontavano alcuni miei amici dall’università: si sta li seduti in questo bello stanzone ben attrezzato e si ascolta uno che parla, un professore. Magari pure ex astronauta, uno che la paura l’ha mandata a quel paese molti anni fa, uno che con l’esperienza ci gioca a biliardino, uno che… che ha vissuto davvero. Lo dimostrano tutte quelle belle medagliette lucenti che tintinnano dalla giacca blu. Lo dimostrano. Lo dimostrano?
 Una cosa indispensabile per noi aspiranti astronauti è conoscere bene le fasi del viaggio: dal decollo fino al rientro sulla terra, passando ovviamente per lo sbarco, fase importantissima. Il nostro addestramento è necessariamente così lungo, perché deve coprire tutte le eventualità de viaggio; non si tratta solo della scoperta del pianeta, ma anche della sicurezza di un equipaggio intero; per questo, accanto alle lezioni teoriche, il corso di sopravvivenza è indispensabile. Altre cose che facciamo, e che difficilmente si troverebbero in un curriculum universitario standard, sono i lanci con il paracadute, le immersioni subacquee e i voli si A-40: gli aerei che ASA utilizza per addestrarci.

apollo17boots

Le varie discipline sono così ben incastonate nella nostra settimana, che ogni giorno ci troviamo a fronteggiare materie e problematiche differenti. Persino l’orario e il funzionamento dell’addestramento sarà fatto da un laureato. È tutto tac-tac-tac. Come si dice? Puntuale, ecco.

Però che paura certe novità. Il lancio con il paracadute, quello sì, che ti fa proprio vedere la morte in faccia. Ad un certo punto della discesa ero così convito di essere morto, che mi sembrava pure di aver visto la mia anima passeggiare altrove, che mi salutava impertinente. Il segno indelebile di quella esperienza tremenda è tutt’ora visibile sui miei boxer. Sbiadito ovviamente: le lavatrici spaziali fanno miracoli. Se l’avesse avuta la mamma mia, quella buona donna mi avrebbe risparmiato una serie infinita di “scapelloti”. Pace all’anima sua.

Mi ricordo che quando ero piccolo… No, dicevo che…
 Insomma ASA e gli organi che ruotano attorno ad essa, forniscono una serie di nozioni e servizi infiniti. Fondamentale è la preparazione fisica e mentale. “Ci vuole un fisico bestiale”, cantava qualcuno, per affrontare l’assenza di peso che mette a dura prova il sistema cardiovascolare, l’equilibrio, il sistema immunitario, le ossa ed i muscoli. 
E poi lo stress… devi imparare a gestirlo, altrimenti sei bello che fritto. Per questo non c’è un training preciso… sono affaracci tuoi, insomma. Anche se però, dicono, che per la selezione dell’equipaggio i profili psicologici e attitudinali ricoprono un ruolo fondamentale e vengono attentamente valutati. Sarà. Forse la tizia del collocamento ASA era in ferie quando mi hanno contattato.
 A breve, dopo il training di base, inizieremo un addestramento più tosto, necessario per mantenere i livelli di preparazione raggiunti.
 Infine il momento tanto atteso: l’assegnazione di una missione. Qui la psicologia gioca un ruolo fondamentale: mica puoi permetterti che gli astronauti di strozzino tra di loro. 
A parte gli scherzi, gli astronauti devono avere capacità tecniche e profili compatibili, altrimenti si rischia di buttare via un bel po’ di lavoro.
 Da questo momento in poi la crew diventa un po’ la tua nuova famiglia ed è fondamentale passare del tempo insieme. 
E poi…

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