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July 28, 2016
Tra monti di roccia, identità di plastica: lo sguardo critico di Claus Soraperra de la Zoch
Mauro Sperandio
L’indagine antropologica e l’espressione artisitica: il lavoro di Claus Soraperra de la Zoch offre un punto di vista critico nei confronti dell’omologazione delle identità alpine, con particolare attenzione a quella ladina. Di primo acchito, le sue opere colpiscono per la giocosa rappresentazione dei soggetti; presto però, affiora l’aspetto doloroso di un lavoro che ha a che fare con l’identità e la dignità della propria terra.
Nella presentazione di Ladinoentropia, la mostra che inaugurerari a breve all’Istitut Ladin Micurà de Rü usi questa curiosa espressione: “mezzi mediatici di distruzione di massa”. Da cosa origina questa tua personale definizione di mass media?
Mi riferisco al potere subdolo che i mass media da sempre detengono, il riferimento va al pensiero di autori come, ad esempio, Karl Popper nel saggio “Cattiva maestra televisione”. Inutile dire che questi strumenti non sono nelle mani della cultura… ma sono strumento attivo del capitalismo e del consumismo e molti ancor’oggi ignorano le conseguenze subconscie che essi possono causare.
In che modo la mania dell’autoritratto, il selfie, può sminuire identità e appartenenze?
La mania del selfie permette democraticamente a tutti di rappresentarsi, il rovescio della medaglia è che il risultato non mette in luce aspetti identitari, non rappresenta “me stesso”, ma quello che gli altri vogliono vedere di me. Il meccanismo è legato al sistema dell’approvazione da parte della rete, un sistema a “senso unico”. Un po’ come per la TV, che ammette solo gli applausi di approvazione… la rete contempla solo il “like”.
Il tuo lavoro si mostra critico nei confronti di un’iconografia ed un’identità che definisci “pangermanistica-tirolese-alpina”, ovvero di una grossolana semplificazione di quelle che sono le tante identità che animano le Alpi Centro-orientali. Quali sono i tratti di questa semplificazione? Quali gli effetti negativi da essa generati?
Il mio lavoro si pone come una lettura dei fenomeni sociali ed antropologici. Credo che questa nuova identità “pangermanistica-tirolese-alpina” sia un fenomeno che si sta plasmando secondo un meccanismo di domanda-offerta. La crisi delle piccole identità è voluta da un turismo di massa che, ragionando in maniera “globalizzata”, mira a raccogliere le piccole identità per crearne una più completa ed diffusa, che rimandi ad un qualcosa di pseudo-storico, di antico e affascinante. Un qualcosa che il turista cerca per dimenticare il presente, un luogo dove tutto sembra essere vero…
In questo quadro un po’ decadente e un po’ disneyano, in che condizioni si trova il mondo ladino?
Il mondo ladino è impantanato in un’incapacità di essere e in un dover apparire, a causa della politica e di un senso di inferiorità nei confronti degli italiani e dei tedeschi. In questo il turismo sicuramente è stato determinante, perchè ha prodotto il meccanismo della domanda-offerta, cogliendo però i ladini impreparati, “indefiniti”, o meglio, non-definiti dal punto di vista identitario. Dopo l’Accordo De Gasperi-Gruber/Gruber-De-Gasperi-Abkommen del 1946, che ha visto la frammentazione stessa della Ladinia, l’avvento del turismo è stato cruciale per la ricostruzione di tutto, senza che tutto potesse essere salvato.
Quali sono i caratteri della “entropia ladina”? Come analizza il tuo lavoro questa situazione?
“Ladinoentropia” analizza il meccanismo di costruzione o invenzione di una nuova identità, di nuovi Types of the Dolomites, che non necessariamente devono essere sbagliati. Purtroppo, però, il motore creativo di questo processo risulta appartenere alla specie dei selfie, ovvero dell’essere ciò che gli altri vogliono che io o noi siamo. Si tratta della risposta ad una aspettativa turistica ma anche politica, dove l’importante per i ladini è comunque esserci o meglio, rimanendo in tema, esistere, salvarsi.
Che colpe imputi ai Ladini?
Non imputo loro nessuna colpa, se non quella di coscienza, coscienza del fare e non subire inconsciamente. Quando i ladini riusciranno a non essere più ILadini, ma essere loro stessi, come persone, allora ci sarà la coscienza necessaria a misurare tutte le scelte. Sarebbe fantastico! Incredibile, poco pittorico, poco ladinoentropico, ma affascinante.
Quali esiti e quali auspici per il futuro del mondo ladino?
Il futuro risiede nei giovani, nella loro formazione. Noi dobbiamo capire che già oggi sono cambiati i codici della comunicazione, i tempi e i modi. Quello che era “buono” nel passato non sarà mai “fresco” nel presente. Il futuro c’è già, bisogna coglierlo. Certo, prima dobbiamo avere il coraggio di guardarci allo specchio e riconoscere il presente, quello che abbiamo creato, assumendocene le responsabilità nel bene e nel male…comunque vada, comunque Dada.
Foto: Courtesy of Claus Soraperra de la Zoch
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