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July 28, 2016

“Catania Catania”: l’omaggio in danza di Emilio Calcagno alla sua città

Anna Quinz

La Sicilia è terra di contrasti e contraddizioni. Isola dalla struggente bellezza è anche luogo di storie e cronache dolorose spesso difficili da capire e decodificare per chi vive altrove. la Sicilia è terra di bellezza e crudeltà. La Sicilia è un milione di storie che si incastrano, incontrano e scontrano, tra luoghi e persone. Emilio Calcagno, danzatore e coreografo catanese, dalla sua Sicilia è fuggito 27 anni fa per andare in Francia a costruire la propria carriera nella danza. Dopo questo lungo distacco, torna nella sua terra per dedicarle un omaggio sincero, crudo e amorevole. “Catania Catania” è lo spettacolo che – in prima assoluta – vedremo a Bolzano Danza sabato 30 luglio. 10 danzatori della Compagnie Eco, messi nelle condizioni di sfidare costantemente lo spazio, il ritmo e il proprio corpo, metteranno in scena a Bolzano la città di Catania, ne sveleranno segreti ed incognite, dubbi, gioie potenti e sofferenze palpabili. In una sagra mediterranea coinvolgente e incalzante.

In attesa di questo viaggio coreografico verso Catania, in una generosa intervista a cuore aperto, il coreografo Emilio Calcagno ci parla di sé, del suo rapporto con la sua terra complessa e del suo modo personale, vicino e distante, di leggerla e raccontarla. 

Emilio, la protagonista di questo lavoro è la città di Catania, come si fa – tu come hai fatto – a raccontare un luogo attraverso il linguaggio coreografico?

Mettere in scena un luogo è complicato. In questo caso, il luogo di cui si parla è un’isola ma quel che mi interessa sono soprattutto gli isolani che la abitano e una certa idea di sicilianità. Il siciliano non vive da solo ma in gruppo, per il gruppo. Questa nozione di famiglia è molto presente nella creazione, tanto che per la prima volta ho creato un lavoro in cui per 130 minuti nessuno dei danzatori esce mai di scena. Il gruppo è onnipresente, così come nella vita quotidiana in Sicilia. Questo è quel che io chiamo lo “scheletro familiare”, nel quale si creano legami complessi. In questi legami ho introdotto anche il rapporto con la religione e l’omertà, due pesi intellettuali e fisici molto presenti sull’isola. 

La Sicilia è stata dominata da tutti nella storia, per questo il siciliano pecca di eccessiva personalità e di un costante e conflittuale complesso di superiorità e inferiorità. Siamo in una società matriarcale, e dunque la donna in questa creazione è molto presente, domina tutto il lavoro e lo fa partendo dalla figura di Sant’Agata, che all’inizio del lavoro fa riflettere sul ruolo che Satana può avere oggi. Introduco così i due temi fondamentali della sicilianità di cui parlavo prima, religione e mafia, indissolubilmente legati tra loro. Qui sono messi sullo stesso livello e hanno lo stesso peso, per questo vivere in Sicilia è così complicato.

Chi sono gli interpreti di questo lavoro?

I ragazzi con cui lavoro in “Catania Catania” sono quasi tutti italiani soprattutto meridionali, solo due sono stranieri e fanno da contro peso e contrappunto a questa nostra realtà. Ho scelto dei danzatori che avessero – anche se molto giovani – una profonda conoscenza, cultura e coscienza di questa situazione così forte. Si è creato dunque un miscuglio di cultura mediterranea e modernità.ECO_CataniaCatania_residenza4 (4)Bolzano – Catania, due città agli antipodi dell’Italia, due universi distanti e forse opposti. Come capire, a nord, la sicilianità, apparentemente così distante da noi e dal nostro comune pensare?

Si tratta di temi e mondi lontani, anche perché geograficamente non abbiamo la stessa storia. L’unità d’Italia è recente e siamo, appunto, agli antipodi. Questa realtà siciliana di cui parlo, somiglia a quella di tutto il Mediterraneo, c’è qualcosa di comune nell’aria. Sono curioso di capire come verrà colto questo lavoro a Bolzano, anche perché usiamo a supporto della danza dei testi in siciliano (che saranno tradotti in italiano e tedesco) che sono importanti e danno peso all’insieme. In generale, comunque, ho inserito dei codici che sono un linguaggio universale, quindi secondo me non serve essere siciliani o isolani per capire. Un esempio. All’anteprima ai piedi dell’Etna sono venuti degli spettatori francesi che si sono molto commossi perché, pur non conoscendo il dialetto, hanno capito il senso globale della creazione. Questo è l’importante per me. In scena, nel finale sono presenti situazioni e tematiche reali della vita in Sicilia, come per esempio l’immondizia. Si tratta di temi già trattati in “Palermo Palermo” di Pina Bausch. Lei trattava la città con occhio tedesco, io tratto Catania con occhio siciliano anche se la mia cultura personale è ormai anche francese. Dunque, penso di avere il distacco necessario per affrontare questo lavoro e per trasmetterlo ad un pubblico “universale”.

Tutti noi, quando pensiamo a un luogo, a tanti luoghi, siamo imbevuti di cliché e di stereotipi. Come abbatterli, per riportare una narrazione più reale, vera, sincera? Quali espedienti coreografici e di messinscena hai attivato per arrivare al punto, alla tua “verità”?

Per me in questo caso era essenziale distaccarmi dai cliché, non parlare di folklore, ma piuttosto trattare la materia con modernità. Dalla scrittura coreografica alla scelta dei danzatori, fino alle scelte musicali basate sulle sonorità techno. Si tratta di una partitura elettronica in cui si inseriscono strumenti siciliani rivisitati che ricordano i suoni di una processione, momento sociale da noi molto forte. In questa musica si trovano suoni e colori che riportano alla Sicilia ma con un trattamento contemporaneo. La techno ha grinta e una violenza cupa che si ritrova in scena. È una sagra mediterranea, incalzante, fatta di ritmo e di corpi che si battono incessantemente.
In Sicilia quando cerchi di elevare il siciliano intellettualmente, si dice “devi stare muto”. C’è una specie di fascismo siciliano, non devi elevarti, devi vivere nell’omertà. In più il calore ambientale ti annienta, si vive al rallentatore a livello sia fisico che mentale. Ho sempre odiato questa lentezza, è uno dei motivi per cui sono andata via. Ho cercato allora di prenderla in contropiede nella scrittura coreografica: i danzatori non smettono mai di muoversi, restano in piedi, combattono, contraddicono con i loro gesti costantemente il naturale rallentamento della vita siciliana.

Da catanese all’estero, ma anche da coreografo e artista, tu credi nella Sicilia, hai fiducia in lei, hai speranze per il suo – e nostro – futuro?

La complessità del vivere qui è indubbia. Io ho preso questo lavoro come un manifesto, un grido. Per denunciare la situazione che è quella che è ma nella quale, nonostante tutto, cerchiamo di vivere, e di vivere bene. Qui si dice “qualsiasi cosa arriva, niente ci fa”. Il siciliano nasce e cresce in un luogo dove tutto è precario. L’Etna è molto presente. Crescere ai piedi del vulcano dà forza ma anche un senso di precarietà che ritrovi nel modo di essere e di fare della gente. La scena a un certo punto si riempie di limoni e arance, simbolo di sicilianità ma anche del carattere del siciliano che può essere dolce ma anche acido. Il siciliano è fatto cosi, è doppio e ha anche in sé violenza, invidia e gelosia che vengono vissute quotidianamente e che non permettono di evolvere intellettualmente.

Io da poco sto rientrando in Italia. Per anni non sono tornato perché dovevo costruirmi artisticamente. Oggi mi sento in pace. Fare questo lavoro è stata quasi una terapia, dopo anni tutto torna e acquista un senso. Sono molto legato a questa creazione perché accoglie aspetti autobiografici e situazioni personali.

Da un lato non posso che credere in Catania, altrimenti non sarei qui, dall’altra posso dire che certe difficoltà le ho viste anche 27 anni dopo. Fare la prima a Bolzano è un paradosso splendido. A Catania ho parlato con i politici di questo lavoro sulla loro città, hanno però dimostrato scarso interesse ed è un peccato. Queste sono le situazioni mi lasciano perplesso e che mi fanno capire perché me ne sono andato.

In generale però sono molto positivo. Ora ho voglia di far qualcosa in Italia e in Sicilia, forse un festival di danza. Dunque, non sono pessimista verso la mia isola, certo nessuno ti aiuta, tutto è complicato e fanno di tutto per bloccarti, ma io ho fiducia nella mia Sicilia. Alla quale vorrei dedicare – se questo primo esperimento andrà bene – anche un volume 2 di “Catania Catania”. Questo primo pezzo ha un ha colore crudo e diretto, nel secondo vorrei raccontare la parte borghese della città, quella da Gattopardo.

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