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June 20, 2016

Addicted to eco-social design ovvero come diventare industrial designer: Stefania Zanetti

Kunigunde Weissenegger
Dal 21 al 22 giugno 2016, all'UniBz, Stefania Zanetti e Andrea Sebastianelli presenteranno il loro progetto di fine primo anno del MA Eco-Social Design. Gli atelier saranno aperti dalle 10 alle 21, cercateli nel edificio F4, al quarto piano, tra gli atelier dei master.

Ho scoperto il progetto di Stefania Zanetti e Andrea Sebastianelli, Master partner in crime, a fine maggio 2016, all’Università di Bolzano, in occasione del conflict kitchen di blufink, intitolato “Canapa Wunderpflanze Hanf”. Stefania Zanetti era l’invitata al tavolo “Von Hanfhäusern, Autos, Lebensmitteln & Kosmetikprodukten” e vicino al suo nome c’era scritto ‘Hemp fiber‘. (Aggiungendo una e in fiber in tedesco verrebbe fuori Fieber, cioè febbre. Curioso, no?) Questo titolo mi aveva talmente incuriosito da decidere di contattarla. Così, tra un incontro, parecchie mail e messaggi facebook, ho scoperto il percorso avvincente di un’ambiziosa industrial designer che vorrei condividere con voi. Quella che leggerete, dunque, più che un’intervista è una biografia che racconta una storia forse comune a molti studenti e studentesse, ma che acquista per originalità e interesse man mano che la si conosce.

Stefania Zanetti è nata a Trento l’11 ottobre 1993 e abita a Vigolo Vattaro, di fronte al monte Vigolana, un paesino in provincia di Trento dove la sua famiglia si è trasferita quando era molto piccola. <<Il posto dove io e mia sorella Sara abbiamo imparato a costruire casette sugli alberi e a volere bene senza esprimerlo esplicitamente>> aggiunge Stefania. Dopo la scuola media, ha frequentato l’Istituto d’ arte A. Vittoria a Trento, un luogo di formazione e di incontri particolari: <<Era quello il periodo della vita in cui si inizia a sentire di aver qualcosa di personale che si vuole vomitare sul mondo, il momento in cui si prova ad esprimersi sperimentando varie tecniche e comportamenti, testando e scoprendo le proprie capacità. Quel periodo in cui, sempre in ballo tra spontaneità e pensieri infiniti, a fine giornata si inizia ad prendere coscienza di cosa davvero ci rende felici.>> Stefania Zanetti

Chi è Stefania Zanetti oggi? <<Di getto, dovessi dare una descrizione di me, direi una ragazza timida ed incerta, che vive in una situazione, ‘precaria’. Cercando di scavare sotto all’apparenza però, tenendo in considerazione i molti anni che mi vedono impegnata nel conoscermi, posso dire di essere un’osservatrice tenace e curiosa. Sento la necessità di studiare le situazioni, analizzandole, per trovare un posticino dove piantare le mie radici e far crescere i miei rami verso il cielo. Ho sempre pensato alle persone come ad alberi di Natale spogli da addobbare. Penso che il modo migliore per rivestirli sia testarsi in ambiti diversi, accettando gli stimoli più vari, assorbendoli e facendoli depositare.>>

Chi era Stefania Zanetti? <<Il mio hobby durante l’adolescenza era il nuoto, sport che ho praticato a livello agonistico per molti anni e che mi ha permesso di diventare istruttrice e bagnina. Durante gli allenamenti, oltre alle piastrelle perfettamente allineate e ai soffitti in legno nodoso, mi piaceva sentire l’acqua scivolare sulla mia pelle, trovandomi isolata in un ambiente in cui ogni percezione è diversa. Pensavo alla sensazione della propulsione di una bracciata, alla potenza di una gambata a rana, all’attrito e al brivido di un tuffo nell’acqua fredda che sbatte sulla cuffia che mi fascia la testa ben stretta tra le spalle. Quelle due ore di allenamenti al giorno mi permettevano di pensare e sentire le cose in maniera diversa. La competizione, poi, è sempre stata per me un ambito in cui i fattori in gioco erano ben delimitati. Un trampolino su cui salire per combattere la mia insicurezza, il mio essere nata con consapevolezze ovattate. 

Il tempo libero, andando avanti con gli anni, l’ho sempre investito in quello che mi faceva andare a letto col sorriso sulle labbra: creare. Non mi è mai piaciuto stare con le mani in mano, seduta sulla poltrona. Può sembrare banale come frase che esce dalla bocca di una designer eppure, la soddisfazione di produrre, di sporcarsi le mani, le texture dei materiali, la cremosità dei colori, il click di uno scatto e la possibilità di veder concretizzato un fiume di ricerche e pensieri, hanno pochi rivali. Sono un’amante della trasmissione emotiva, amo la fotografia e la vedo un modo per raccontare ed evocare, oltre che testimoniare e fissare percezioni.>>

Stefania Zanetti

Stefania, si è laureata la scorsa estate, cioè nel 2015, in Design Industriale. Dopo due mesi dalla laurea, si è iscritta al Master in Design eco-sociale (Glocal Design), alla Libera Università di Bolzano, pioniera di questo nuovo corso di studi: <<Mi è sembrato che questo master affrontasse e desse non solo potenziali risposte, ma soprattutto concretezza alle domande che mi ero posta con la laurea in tale disciplina. Del design, mi è sempre piaciuta l’attenzione alla funzione, l’analisi dell’utilizzo, il suo miglioramento e la sua massimizzazione. Ho imparato a non amare la bellezza in senso di pura estetica, iniziando a pensare all’utilità dell’oggetto. Nella progettazione dell’oggetto industriale vedevo una mancanza di alternative, figlia di un metodo d’insegnamento basato su un’impostazione standardizzata di produzione, un dogma indiscutibile seguito religiosamente. Estrusioni, termoformatura e processi finalizzati a trovare il modo più efficace di plasmare la plastica con il minimo costo e il massimo guadagno ne sono un esempio. Ho voluto rianalizzare queste certezze assolute, fermandomi a pensare alle possibili alternative d’approccio che la progettazione e la produzione possono contemplare. Dalla laurea triennale sono uscita come disegnatrice creata con lo stampino, proprio come quello che dovevamo mostrare di saper progettare.Stefania Zanetti La giovane designer guarda lontano e non ama i cliché: <<Perché non fare in modo che questa massimizzazione del profitto e dell’efficienza d’uso si combini in maniera sinergica e si bilanci con fattori come la sostenibilità, l’impatto ambientale e quello sociale? Sono convinta che al mondo d’oggi non ci sia bisogno di nuovi oggetti, ma della capacità di utilizzarli al meglio, di saperli riparare e, perché no, di auto-costruirli e personalizzarli. L’era dell’usa e getta dovrebbe essere superata; l’idea dell’obsolescenza, imposta dal mercato e da interessi che stanno ben sopra di noi, dovrebbe essere sconfitta. Quando pensiamo ad un oggetto, cerchiamo di tracciarne la storia, pensiamo alla provenienza e al suo fine. Il corso di studio che sto frequentando interessa vari ambiti e fornisce diversi input, offrendoci una visione aperta alle possibili aree di indagine e ricerca da tenere in considerazione durante un progetto. Grazie a questi stimoli saremo in grado di creare per il mondo reale, non per realtà in provetta. Operiamo a partire da una problematica, cercando di risolverla attraverso l’uso di più strumenti e metodi d’analisi. Ma non solo, alcune materie ci offrono la possibilità di esprimerci e sapere come inserirci in modo efficace e logico nei processi quotidiani, servendoci di servizi e strategie mediatiche già ben rodate ed utilizzate. Una tale vastità di argomenti, a mio parere, richiederebbe almeno un corso di studi di 4 anni. In una visione così organica, salta all’occhio come l’utilizzo sia strettamente collegato alla produzione. L’utente è spesso vincolato dall’oggetto, spetta a noi designer capire come affrontare e indirizzare ad un uso che riteniamo dal nostro punto di vista il più giusto. Parlando di approccio, mi vorrei poter definire come disegnatrice non solo di pratiche sostenibili di produzione, ma anche di possibilità di consumo e vita.>>Stefania Zanetti + Andrea Sebastianelli Arriviamo quindi al progetto attuale di Stefania Zanetti e Andrea Sebastianelli, che presenteranno in occasione della mostra di fine anno GästeOspitiGuests, dal 21 al 22 giugno all’Università di Bolzano, e che contano di testare, verificare e portare a completo entro Settembre 2016: <<Tutto nasce lo scorso semestre (inverno 2015), eravamo a Malles, in Alta Val Venosta. Stavamo collaborando e sviluppando dei progetti sul tema dell’alimentazione, quando siamo venuti a conoscenza di un materiale preziosissimo come la canapa, tramite Werner di Ecopassion. Ascoltandolo abbiamo subito pensato che ci fosse molta carne da mettere al fuoco, o meglio, molti semi da mettere nel terreno!>>

Così, dai pensieri e dalle analisi dei due compagni di Master è nato Hemp fiber: <<Dopo una ricerca preliminare, abbiamo iniziato a capire che il potenziale di impiego della canapa è grandissimo e, ci sembrava, adeguato a rimpiazzare naturalmente anche materiali plastici derivati del petrolio. Ci siamo fermati poi ad osservare le monocolture che caratterizzano la coltivazione della canapa, trovandole una risposta all’economia del profitto più che del valore. A noi piace l’idea di poter fornire delle alternative. Vogliamo poter pensare ad un approccio più sostenibile, come lo è la coltivazione della canapa, che fa bene non solo al terreno e all’ambiente, ma anche molto direttamente alla nostra pelle, al nostro corpo. Al giorno d’oggi, parlare di canapa crea una certo senso di insicurezza di percezione, ma questo deriva solo da un’immagine distorta  diffusa dal proibizionismo americano degli anni ’30, dopo 10mila anni di utilizzo. La canapa era stata identificata come cannabis, sostanza stupefacente, non facendo distinzione tra la percentuale di THC (principio attivo) della pianta, che determinava l’effetto stupefacente o meno. Fino agli anni 40 circa, l’Italia era uno dei più grandi produttori europei di canapa, l’industria ad essa connessa stava iniziando a svilupparsi quando gli interessi strategici di chi lo vedeva un materiale potenzialmente concorrente al nylon e alle materie plastiche ne anno distrutto ogni speranza.>>

Stefania Zanetti + Andrea Sebastianelli_

<<Questa rottura, ha determinato una perdita delle conoscenze fermando l’implementazione e lo sviluppo dei macchinari per la lavorazione della canapa, determinando al giorno d’oggi l’impossibilità di poter avere dei materiali concorrenti, per prezzo ed efficacia, a quelli plastici. Allo stesso tempo, in zona, abbiamo notato il brulicare di diversi piccoli produttori che interessati al materiale stanno iniziando a ricercare le conoscenze, piantando nel terreno in maniera molto spontanea questi semi preziosi. Ma senza avere conoscenze e strumenti per utilizzarli.

Stefania ed Andrea hanno intervistato diversi piccoli agricoltori pionieri, trovando nelle loro osservazioni dubbi, sicurezze, problematiche e pregi del materiale. Rileggendo il passato, hanno visto che storicamente l’Italia era forte nel settore tessile, filiera andata poi a perdersi completamente e che resta solo nei ricordi e nella resistenza delle lenzuola e delle tovaglie che ancora le nonne utilizzano in casa. Al giorno d’oggi, i giovani contadini che ne percepiscono il potenziale ne ricavano olio, farina e prodotti cosmetici come risultato più efficace, andando semplicemente ad adattare dei macchinari utilizzati solitamente per altri materiali. <<È qui che siamo intervenuti noi. Della canapa di può davvero utilizzare tutto, assecondando una logica di profitto e zero sprechi. Abbiamo pensato di rivolgere il nostro impegno all’ambito in cui c’è il deficit più grande, l’estrazione della fibra.>>

 Stefania Zanetti + Andrea Sebastanielli Atelier Unibz

<<Il nostro primo passo è stato quindi analizzare le macchine utilizzate prima del proibizionismo, strumenti meticolosi che richiedono grande manualità oltre che tempo, capendo che per poter essere reinserite in un contesto attuale devono essere parzialmente automatizzate o, come diciamo noi, rese meno low tech. Abbiamo cercato di ‘rubare’ le funzioni principali dividendole in step, concentrandoci in questa fase sulla divisione del canapulo, la parte legnosa dalla fibra. Da progettisti, più che da ingegneri, abbiamo indirizzato il nostro lavoro alla produzione di un apparecchio molto semplice, di cui metteremo i disegni tecnici e le spiegazioni online, aprendo la conoscenza al più vasto pubblico possibile. Gli utenti avranno la possibilità di costruire il proprio macchinario, commentando, condividendo la propria esperienza e le proprie osservazioni, con l’obiettivo di giungere ad un processo di estrazione di un materiale sempre più rifinito. La conoscenza e l’informazione devono espandersi, pensiamo al web come allo strumento per far girare la comunicazione e farla diventare virale più che monopolizzata.>> 

Perché cimentarsi con una macchina quando ci sono già aziende competenti e studi di ricerca che operano con un bagaglio di conoscenze più appropriate ed efficaci per portare il materiale ad un utilizzo industriale? – <<Secondo noi servono dei nuovi sguardi sulle problematiche, ma non solo, servono anche occhi attenti e capaci di capire le problematiche interpretandole con il proprio bagaglio culturale o, nel nostro caso, con la genuinità e l’ingenuità dei vent’anni, proponendo soluzioni fresche che potrebbero attirare l’attenzione e far risvegliare gli animi con piccole dimostrazioni.>>Stefania Zanetti + Andrea Sebastanielli Atelier Unibz 

In questo modo i due giovani designer cercano di risolvere il problema dal basso, pensando allo sviluppo e alla connessione di diversi produttori in un network d’appoggio e di condivisione, non solo dei semi ma anche del macchinario, che potranno costruire e condividere semplicemente scaricando il manuale online: <<Si parla di unione che fa la forza, di creare prima un tessuto locale ben fitto e poi pensare alla produzione di un tessuto fisico. In questi piccoli circoli, ragionando in una logica anti-industriale, pensiamo di poter introdurre anche artigiani e persone che sanno mettere in uso il materiale ricavato dalla macchina, seguendo il design che stiamo disegnando, reinventando così anche un possibile ruolo per un artigiano moderno. La fibra di canapa, anche dopo la semplicissima estrazione, presenta caratteristiche molto performanti, da proporre ai consumatori in un oggetto che si possa inserire e valutare con percezione moderna.>>

Stefania Zanetti precisa: <<Non vogliamo con questo dire che risolveremo tutti i problemi legati alla coltivazione, alla produzione e all’uso della canapa, e non possiamo nemmeno affermare che da domani un contadino potrà vivere di sola canapa. Vogliamo presentare la canapa come una coltura efficace da alternare a quelle esistenti, oppure come una risorsa in più per i produttori di solo olio e semi, che buttane o lasciano la fibra sul campo a marcire. Questo potrebbe essere un punto di inizio per uno sviluppo efficace e diffuso.>>

Unibz Andrea Sebastianelli + Stefania Zanetti

<<La nostra è una scintilla. Puntiamo sui valori che consideriamo parte integrante dei prodotti. Vogliamo alimentare il valore aggiunto di una produzione in piccola scala, trasparente e completamente naturale; sviluppando attraverso la macchina, e la contestualizzazione a livello regionale, oggetti con una filiera facile da ripercorrere.

Questi, che per ora sono un paio di scarpe e un grembiule, dovranno soddisfare in primo luogo i bisogni dei contadini, ma potranno essere decontestualizzati ed utilizzati per funzioni diverse, indirizzate anche ad un target mondano. Vogliamo mirare anche all’emotività, cercando di capire cosa del design moderno attira i consumatori, per dare la giusta diffusione, attraverso la vendita, a questo materiale così prezioso che al mondo porterebbe tanti vantaggi.>> 

Attendiamo con curiosità il seguito della storia…

Foto: (1) By Design or By Desaster; (2–4) Stefania Zanetti; (5) Andrea Sebastianelli + Stefania Zanetti; (6–8) Stefania Zanetti; (9) Andrea Sebastianelli + Stefania Zanetti.

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