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April 26, 2016

Brattaro mon amour allo Stabile: ne parla Andrea Bernard

Mauro Sperandio
Dal 28 aprile al 15 maggio, allo Stabile di Bolzano, va in scena "Brattaro mon amour", un noir ambientato nella periferia bolzanina. Ce ne parla il regista Andrea Bernard.

L’infinita tessitura delle vite che scorrono nelle città assume nella periferia le tinte cupe delle sete cangianti. Personaggi coloriti o di policromo intelletto, storie che in ombra non sono attinte dalla luce della ribalta, vite “minime” che scorrono nel solco atteso.
Un evento sensazionale come un omicidio diventa un’imperfezione nel tessuto sociale, un ottimo motivo per avvicinare lo sguardo alla varietà delle “fibre” che lo compongono.
Ad Andrea Bernard, regista e scenografo che porta allo Stabile il debutto di questo testo di paolo Cagnan, abbiamo chiesto di periferia, tragicità e comicità.

La periferia: un termine che spesso suscita immagini non felici, ma che identifica – specialmente oggi – un mondo popolato da una variegata umanità. Come si mostra la “Shangai di Bolzano” agli occhi di chi non la conosce?

In Brattaro mon amour non ho voluto mostrare la “Shangai di Bolzano” con una connotazione urbana chiara, non ho voluto rappresentare da un punto di vista scenografico  uno scorcio preciso della città, ma ho scelto di idealizzarla in qualche modo, elevandola a simbolo della periferia in generale.
Per come ho scelto di leggere il testo, Bolzano è rappresentata secondo la visione che di essa ha il commissario  meridionale da poco trasferito in città. Le contraddizioni, le discussioni originate dalla contapposizione tra gruppi linguistici, le opinioni sulla vita quotidiana di chi abità la città sono gli elementi che colpiscono il poliziotto e, attraverso la sua personale percezione, diventano i tratti caratteristici dello spazio che ho voluto rappresentare.
La Bolzano che portiamo in scena viene così idealizzata, fino a diventare surreale, per dare a tutti un’idea dell’atmosfera che la caratterizza.

brattaro mon amour

Nel turbinare d’umanità varia un punto fermo: il brattaro.

Il brattaro è un simbolo molto chiaro di questa atmosfera. Con il suo chiosco, il venditore di würstel, rappresenta una sineddoche, una parte di Bolzano che ne incarna in toto lo spirito.
La vicenda si svolge attorno a questo simbolo, pochi altri elementi riescono pienamente a rappresentare pienamente ciò che si intende per periferi bolzanina, Shangai.
Il brattaro che portiamo in scena è un personaggio interessante. Nasce come proprietario di un night club, ma la concorrenza e qualche problema legale lo portano a dover chiudere. Per rimanere nella zona, Giò -questo il suo nome – decide di aprire un chiosco. Il nostro brattaro è un personaggio disilluso, che serba varie amarezze legate alla sua esperienza, schierato politicamente con quella destra che qui da noi si contrappone storicamente alla realtà tedesca per una questione identitaria. Aspetto quest’ultimo che nelle zone di Novacella, Don Bosco ed Europa è particolarmente sentito, vista la massaccia immigrazione italiana voluta da Mussolini.
Sulla stessa linea ma dal lato opposto, ovvero anti italiano, si trova Ferdinand, che dal centro storico si è trasferito nella zona di Shangai. Ho cercato però di non stereotipare entrambi, per evitare di banalizzare questi aspetti.

Lo spettacolo è definito come un “noir tragicomico”, in cosa risiedono l’aspetto tragico e quello comico?

La tragicità ce la offre la storia stessa, nel raccontare il ritrovamento del cadavere della cameriera del brattaro e le indagini connesse al suo omicidio. Il lavoro del commissario porterà a svelare la drammaticità delle vite dei protagonisti stessi, il loro passato e il loro presente difficile.
Le beghe e le chiacchiere da bar, un’idea del commissario ed un finale a sopresa conferiscono alla storia un’ironia inattesa.

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Fatti tragici come un omicidio escono dall’ordinarietà e diventano degli eccessi, delle brusche frenate nello scorrere della normalità. Come un capitombolo, agli occhi del regista, un fatto tragico non ha sempre un potenziale comico?

È proprio questo il lavoro che ho fatto. Ad un certo punto l’omicidio è passato in secondo piano, per lasciare spazio alle vite dei personaggi e all’indagine del commissario che, con i suoi modi particolari, si connota per una particolare vis comica. Durante lo spettacolo il pubblico non vedrà il cadavere, un po’ come nei film di Tarantino, generando curiosità e una sorta di comicità. Possiamo dire che l’elemento comico presente nello spettacolo ricorda la cifra dei testi di Pirandello: non è tanto la battuta, quanto le situazioni che offrono occasione di sorridere e riflettere.

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Il tuo lavoro ti ha portato ad affrontare testi di autori celebri, in teatri di tutto il mondo: che effetto ti fa portare a teatro una storia indedita e ambientata nella tua città natale?

É stata una bella esperienza e una bella prova. Quando si ha a che fare con un testo famoso, di drammaturghi importanti, il lavoro è in qualche modo più semplice e più difficile, perchè ci si confronta con una letteratura consolidata. Nel caso di Brattaro mon amour, essendo un inedito, ho potuto osare forse di più. In più, il lavoro a contatto con Paolo Cagnan ha permesso una collaborazione molto interessante.
Nel mettere in scena lo spettacolo la sfida è stata quella di parlare della mia città alla mia città, cercando di mettere da parte la mia visione personalissima, che è condizionata dal coinvolgimento e dall’esperienza diretta. La responsabilità è grande, senza dubbio. Trovo poi particolare il fatto di mettere in scena personaggi che ho conosciuto e che ho ben presenti anche a livello linguistico, figure note nell’immaginario cittadino, ma che nello spettacolo hanno nomi fittizi. Andare a teatro significa andare alla scoperta di cose nuove, la ricerca di evitare il banale è stata motivata da questa intenzione, speriamo di esserci riusciti.

Foto: Anna Cerrato

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