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March 15, 2016

“L’ho fatto io, e ora lo vendo”. L’handmade da passione a professione. Intervista a Francesca Baldassarri,

Anna Quinz
Venerdì 18 marzo Francesca Baldassarri - anima della community italiana di Etsy - sarà a Impact Hub trentino (Trento9 a presentare il suo nuovo ebook "Vendere handmade", dove spiega come trasformare le passioni manuali in mestiere. E il giorno dopo, sempre Francesca, terrà un workshop in cui guiderà nella scelta delle diverse piattaforme e delle risorse che possono essere utilizzate per vendere online in modo efficace.

Oggi il mondo dell’handmade, del “fatto a mano”, del Do it Youself e dell’artigianato è profondamente cambiato. la rete, i social network e piattaforme come Etsy hanno rivoluzionato dalle fondamenta un settore che è sempre esistito, che ha sempre mosso le mani di tanti appassionati del “fare da sé”. Questo cambiamento in atto ha inevitabilmente modificato profondamente anche il rapporto che intercorre (o può intercorrere) tra l’oggetto creato a mano, il suo creatore e l’universo là fuori. Oggi infatti è sempre più ambizione di molti trasformare queste passioni manuali in un vero e proprio mestiere, che passa per processi necessari di professionalizzazione, consapevolezza, commercio. 

Francesca Baldassarri è forse una delle maggiori esperte della materia  in italia. Tanto che ha da poco pubblicato un utile manuale in formato ebook, per tutti coloro che desiderano proprio fare questo “grande passo”. 
“Vendere handmade” è – come recita il sottotitolo – una guida completa per trasformare una passione in professione. Passando dalle mani alla rete, dalla partita IVA ai mercati (reali e virtuali) fino ai tanti piccoli fondamentali passi da fare per iniziare a vendere efficacemente le proprie creazioni nel mondo. 

Francesca venerdì 18 e sabato 19 sarà ospite di Impact Hub Trentino a Trento, per raccontare la sua esperienza e per condurre un workshop pratico in cui condividerà molti passi trattati nel libro. L’abbiamo intervistata, per capire un po’ di più e un po’ meglio lo status quo del sistema handmade in Italia, per coglierne qualche debolezza, forse, ma sopratutto per conoscerne i punti di forza, in un tempo in cui tutto cambia velocemente e stare al passo è passo cruciale. 
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Ciao Francesca, partiamo da qualche cenno biografico. Chi sei, che fai, come sei arrivata a essere alla testa di Etsy Italia e a scrivere questo libro.

Sono Francesca Baldassarri, mi occupo di artigianato a tutto tondo, sono infatti un’artigiana (o crafter) e faccio formazione e consulenze agli artigiani sulla vendita dell’handmade. Sono approdata a Etsy col mio negozio nel 2010 e sono subito entrata nella community italiana (Etsy Italia Team), perché Etsy era già un mondo difficile ed ero consapevole di aver bisogno dell’aiuto da chi lo conosceva bene per partire. Sono stata coinvolta ben presto nelle attività della community, iniziando a organizzare piccoli eventi (i craft party) e scrivere sul blog del team. Ho trovato persone talmente disponibili e gentili che  mi sembrava di essere su un altro pianeta, così, con la voglia di dare indietro la gentilezza ricevuta, sono entrata nella gestione del Team (nb i team sono le sotto community di Etsy, gestite in maniera volontaria dai venditori), ho studiato tantissimo per aiutare gli altri iscritti, e al tempo stesso il mio negozio è iniziato a decollare. Dato che Etsy non aveva e non ha una sede italiana, mi sono ritrovata spesso a fare da tramite tra la community e l’azienda, partecipando ad eventi e spingendo molto per la traduzione di Etsy in italiano,  che è avvenuta grazie proprio agli sforzi della community. Infatti io, insieme ad altri volontari, abbiamo tradotto il sito che altrimenti sarebbe probabilmente ancora in inglese, dato che l’italia non è un mercato appetibile per la grande azienda americana.
Grazie agli anni passati a moderare il forum dell’Etsy Italia Team e scrivere articoli per il suo blog sono diventata esperta per quanto riguarda la vendita dell’handmade. Dal 2014, insieme a due colleghe crafter, ho fondato la Colibrì Academy, che si occupa di corsi online per piccoli brand handmade.
Il primo passo verso l’ebook è stata la richiesta di Francesca Marano di scrivere per C+B per la rubrica handmade; scrivo un articolo al mese dal 2014 e tutto il materiale accumulato era sicuramente abbastanza per un ebook, che però non avrei mai fatto da sola perché mi sembrava un lavoro immane. Per fortuna sempre Francesca ha pensato potesse essere una buona idea, ne ha parato con i ragazzi della casa editrice Zandegù, che sono stati entusiasti e me lo hanno quindi proposto.

Da qualche anno ormai l’universo dell’handmade è radicalmente cambiato. Dall’hobbysmo alla professionalizzazione, il passo pare ormai compiuto. Eppure, a ben guardare, sembra – almeno a me – che già questa nuova “tendenza” sia un po’ esausta e al capolinea. Nel senso che, a forza di cercare di trasformare una passione manuale in professione, il settore oggi risulta saturo, pieno di così tanta offerta (certo anche qualitativa e creativa) che il potenziale cliente si ritrova confuso e spaesato. E allora, magari finisce col tornare nel vecchio rassicurante negozio a comprare i vecchi e rassicuranti prodotti industriali. Tu che ne pensi?
R In Italia ancora non si è sicuramente arrivati a saturazione, perché in realtà si compra davvero poco handmade rispetto ad altri paesi, e la professionalizzazione non è così diffusa, anche, purtroppo, per colpa delle normative fiscali che scoraggiano l’apertura di partita iva come artigiani e non permettono quindi a tanti brand di fare quel salto mentale che li potrebbe portare a ingrandirsi e fare sul serio.
Il cliente italiano mi sembra, più che confuso, poco abituato sia a comprare online che a comprare artigianato; si aspetta infatti i prezzi dei prodotti industriali e questo comporta un livello generale dei prezzi dell’handmade generalmente troppo basso per permettere ai piccoli brand di sostenersi e spiccare il volo. Il mio parere è che quindi ci sia ancora molta strada da fare, per trasformare una tendenza in un movimento duraturo in grado di apportare benefici ai piccoli brand e anche all’economia italiana. I presupposti ci sono, perché il Made in Italy è pur sempre molto ricercato all’estero.

03A cambiare tutto è stata senza dubbio la rete. anche lì però tra blog e social network, c’è da perdersi. Come fare a trovare, capire, mantenere qualità (non solo del prodotto ma anche della comunicazione) per distinguersi nel mare magnum del mercato dell’handmade, che abbatte i confini e permette di avere il mondo in mano con un semplice clic che mi farà arrivare a casa la borsa realizzata dalla mia artigiana del cuore in Australia?

Alla base c’è sempre il duro lavoro, non esistono formule magiche per farsi notare; se internet è una giungla, bisogna avere colori vivaci per spiccare nel mucchio ed evitare l’effetto mimetismo; distinguersi grazie all’originalità del prodotto e della comunicazione è l’unico modo per raggiungere i clienti più adatti al nostro brand. Una volta raggiunti, i clienti vanno fidelizzati grazie a un attento customer care, che si può esprimere in tanti modi: packaging curato, risposte gentili e immediate ai messaggi, sconti per gli iscritti alla newsletter, conversazioni interessanti sui social, l’importante è che chi ci segue percepisca di far parte di una tribù molto speciale, la nostra tribù. 

Per te social network e altri strumenti web quanto contano e quanto invece le relazioni “reali”, il vedere e toccare, parlarsi vis a vis (quindi fiere, mercati, ecc)? 

Le relazioni sui social sono “reali”, l’errore è non considerarle tali. Se le persone si sentono capite dopo che abbiamo interagito con loro sui social, non importa molto il non potersi parlare dal vivo, torneranno da noi. L’importante è capire quali sono i loro bisogni e come noi possiamo soddisfarli coi nostri prodotti. 

Un po’ come il mondo dei fashion blogger o food blogger o qualunque nuova professione generata e potenziata dalla rete, chiunque ormai pensa che basti un piccolo talento, un’idea vagamente creativa ed è fatta. Tu nel libro affronti proprio questo tema. Come comunichi, se lo fai, il fatto che prima di tutto ci vuole un po’ di onestà intellettuale e autocoscienza per capire che forse, non tutti possono farcela davvero?

Nell’ebook provo a far capire (e spero di riuscirci) che non basta fare una cosa che piace a noi per poter aspirare a vivere di handmade. Le variabili da considerare sono tante e la prima di tutte è il prodotto. Oramai c’è omologazione anche nell’handmade, si vedono sfilze di prodotti simili, nati da ispirazioni comuni, ed è anche normale che poi non si riesca a vendere più di tanto. Come dicevo sopra, bisogna distinguersi e studiare davvero tanto, perché, se si ha pure un prodotto con tante potenzialità, spesso non è abbastanza, bisogna saperlo comunicare, e qui spesso cadono molti creativi davvero bravi.

Perché credi che le persone siano tornate a sentire il bisogno di lavorare con le mani, di produrre artigianalmente, di recuperare tecniche e saperi manuali? Hai qualche storia di successo che puoi raccontare?

Creare con le mani fa bene all’anima, basta chiedere a chi fa uncinetto o maglia per sentirsi rispondere che è terapeutico. Credo che la crisi sia stata la miccia, tante persone sono rimaste a casa o non riescono a trovare lavoro e, grazie anche internet e alla facilità di imparare online, si sono messe a fare cose fatte a mano, magari rispolverando saperi imparati durante l’infanzia e adolescenza o semplicemente cercando di trasformare un hobby in un’occasione di guadagno.
Una storia esemplare in cui molte si riconosceranno è quella di Rita Bellati, mia collega di Colibrì Academy. Rita lavorava come responsabile in un ufficio tecnico in un’azienda che faceva salviette umidificate e, quando è rimasta incinta, è rimasta anche senza lavoro. Ha iniziato a scrivere sul suo blog Faccio e disfo, poi ha ideato le collane Myselfie®, marchio che si è ingrandito e comprende ora anche il MySelfie® cottage. A forza di studio, corsi, mettersi in discussione, lavoro durissimo, ora è una tra le crafer più seguite in Italia. La sua storia mi piace molto perché dimostra che chi anche non venga dal mondo del design o dell’artigianato classico possa arrivare al successo grazie al duro lavoro e alla capacità di migliorarsi sempre.

Tu comunichi e insegni un approccio aziendale, professionalizzante e manageriale, per entrare nel mercato. Quali sono le cose che contano di più, al di là di una buona idea e del talento creativo, per poter farcela?

Ci vuole pazienza, testardaggine e autocritica. Niente accade dall’oggi al domani, bisogna perseverare e capire quando si può migliorare, quando si deve cambiare strada, quando il nostro prodotto non ha mercato. 

04Si può realmente vivere di questo lavoro? 

Non è facile ma si può, soprattutto se ci si rivolge ai mercati internazionali. Mi capita di vedere molte crafter che iniziano e pensano solo al mercato italiano, approfitto per dire loro: non siate miopi, rivolgetevi anche all’estero perché il Made in Italy è un brand che attira molto!

Si tratta principalmente di attività al femminile. Sempre più donne infatti si mettono in proprio e creano il loro piccolo universo professionale. Spesso creando network come C+B. ma focalizzarsi sulla questione “siamo donne, sosteniamoci tra donne, creiamo strumenti ad hoc per le donne” non rischia di “escludere”?

Il fatto è che gli uomini mi sembra abbiano un approccio diverso e meno comunitario sia alla professionalizzazione che alla condivisione dei saperi. Gestisco la community italiana da diversi anni e gli uomini sono aumentati tra gli iscritti ma non nella partecipazione alla vita di community; l’aiutarsi a vicenda mi sembra sia una caratteristica molto femminile. Io mi auspico che gli uomini partecipino di più, ma non si può costringerli, no? D’altra parte le donne sono svantaggiate nel mondo del lavoro (vedi la storia di Rita) mi sembra quindi giusto che ci sia ancora questa attenzione. Io non lo vedo come un escludere ma come un concentrarsi su chi ha più bisogno. 

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