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March 9, 2016

Everything is under control. Or is it not? Oliver Ressler ad ar/ge kunst

Allegra Baggio Corradi

In mostra fino al 30 aprile presso ar/ge kunst, “Everything is under Control” è la prima personale italiana dedicata ad Oliver Ressler. Incentrata sulla produzione cinematografica a carattere sociale dell’artista austriaco, la mostra è parte di un ciclo di esposizioni a livello europeo, incentrate sulle dinamiche economico-politiche alla base delle crisi umanitarie, ambientali ed economiche dell’emisfero sud del pianeta. Abbiamo intervistato il curatore Emanuele Guidi per comprendere come le opere in mostra rivelino le dinamiche mistificatorie del linguaggio politico capitalista assumendone le sembianze. 

Il filo conduttore dell’opera di Oliver Ressler è la ricerca di una giustizia sociale. Come si sviluppa il suo discorso politico all’interno degli spazi di ar/ge kunst?

Nella mostra abbiamo voluto raccogliere diversi aspetti della ricerca di Oliver Ressler e soprattutto rendere chiaro come questi sono profondamente interdipendenti l´uno con l´altro. I lavori in mostra si occupano quindi della questione ambientale, dello sfruttamento delle risorse, dell´urgenza migrazione, delle conseguenze del sistema economico capitalista e della necessaria ricerca di un modello “altro”.

4L’opacità del linguaggio della politica sembra riflettersi nel titolo della mostra. “Everything is under control” allude al fatto che l’unico controllo esercitato oggi é ormai solo quello di una politica economica fuori controllo che genera catastrofi ed é incurante del singolo?

Da un lato Ressler, con questo titolo si appropria dei toni di un linguaggio demagogico e populista che vuole rassicurare e nascondere gli effetti devastanti di politiche economiche liberiste. 

Ma nella mostra il termine “controllo” è poi declinato in termini propositivi e Ressler fa riferimento all’azione di gruppi di lavoratori che in alcune fabbriche hanno appunto ripreso in mano il processo produttivo e lo hanno fatto cercando di implementare modello sociale ed economico orizzontale e sostenibile.

In che misura l’utilizzo di film piuttosto che di altri medium artistici consente all’artista di comunicare il proprio messaggio di denuncia in maniera incisiva?

Credo sia importante ripetere quello che Marco Scotini ha scritto (e detto durante la conversazione inaugurale ad ar/ge kunst) a proposito del film di Ressler, posizionandolo in linea di continuità con il pensiero di Godard e la sua idea di cinema militante. La funzione che il film ha come “lavagna” e quindi come forma e formato per produrre, ma soprattutto far circolare conoscenza. Il film per Ressler ha esattamente questo tipo di funzione educativa, i suoi film non circolano soltanto in spazi per l´arte e festival, ma molto spesso sono usati dagli attivisti (spesso protagonisti dei film stessi) per diffondere il loro pensiero e pratica.

L’opera “Occupy, Resist, Produce” sembra essere il cardine della mostra. Come vengono affrontate attraverso di essa le problematiche legate alla produzione di nuovi modelli sociali in luoghi finalizzati alla produzione di beni di consumo (le fabbriche)?

“Occupy, Resist, Produce”, che Ressler ha realizzato con il sociologo Dario Azzellini, comprende tre film di 30 minuti ciascuno, dedicate a tre esperienze diverse: fabbrica Rimaflow (Milano), Officine Zero (Roma), e Vio.Me. (Thessaloniki), tutte occupate dai lavoratori tra il 2010 ed il 2011, dopo che i proprietari le avevano abbandonate. Quello che Ressler e Azzellini mettono in campo è proprio la scelta da parte dei lavoratori di non sottostare alla logica del mercato che vorrebbe la chiusura e lo smantellamento della fabbrica -con tutte le conseguenze che questo avrebbe sul territorio- concentrandosi sullo sforzo che questa decisione comporta. Non stiamo parlando quindi di film che glorificano un´azione vincente, ma di un racconto in forma di video che presenta questa nuova “impresa” come sforzo collettivo.

Quello che appare evidente è che la reinvenzione di questo modello economico, non può prescindere dal tessuto sociale in cui è calato e allo stesso tempo dalla ricerca linguistica che è necessario portare avanti. Quindi da un lato i registi osservano il confronto tra i lavoratori con altre associazioni di quartiere e con comunità di migranti che stanno affrontando sfide parallele, dall’altro non nascondono le difficoltà che la ricerca di questo linguaggio comportano. Al contrario, questo aspetto è centrale nei tre film che documentano principalmente le assemblee e le riunioni dei diversi direttivi, con i loro momenti di stallo e indecisione, ma anche entusiasmo che le caratterizzano.

2Che rapporto c’é in “The Visible and the Invisible” tra la quesitone della migrazione e lo spostamento di esseri umani e la narrazione fluida, in movimento del medium cinematografico? 

In “The Visible and the Invisible” la questione migrazione non viene affrontata direttamente. Il film si occupa principalmente di quei gruppi economici che hanno sede legale in Svizzera e si occupano di “trading”, quindi di commercio di materie prime, estratte nei paesi del Sud globale, ma senza realmente farle circolare attraverso la Svizzera. Parla quindi di un´economia smaterializzata, per lo meno nella forma in cui opera il controllo sulle risorse, e racconta l’impatto reale che questa ha nei paesi di estrazione.

Ressler usa il termine “saccheggio”, ed è un saccheggio che produce povertà localmente e che quindi genera migrazione. Per questo abbiamo presentato il film a fianco a “The Right of Passage”, che invece si occupa più direttamente della questione del diritto al “transito” non solo di merci, ma soprattutto delle persone. Dedicheremo una giornata a questo tema il 15 di Aprile in collaborazione con il Film Festival di Bolzano.

Per quanto riguarda il medium specifico, Ressler ha girato tutto il film “The Visible and the Invisible” offuscando l´immagine per fare riferimento all’opacità con cui questi gruppi economici operano, mentre tutta l´attenzione è spostata sul voice over, e quindi sul linguaggio che invece ha la funzione di svelare, di rendere visibile, appunto. 

L’importanza che Ressler attribuisce all’intensificazione di processi decisionali collettivi (in materia politica, economica e sociale) sembra avere un legame diretto con la natura collettiva di ar/ge kunst. In che misura la mostra riflette le dinamiche interne alla galleria nella quale é ospitata? 

Chiaramente questo è un aspetto che mi interessava anche in questi termini, per poter proseguire quel tipo di riflessione che è iniziato nel 2015 con l´anniversario di ar/ge kunst, e che sicuramente continuerà in futuro.

Uno degli aspetti che ci tengo a sottolineare in particolare, è la forma di collaborazione che abbiamo attivato anche questa volta tra un’artista internazionale ed una pratica più locale che, secondo me, riflette sui temi trattati in mostra. Mi riferisco al lavoro della cooperativa sociale Akrat che si è occupata di disegnare e costruire le sedute per i film ed un reading corner. La tribuna fa da controcampo ai film e in termini spaziali, traduce un’idea di “supporto” che è centrale per pensare e praticare qualsiasi forma di lavoro collettivo. 

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