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March 4, 2016

Typeklang: il carattere del contenitore, il suono del contenuto

Allegra Baggio Corradi
Typeklang è uno studio di comunicazione visiva bolzanino fondato da Massimiliano Mariz nel 2004 che si occupa di progettazione grafica prevalentemente nei settori culturale e artistico. Abbiamo intervistato Massimiliano per esplorare le sfumature del suo universo creativo.

Come prima cosa una piccola introduzione di  Typeklang. Da dove proviene il nome, come è nato, di cosa si occupa?

Typeklang è lo studio di comunicazione visiva che ho fondato qui a Bolzano nell’ormai lontano 2004. Il nome typeklang risale ai tempi in cui ancora studiavo all’Hochschule für Kunst und Gestaltung di Zurigo; era uno dei miei primi nickname agli albori dell’era di internet ed è successivamente diventato il nome dello studio. Typeklang è una parola composta dall’inglese «type» – carattere, e dal tedesco «klang» – suono e sottolinea molto bene il valore, la forza del carattere tipografico. 

Lo studio si occupa fondamentalmente di progettazione grafica. Progettiamo e realizziamo soprattutto pubblicazioni editoriali, identità visive e immagini coordinate, ma ci occupiamo anche di allestimenti di spazi espositivi, di sistemi informativi di segnaletica ed orientamento e della creazione di strutture web. Lavoriamo quasi esclusivamente con istituzioni, associazioni e clienti privati del mondo culturale, artistico e educativo. Abbiamo anche qualche cliente commerciale.

Fondare uno studio è sempre stato tra i miei obiettivi. Dopo la laurea ho lavorato come visual designer prima a Milano e poi qui a Bolzano. A Milano ho avuto la fortuna di lavorare per AG Fronzoni negli ultimi anni del suo studio bottega. È stato per me un grande esempio, lì ho compreso quello che avrei voluto fare. appena ho avuto la possibilità ho aperto il mio studio. In quegli anni a Bolzano c’era un gran fermento culturale: era nata l’università e stava nascendo il nuovo Museion, iniziavano a diffondersi iniziative musicali, culturali e artistiche fino ad allora inimmaginabili. C’era una forte volontà, anche politica, di far crescere culturalmente e artisticamente il territorio. Diciamo che sono tornato qui nel momento giusto e lo studio che ho fondato ha avuto la fortuna di essere partecipe di questo fermento: abbiamo curato e curiamo tuttora progetti importanti per istituzioni, gallerie d’arte e artisti.    

1Typeklang ha collaboratori esterni con i quali lavora su base progettuale oppure ha un organico fisso? 

Da circa quattro anni sono affiancato nei momenti più impegnativi da un’assistente, ma lo studio è nato soprattutto come una piattaforma di collaborazione tra creativi con capacità e background differenti. A seconda delle necessità collaboriamo con altri grafici, con artisti, illustratori, fotografi, videomaker, copywriter, ma anche con architetti, artigiani e informatici. È proprio grazie a questo network che riusciamo ad offrire progetti completi in vari campi della comunicazione visiva.

In che modo si sviluppa il dialogo creativo tra te e il cliente? 

Non esiste una regola fissa, dipende dal progetto e dal cliente. In linea di massima lo studio non segue i classici schemi legati al mondo del marketing di un’agenzia pubblicitaria, anche se ci sono dei punti di collegamento. Raccogliamo un brief, ascoltiamo il cliente, cerchiamo di conoscere sia lui che il suo progetto sotto più aspetti. Rispetto ad un’agenzia pubblicitaria, l’approccio progettuale dello studio è basato più sulla ricerca e sulla sintesi concettuale che sulle analisi di mercato e degli utilizzatori. Personalmente sono più interessato a valorizzare gli aspetti artistici e culturali sia dei contenuti che del contenitore visivo che progettiamo.

Fatte queste premesse, il dialogo creativo è spesso influenzato anche dal budget. Si potrebbe sintetizzate il tutto dicendo che alcuni clienti sono più interessati ad approfondire e sviluppare il progetto in una dimensione concettuale, altri invece sono più pragmatici, più frettolosi, più superficiali. Con i secondi si creano dei progetti comunque dignitosi dal punto di vista estetico-visivo, ma effimeri, deboli dal punto di vista contenutistico. Con i primi, invece, la possibilità di creare progetti di spessore è molto più plausibile.

Considera anche che il mio stile grafico è a volte di nicchia, influenzato dalla scuola svizzera, ma non così estremo. Nei miei progetti si possono riconoscere i punti cardine di questo movimento, il funzionalismo, l’uso di gabbie geometriche, la ricerca e la sensibilità tipografica, la chiarezza e l’obiettività, la rinuncia al decorativismo, ma anche una loro decontestualizzazione e ricontestualizzazione attraverso linguaggi più contemporanei. Mi piace molto giocare con questi elementi e a volte, se necessario, trattarli in modo irriverente. Ecco, se il cliente condivide e si identifica con questa dimensione, allora ci sono i presupposti per una collaborazione molto efficace e soddisfacente per entrambi.

3La collaborazione con istituzioni culturali consente al design di diventare anche uno strumento pedagogico oltre che commerciale. Come conciliare le finalità educative di un museo con i suoi obiettivi promozionali? Devi attenerti a specifiche direttive o hai carta bianca?

La dimensione educativa non viene mai tralasciata nei miei progetti, ma spesso è distinta da quella promozionale. Gli obiettivi da raggiungere attraverso la comunicazione sono ben definiti e le direttive di un museo sono paragonabili a quelle di un’azienda commerciale. Anche i musei, infatti, hanno un’immagine coordinata con regole a cui attenersi, e le basi progettuali devono di conseguenza rispettare le specifiche stabilite. Esistono anche margini di evoluzione che dipendono però da come la direzione decide di interpretare il corporate design. Un discorso differente si può fare per le pubblicazioni editoriali per le quali ogni pubblicazione è un progetto a sé. Ciò permette di contestualizzare nuovi linguaggi e nuovi concetti.

La capacità educativa della comunicazione e il ruolo che noi progettisti rivestiamo in questo processo è una tematica che spesso purtroppo viene trascurata o, peggio ancora, dimenticata. Anche nel settore culturale esistono progetti grafici estremamente autoreferenziali, altri manieristici, altri effimeri; molti però dovrebbero essere innanzitutto di pubblica utilità. Nel mio piccolo, io cerco sempre di trasmettere le mie competenze ai miei committenti. È uno sforzo aggiuntivo che richiede impegno e tempo. Argomentando le proprie scelte razionalmente e contestualizzandole sotto diversi punti di vista, si cerca di aumentare il livello qualitativo delle produzioni, anche nell’ottica di quelle future. Attraverso la  comunicazione visiva si possono, infatti, ampliare le competenze culturali delle persone con cui ci si relaziona così come le loro capacità interpretative, trasformando queste ultime in un plusvalore utile nella quotidianità in generale. Aumentare la capacità critica in una società sempre più superficiale è una sfida fondamentale per noi progettisti. È per questo che, anche eticamente parlando, dovremmo esprimerci sempre con chiarezza, coerenza e obiettività.

Come si differenzia il processo creativo finalizzato al settore pubblicitario rispetto a quello dell’editoria d’arte?

Posso farti un’esempio. L’ultima pubblicazione che ho realizzato, «Synapsen», il primo volume di una trilogia dedicata all’artista all’artista Josef Rainer. Il progetto ha avuto un periodo di gestazione di svariati mesi. Insieme all’autore abbiamo messo in discussione il prodotto più volte, fino a farlo diventare una pubblicazione completamente diversa rispetto alle premesse iniziali. Il risultato è stato molto soddisfacente, il libro, da semplice monografia, è diventato un oggetto molto più complesso, con più livelli narrativi, sia visivi che testuali: una Wunderkammer ricca di citazioni e riferimenti.

La pubblicità ha scopi e obiettivi differenti. Un progetto di una pubblicazione artistica nasce e si sviluppa in modo completamente differente. Penso quindi che un progetto del genere non sarebbe stato sostenibile in una dimensione effimera e speculativa come la pubblicità, sia per tempi che per finalità. 

4Che direzione ha preso l’editoria italiana negli ultimi anni rispetto al mercato internazionale? Quali le sue peculiarità e quali i punti deboli?

La situazione italiana attuale non è così sviluppata rispetto a quella di altri paesi, dove si assiste ad un boom soprattutto nel settore dell’editoria indipendente, ma qualcosa si muove. Non è mai stato così facile e così economico creare un libro o una rivista. Questo boom è però fondamentalmente un fenomeno di moda, legato ad una controcultura ormai massificata. È necessario vedere che cosa di questa moda sopravvivrà nei prossimi anni, ma per adesso occuparsi di editoria, avere la propria casa editrice indipendente, allontanarsi dalla dimensione digitale omologata a favore di pratiche analogiche più elitarie è semplicemente trendy. Se entriamo nel dettaglio, si tratta perlopiù di un fenomeno manieristico i cui prodotti sono anch’essi fondamentalmente omologati nell’aspetto – curato, sofisticato ed attuale – ma deboli nei contenuti. I progetti di spessore sono ancora pochi. Si tratta dello stesso fenomeno delle birre artigianali, che sono oramai sul mercato in centinaia di esemplari, ma alla fine il tutto si riduce spesso ad una etichetta o ad una bottiglia dal tappo particolare. E spesso nemmeno a quello… 

Quali sono secondo te le ragioni alla base della direzione minimalista dell’estetica editoriale degli ultimi dieci anni? È l’effetto Apple o il bisogno di essenzialità, una reazione contro l’eccesso di tutto?

In realtà è Apple che ha un ottimo fiuto e metabolizza rendendoli propri, stili e linguaggi già esistenti. Il minimalismo non è nulla di nuovo, è un concetto nato negli anni 60 per definire ciò che stava accadendo nelle arti visive, nell’architettura e nel design. Quando mi sono formato io alla fine degli anni 90 c’era un vero revival minimalista anche in un certo tipo di grafica. Oggi assistiamo ad un altro fenomeno grafico, il ritorno alla bidimensionalità e alla semplicità, ma non per forza al minimalismo. Dal punto di vista formale siamo più vicini ad un revival postmoderno legato alla new wave anni 80. Qualche critico ha già coniato il termine «new simplicity», altri parlano di «flat design». Apple ha semplicemente fatto diventare globale un linguaggio che era già in uso. Penso che inizialmente ci fosse veramente la necessità di estraniarsi dal caos digitale e ritornare ad una dimensione meno artificiale, meno opulenta, più diretta, più essenziale. È stata anche una reazione o una conseguenza della crisi economica degli ultimi anni che ha influenzato indubbiamente molti settori. Ora anche questa necessità si è ridotta a semplice fenomeno di moda. La crisi sta passando, noi possiamo già iniziare a prepararci al prossimo cambio di guardaroba.

In concomitanza con l’imminente inaugurazione della nuova mostra alla Galleria Civica di Bressanone venerdì 4 marzo alle ore 18.00, verrà presentato l’ultimo progetto editoriale di Typeklang: un libro dedicato all’artista altoatesino Josef Rainer. Maggiori informazioni al seguente link .

Per ulteriori informazioni sui futuri progetti di Massimiliano, invece, vi rimandiamo al suo sito e alla sua pagina facebook.

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