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February 10, 2016

Sorry, boys: Marta Cuscunà allo Stabile di Bolzano

Mauro Sperandio
Il 13 febbraio, allo Stabile di Bolzano, Marta Cuscunà porta Sorry, Boys: dialogo sulla mascolinità attuale e quella auspicabile.

Diciotto giovani studentesse di una cittadina americana rimangono conteporaneamente in cinte, ad animare l’iniziativa un patto: scellerato? legittimo? che altro?
Marta Cuscunà porta sul palco dello Stabile trofei umani, teste animate ma incapaci di agire e comprendere.
Di pensiero maschile e femminile, di dignità umana e di libera umanità abbiamo parlato con lei.

Sorry, boys prende spunto da questo bizzarro fatto di cronaca che ha visto la simultanea gravidanza di diciotto minorenni di una scuola americana. Cosa si nasconde dietro questo apparentemente folle progetto?

Il lavoro che ho fatto è stato quello di indagare il contesto in cui questo fatto così sconvolgente può aver messo radici. Non credo siano scellerate le ragazze, ma molto strano e meritevole di indagine l’ambiente in cui il fatto è avvenuto. È stato sconvolgente per me scoprire che l’unica ragazza, che nello scandalo ha ammesso di aver cercato volontariamente la gravidanza, dice di averlo fatto dopo aver assistito ad un femminicidio e, quindi, aver avuto un bisogno estremo di riempire un vuoto dopo aver assistito ad un atto di violenza estrema. Mi è sembrato un messaggio molto forte, per cui ho cominciato ad indagare sul teatro del fatto, scoprendo che questa cittadina di circa trentamila abitanti vantava il primato negativo di un altissimo numero di casi di violenza domestica nei confronti di donne. A fronte di questa diffusa violenza, è stato interessante vedere come, ad un certo punto, scesero in piazza gli stessi uomini per manifestare contro questa piaga.
Mi è sembrato interessante non considerare questi due fatti una semplice coincidenza, usandoli come spunto per parlare di un argomento cruciale nella nostra società e non ancora -evidentemente- affrontato con gli strumenti giusti: la violenza maschile.

marta cuscunà

Non è dunque la gravidanza concordata ad essere folle, ma il contesto. Possiamo considerarla una risposta estrema ad uno stimolo estremo?

Esatto. È una risposta ad un contesto che è assolutamente inadatto alla vita e incapace di prendersi cura dei membri della società. La violenza contro le donne, quella domestica specialmente, significa fare del male a persone che credono di amare. Nel contesto più sicuro è protetto si esprime una violenza mostruosa, incomprensibile. Il problema per me è indagare sul modello maschile che porta gli uomini a queste azioni. Spesso ci si concentra sulle vittime della violenza, trascurando chi perpetra queste violenze, che è allo stesso modo vittima di un sistema.
Sono fermamente convinta che di queste questioni non debbano occuparsi le sole donne, come accade con l’impegno di comitati femminili; sono queste questioni che vanno affrontate assieme agli uomini, affinché la sentano propria.

È innegabile che le identità di genere si autodefiniscano e si definiscano in relazione l’una con l’altra. Che direzione sta prendendo questo processo?

Dal mio punto di vista credo che le cose siano ancora molto sbilanciate. L’idea di emancipazione femminile e il pensiero femminile rispetto al ruolo della donna nella società hanno una storia molto lunga, mentre il discorso sul maschile è molto fresco e minoritario.
Credo che gli uomini abbiano un sacco di strada da fare, perché si è sempre dato per scontato il modello maschile, come se non ci fosse bisogno di ragionare su quale società permette agli uomini di essere veramente degli uomini felici. Viviamo in una società che è sbilanciata in senso maschile, ma non è scritto da nessuna parte che questa condizione assicuri una piena realizzazione ed appagamento effettivo. Un’altra riflessione che ho trovato interessante è quella di Stefano Ciccone di Maschile Plurale, che dice che la risposta all’emancipazione femminile è considerata una crisi del maschio e viene descritta come qualcosa di offensivo, spiazzante, fallimentare.  
Questo cambiamento dovrebbe essere invece visto in termini positivi, come una liberazione che porti anche gli uomini a liberarsi da un modello in cui sono forse incastrati.
Una nuova società più ugualitaria e giusta potrebbe avere maggiore attenzione per tutte le sue componenti, in particolare per quelle più deboli, abbandonando la primazia del più forte. In una società così un uomo che piange non è visto come una persona debole, ma come un individuo libero di esprimere la propria emotività, integrandola nel suo vivere e completandosi. Sarebbe questa una società egualitaria in cui tutti possono esprimersi al meglio a beneficio di tutti.
Lo strapotere maschile ha come principale effetto la limitazione delle capacità femminili, impoverendo così la società tutta. Credo che sia il momento in cui anche gli uomini debbano aspirare ad un modello diverso e più utile per tutti.

marta cuscunà stabile bolzano

Sulla scena alcune maschere se ne stanno al muro, senza possibilità di azione…

L’ispirazione me l’ha data un’opera fotografica di Antoine Barbot, che ritrae delle teste umane usate come trofei di caccia. La progettazione e la realizzazione di queste teste è stata fatta assieme a Paola Villani. Paola, per rendere quanto più espressive queste facce, ha fatto un lavoro di fine meccanica, rendendole dei gioielli di animatronica.
Alla base del patto che sembrerebbe aver portato le diciotto ragazze a pianificare la loro gravidanza, c’era una scelta drastica e potente, che ha a che fare con il potere di dare le vita e con l’autodeterminazione femminile di decidere quando, come e di escludere il partner da questa gravidanza. Questi altri personaggi sono al muro un po’ perché il potere femminile di generare la vita è qualcosa che è a loro precluso e poi perché comunque non sono ritenuti degni di essere coinvolti in questo nuovo mondo che le ragazze stavano creando.
Credo sia importante sottolineare come le ragazze, di fronte ad una situazione sociale grave, non abbiano reagito fuggendo di casa o bruciando cassonetti, ma mettendo in atto un qualcosa di positivo, un’utopia che poi non si è realizzata, ma che era frutto di una pulsione creativa e non distruttiva.

Cosa ti auguri percepiscano gli spettatori di Sorry, Boys?

Spero e mi auguro che si percepisca che lo spettacolo porta un messaggio positivo, rivolto al futuro, non un’accusa. Personalmente ho la volontà di proporre un ragionamento da condividere, per stare meglio tutti. Ragionare solo sull’emancipazione femminile, senza occuparsi di chi hai accanto – sia questo tuo fratello, il tuo compagno, o un tuo collega di lavoro – non ha senso, perché non porta nessun risultato. Il cambiamento, la trasformazione, ha senso solo se condivisa.

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