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February 1, 2016

Tre studi per una crocefissione: Danio Manfredini allo Stabile di Bolzano

Mauro Sperandio
Il 3 febbraio, al Teatro Stabile di Bolzano, Danio Manfredini inaugura la rassegna Altri Percorsi: Tre studi per una crocifissione, tre ritratti particolareggiati di un'umana ricerca di vicinanza.

La voce di Danio Manfredini si leva dal palco e, anche quando la parola è biascicata, arriva a segno. Le sue personificazioni sono ritratti viventi, miti tristi di tutte le epoche.
A Danio Manfredini abbiamo chiesto di condanne e dolori dei suoi Crocifissi.

 

La crocifissione è una pena: chi è il giudice, chi l’esecutore di questa pena?

La condanna è in parte autoinflitta ed in parte inflitta dalla società, il comportamento dei protagonisti non è accettato e per questo sono “condannati” dalla società. Il loro disagio nasce da ciò.
I soggetti che si incontrano in questo trittico sono un paziente psichiatrico, un transessuale segnato da vicende esistenziali di grande drammaticità ed un extracomunitario che si trova allo sbando in una grande città europea. Questi personaggi si trovano crocefissi dalla mancanza di una vera accoglienza nel contesto sociale, non solo per colpa della società, ma anche per la loro personale natura, che si scontra con un disadattamento rispetto alle regole della morale comune.

I tre protagonisti del suo spettacolo sono persone profondamente diverse, ma accomunate da un forte sentimento di solitudine. In che modo vivono rispettivamente questa condizione?

Solitudine indubbiamente, ma anche isolamento e smarrimento. Quest’ultima condizione, in special modo,  è la sensazione di chi vive in un contesto psichiatrico; si tratta di uno smarrimento non solo esteriore, ma anche interiore, perchè riguarda la propria mente.

Per quanto riguarda il transessuale, si tratta di una riscrittura teatrale di un personaggio del film “Un anno con tredici lune” di Reiner Werner Fassbinder. Il personaggio da me disegnato è un orfano che, alla ricerca di amore, trasforma profondamente se stesso per trovare qualcuno che lo accolga.
Quando gli viene detto “se fossi donna mi piaceresti”, lui decide di diventare transessuale, non essendo nemmeno omosessuale, solo per il desiderio di compagnia e presenza. Votato ad un destino di solitudine iniziato all’orfanotrofio, si troverà solo e incapace di relazionarsi con il mondo.

Il terzo personaggio mostra il suo tentativo di inserirsi in un contesto sociale nuovo, come può essere quello delle grandi città europee. In quella situazione anche attaccare discorso con qualcuno può essere un’impresa. Il testo parte da un fatto drammatico accaduto in metropolitana e giunge ad uno sfogo interiore del personaggio. Il protagonista, nel tentativo di integrarsi con i cittadini di una realtà non sua, si ritroverà invece a correre sotto la pioggia in una notte fredda, immaginando di poter parlare con qualcuno che non c’è.

Il suo testo è ispirato dall’omonima opera di Francis Bacon. Che rapporto ha lei, uomo di teatro, con la pittura?

Molto vicino: ho tenuto per dodici anni un laboratorio di pittura con pazienti psichiatrici. Al di là del mio rapporto specifico col mio essere pittore e disegnatore, la pittura è sempre per me un punto di appoggio dello sguardo molto interessante. La pittura, infatti, offre delle grosse sintesi che per chi fa teatro sono dei richiami ad una definizione specifica di una situazione e quindi un quadro. Gli spettacoli che vanno in scena sono dei quadri viventi, che si muovono. Non è questa una mia scoperta, ne parlava a suo tempo Tadeusz Kantor usando il termine “scenografia in movimento”, una pittura che si muove.

danio manfredini

I temi trattati nei suoi spettacoli e l’impegno totalizzante rendono il suo teatro di grande, quasi muscolare, impegno civile. Tuttavia lei rifugge i riflettori fuori dal palcoscenico. Come vive e preserva l’intimità della sua ricerca?

Io, come persona, non mi ritengo particolarmente importante, è l’arte ad essere importante. Finchè si tratta di arte posso anche rilasciare un’intervista per presentare il mio lavoro e mi fa piacere se la gente viene a vedere una mostra di pittura, uno spettacolo, un evento artistico. Il mio personale “cosa penso, cosa non penso, chi sono” non lo trovo interessante nemmeno per me stesso. Io non mi interesso.[ride]

Il pazzo, il tormentato dall’amore e lo straniero sono figure ricorenti nell’arte e nella letteratura. I personaggi di Tre studi per una crocefissione sono condannati che il destino non grazierà. Sapendo dell’immortalità di questi ruoli, nel loro ciclico ritornare, con quale spirito li interpreta?

Mi viene in mente una frase di Fassbinder che ho ascoltato in un’intervista e che spero di ricordare con precisione: “Più che pensare di lottare per cambiare come sono le cose, vorrei mettere in scena come sono le cose”. Io mi colloco vicino a questa posizione. Non perchè io non ritenga giusto lottare per delle buone cause, ma perchè penso che questo riguardi campi che non sono esattamente l’arte. Non che l’arte non abbia un senso civile, ma io non ritengo di fare teatro civile, ma teatro e basta. Che i soggetti vengano dalla società e questo abbia un riverbero civile e politico è indubbio, ma non è il mio primario interesse. Mi interessa, piuttosto, riconoscere che ci sono nel corso della storia dell’umanità delle figure che si stagliano secondo una specifica qualità, come una sorta di archetipo mitologico che continua a manifestarsi. Se i protagonisti di questo spettacolo, che risale al 1992, sono ancora attuali è perchè le loro storie sono un po’ dentro di me ed anche dentro ognuno di noi. Lo smarrimento il disattatamento, l’insicurezza e la dipendenza sono presenti nella vita di tutti noi; in alcuni questi aspetti sono particolarmente spiccati e, in quanto tali, particolarmente teatrali.

Le sue interpretazioni sembrano incastonarsi nel suo corpo; come protegge il suo spirito e la sua sensibilità? Cosa la rinfranca nella vita di tutti i giorni?

Il mestiere dell’attore comporta degli attraversamenti. Penso a Leonardo di Caprio con il suo ultimo Revenant, e non posso che provare una grande riverenza per un attore che si sottopone ad un gioco per l’immaginazione che gli richiede di attraversare delle dimensioni violente e umanamente difficili. Gli attori si prestano ad un gioco serio, che nel cinema e a teatro assume differenti modi di attuarsi. Questi attraversamenti non possono non lasciare dei segni sul piano psicofisico, è bene quindi che gli attori trovino delle forme di salvaguardia della propria mente e del proprio corpo. La cosa che personalmente mi dà conforto ed equilibrio è lo starmene zitto.

 Foto: Agneza Dorkin

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