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November 29, 2015

33° Torino Film Festival – Doris forever

Cristina Vezzaro
Si è chiuso ieri sera il 33° Torino Film Festival, gli ultimi film e i vincitori di questa edizione nelle parole di Cristina.

Mentre sono stati annunciati ieri sera i vincitori  di questo 33°  Torino Film Festival (Miglior film al belga Keeper, Premio Speciale della giuria all’argentino La Patota, la cui protagonista Dolores Fonzi si aggiudica anche il premio per la Migliore attrice, mentre quello per Migliore attore va a Karim Leklou del francese Coup de chaud, che si aggiudica anche il Premio del pubblico; Migliore sceneggiatura al cinese A Simple Goodbye e al messicano Sopladora de Hojas), ci concediamo ancora una spicciolata di film.

Il canadese The Waiting Room, del bosniaco Igor Drljaca, narra la storia di un artista-attore di Sarajevo oramai trapiantato a Toronto che si barcamena tra un lavoro di muratore e la sua attività artistica. Tra finzione e realtà, presente e passato, figli di un tempo e figli attuali, nuova famiglia canadese e genitori lasciati in patria, il film si vuole una fotografia della frammentazione che una storia di rifugiato lascia dentro, e sebbene l’idea sia ottima, nella resa è purtroppo meno efficace che sulla carta.

Sempre in concorso Colpa di comunismo, di Elisabetta Sgarbi, più un documentario che un film sulla vita di tre donne rumene, la loro quotidiana ricerca di lavoro, la loro visione dell’Italia e della loro vita, l’incontro con gli italiani, i soldi da mandare a casa a figli o altri familiari. Il merito di questo documentario è di mostrare la precarietà di queste vite attraverso la viva voce delle loro protagoniste.

 Morituri, di Daniele Segre, è di fatto una pièce teatrale davanti a cinepresa, un dialogo-monologo di tre donne, Nora, Aurora e Olimpia, la cui esistenza sembra sintetizzarsi davanti ai loculi di un cimitero. Love & Peace, del giapponese Sion Sono, è invece un fantasy ambientato nella Tokyo moderna, una fiaba surreale con insight psicologico che diverte e lascia con un sorriso sulle labbra.

  Ma finiamo con Hello, my name is Doris, il divertente e toccante film di Michael Showalter con una sfavillante Sally Field nel ruolo di Doris, una sessantenne che ha vissuto tutta la vita con la madre a Long Island e alla morte di quest’ultima si ritrova a doversi ridefinire. Un seminario motivazionale che segue con l’amica di sempre (la Tyne Daly di tante serie TV USA) e l’arrivo, nell’ufficio di Manhattan, di John (Max Greenfield), un giovane uomo di cui si invaghisce, le sconvolgono la vita: per lui accederà infatti al mondo di FB e ne scoprirà il perverso potere manipolatorio, iniziando a fare delle passioni di lui le sue passioni (a iniziare dall’electropop) e ritrovandosi a sorpresa al centro di un mondo a lei totalmente ignoto (nella vivace scena culturale di Brooklyn) di cui, grazie alla sua autentica eccentricità, diventa ben presto la beniamina. Il sogno di vedere finalmente realizzato un amore la porta lontano, ma la sua inesperienza nei rapporti umani avrà un peso e Doris scoprirà presto a sue spese che il confine tra messinscena e realtà è sottile. Doris è un personaggio impossibile da non amare e il merito del film consiste nel valorizzarlo in quanto tale, nella sua audacia e follia, nelle sue paure e manie, senza colpevolizzare il mondo esterno. Doris forever.

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