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October 14, 2015

Le forme dei ragionamenti.
Un’intervista con Simone Simonelli

Allegra Baggio Corradi

Dopo che una delle sue recenti creazioni intelligenti e’ stata selezionata dall’ ADI Index Design, Simone Simonelli ha accettato di parlare con franz della sua personale idea di design, della sua esperienza come professore alla LUB e dei suoi progetti futuri. A lui la parola…

Questa é la prima intervista con franz quindi iniziamo con le presentazioni. Come si é sviluppato il tuo interesse per il design e come lo hai coltivato?

Ho 35 anni , ho studiato Design al Politecnico di Milano, e praticamente sono attivo nel campo del Design dal 2003. Le prime esperienze sono legate al classico percorso di intern e junior designer presso diversi studi di Product Design e Interior Design sempre a Milano.

Dal 2007 ho poi iniziato a muovermi da solo come Freelance e nel frattempo a collaborare con diverse scuole di design. Sempre a Milano per esempio ho collaborato 2 anni con la Domus Academy come tutor nel Master di Design.

Nel 2009 poi ho avuto l’opportunità di trasferirmi a Bolzano dove fino a Settembre 2015 sono stato Ricercatore nel campo del Product Design in particolare sui temi di Digital Fabrication (stampa 3D) presso la Libera Università di Bolzano.

Da settembre ho deciso di allargare i miei orizzonti e ho aperto uno studio di design insieme a Giulia Cavazzani, qui a Bolzano (Piazza Gries 7).

Lo studio si chiama Associato Misto Design Office (www.associatomisto.com, www.associatomisto.tumblr.com) e ci occupiamo di art direction, design di oggetti di consumo e allestimenti, con un approccio strategico che ha l’obiettivo di potenziare il business delle aziende che vogliono collaborare con noi.

Continuo a collaborare comunque con la Libera Universitá di Bolzano dove sono Professore a contratto di Product Design e appunto in questa prospettiva di strategic design insegno anche presso la Facoltá di Economia al Master di Nuove Imprenditorialità e Innovazione (fondamentalmente Master in Startup).1L’attività d’insegnamento ha in qualche misura arricchito la tua capacità come designer?

Assolutamente si, specialmente l’insegnamento presso la Facoltà di Design e Arti qui a Bolzano. Il modello di studio organizzato per progetti e in modalità “studio unit” (qui chiamati atelier), mi ha permesso di affinare le competenze di team working in primis. Poi il rapporto stretto che la Facoltà ha con le sue splendide officine ha arricchito tutte le mie competenze pratiche specifiche  sull’uso delle macchine per lavorazione dei materiali.

Infine gli studenti. Sono il “media” per essere continuamente aggiornati, é come avere un software dentro di te che ti richiede continuamente di essere aggiornato; non solo sui contenuti ma soprattutto sui modi di comunicare con loro. E’ una pratica fortissima e molto intensa. Penso infatti che l’insegnamento nelle università dovrebbe essere ciclico. 2Alcuni dei tuoi lavori hanno una marcata finalità pedagogico-sociale, soprattutto legata a finalità educative (penso ad esempio a “Un Oggetto che si Sfoglia”). Negli ultimi anni c’é stato un revival della figura di Munari. Sei é interessato al suo lavoro e in particolare a quello condotto con i bambini?

Munari è fondamentale per ogni studente di design e per i designer in generale. E’ un maestro da studiare, assimilare, ma anche da superare con maturità.

Nel progetto “Un Oggetto che Si Sfoglia” (progettato con Giulia)  non abbiamo guardato a Munari, ma di certo abbiamo guardato a processi archetipici di stampa (per esempio abbiamo introdotto la stampa 3D degli oggetti) cercando di “progettare un’esperienza” per bambini- e non solo- che attraverso l’uso delle mani (il fare), rendesse esplicito ed assimilabile un processo fatto di tanti passaggi successivi. (nota: il progetto si inseriva in EDDES progetto di ricerca dell’Unibz che sta per Educare EDDES – “Educare con/attraverso il design: stimolare l’apprendimento creativo in contesti museali e scolastici”  http://eddes.unibz.it/)3In che modo compendia l’estetica con la funzionalità nel tuo lavoro?

La forma deriva sempre da un ragionamento e mai da un disegno su un foglio per noi. Il ragionamento ha tanti parametri al suo interno: dal contesto produttivo al contesto d’uso ai materiali. Personalmente, guardando i miei/nostri progetti c’è sempre una tendenza alla riduzione nell’intento di arrivare a forme necessarie.4Sempre meno la scuola italiana concede agli studenti di compiere lavori manuali per affidarsi invece all’ausilio dei computer o facendo affidamento alla sola parola scritta od orale. Credi che la tecnologia costituisca un impedimento o un incentivo alla creatività -non solo nel campo del design-? In che modo l’interazione fisica con l’oggetto ideato contribuisce alla comprensione della sua funzionalità/composizione/prestazione?

Come dicevo prima il contesto della Facoltà di Design e Arti è diverso da altri. Qui l’uso delle officine è fondamentale, e il riscontro con l’aspetto manuale è essenziale. L’esame di progetto ad esempio coincide con una mostra in cui gli studenti presentano obbligatoriamente un prototipo in scala 1:1. Per quanto riguarda la tecnologia, non penso affatto che sia un impedimento alla creatività poiche’ ognuno trova il proprio modo di interfacciarsi con essa. Non esiste mai un digitale senza un analogico, ci deve essere sempre  un continuo dialogo tra le due pratiche. 7In precedenti interviste franz ha potuto notare come il design altoatesino sia tendenzialmente suddivisibile in due filoni: “a state of mind” e “a state to find”. Tudove ti posizioneresti?

Non so se ho capito bene la domanda, ma provero’ a interpretare. Se “state of mind” rappresenta un modo di guardare le cose, senza dubbio il design è lo strumento ideale e personalmente lo uso quotidianamente come un filtro. “A state to find” invece è da intendersi come uno strumento di ricerca e di investigazione di nuovi modi di essere nel contemporaneo. Entrambe gli aspetti sono congeniali alla mia idea di design poiche’ sono complementari tra di loro.6Un tuo recente progetto é stato selezionato per ADI Index Design, ci racconti di più a questo proposito.

Il progetto si chiama Upsens, un prodotto elettronico progettato da me per Optoi Microeletronics (Gardolo) e completamente realizzato in Trentino-Alto Adige. Upsens e’ costituito da una base e da teste intercambiabili; ogni testa ha al suo interno un sensore che misura specifiche impurità dell’aria invisibili ad occhio nudo -dalle onde elettromagnetiche alle polveri sottili- rendendole visibili attraverso un’applicazione. L’innovazione sta nell’aver progettato un prodotto, solitamente riservato a professionisti, per normali consumatori. Upsens si colloca in una macro categoria di oggetti che ha progressivamente iniziato a riempire le nostre case, “internet of things” ovvero oggetti fisici connessi alla rete.

In questo momento e in qualita’ di product designer mi sto dedicando a questo settore, ad esempio ultimando il progetto di un wearable, un braccialetto intelligente.

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