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October 8, 2015

XXL Arte e industria in dialogo:
parola a Camilla Martinelli

Mauro Sperandio
Dall'8 al 18 ottobre, lo spazio espositivo della Kunsthalle Eurocenter di Lana ospita XXL Arte e industria in dialogo. Di questo incontro, di come avviene e di quanto produce, abbiamo chiesto a Camilla Martinelli, che, assieme a Gabriele Salvaterra, ha curato l'esposizione.

La mostra si propone come un incontro tra arte ed industria, qual è il contenuto del loro dialogo?

Fondamentalmente sono due mondi che si esprimono attraverso linguaggi differenti, ma l‘alfabeto può essere comune. Il fatto che gli artisti si servano di oggetti e materiali prodotti dalle grandi industrie, e quindi realizzati in serie, per produrre opere artistiche uniche e irripetibili (al massimo replicate dagli stessi in edizioni) è un dato assodato. Nell’era della riproducibilità tecnica non ha più senso pensare all’arte come ambito completamente autonomo e distinto, svincolato da altri tipi di produzione. Gli artisti non agiscono in completa autonomia, non sono avulsi da scenari e dinamiche di produzione e mercato, utilizzano oggetti di larga distribuzione, prodotti semilavorati, materiali reperibili, accessibili, sia in senso fisico che economico. Tanto delle opere d’arte di oggi parla il linguaggio dell’industria, e con ciò ne influenza inevitabilmente l’essenza. Il materiale, poi, esprime in sé una posizione estetica determinata, ci fornisce una moltitudine di informazioni. Solo per il fatto d’esser stato scelto e utilizzato, parla delle relazioni e dell’antropologia di un certo territorio. Costituisce un manufatto che è testimonianza di un discorso sull’uomo, un oggetto di archeologia e sintesi della complessità del vivere postmoderno.

La collaborazione tra aziende partner ed artisti sembra in questo caso qualcosa di diverso dal mecenatismo o dallo sponsoring. Sembra più simili al “motoristico” powerd by… come si è attuato questo incontro?

La formula che abbiamo ideato e proponiamo a XXL Arte e industria in dialogo cerca proprio di andare al di là del mero mecenatismo/sponsoring: è fluida, vuole porre i due fronti in dialogo attraverso uno scambio “attivo”. Le industrie hanno sostenuto il progetto, mettendo a disposizione i materiali, la manodopera e il know-how. In un primo momento gli artisti hanno visitato gli stabilimenti e avuto occasione di confrontarsi con i proprietari, con gli operai, da ciò hanno maturato un progetto in seguito sottoposto alla ditta, che ha prodotto il lavoro o fornito i materiali. La ditta è diventata per l’artista una sorta di “factory” temporanea, da esplorare, conoscere, dalla quale lasciarsi suggestionare.
Per quanto riguarda il coinvolgimento delle aziende, abbiamo proposto il concept ad alcune ditte locali che avrebbero potuto essere interessate al progetto Kunsthalle o essere sensibili alla tematica in sè. Oltre a Finstral, Barth e Stahlbau Pichler, legate al mondo dell’arte, note per il loro mecenatismo e le loro collezioni, anche Maico ha accolto con entusiasmo il progetto. Autotest e Molino Merano poi hanno sede proprio accanto all’Eurocenter, questa è stata certamente una bella occasione per avvicinarle alla nostra realtà, per renderle partecipi.

Ulrich Egger; 1_99, 2015

In questo ultimo cinquantennio l’arte si è avvicinata all’industria e l’industria all’arte, in un rapporto fatto di ammirazione, invidia e ricerca scambievole. Cosa e come comunicano le installazioni realizzate?

Le installazioni in mostra sono molto diverse tra loro, rispecchiano i linguaggi specifici dei sei artisti, ma rimandano allo stesso tempo anche alle varie realtà produttive. È molto interessante osservare come ognuno sia riuscito a trovare in iter il proprio modo di “sintonizzarsi” con uno specifico mondo produttivo. C’è chi ha mostrato più interesse per i materiali in sé (gli scultori, certo), chi ha voluto approfondire l’ambito dell’organizzazione del lavoro, chi si è lasciato affascinare da determinati prodotti e così via.
La fabbrica è un luogo dove le cose vengono a essere, un luogo deputato alla creazione di beni. Anche l’artista “crea”, non necessariamente in serie, ma questo poi vale allo stesso modo anche per le ditte. In collaborazione con Autotest, Christoph Hinterhuber ha realizzato una sorta di spoiler “umano”, che indosserà durante il vernissage e sarà esposto accanto a una grande foto che documenta l’impiego dell’oggetto. Ulrich Egger ha collaborato con Stahlabu Pichler, dando vita a una grande scultura in ferro che riflette sul rapporto che sussiste tra ricchezza e povertà in termini percentuali nel mondo. A suscitare l’attenzione di Arnold Mario Dall’O sono stati soprattutto il sistema di lavoro e automazione e la politica delle risorse umane che caratterizza la ditta Maico: un video segue i movimenti reiterati di un braccio meccanico utilizzato in magazzino, una grande scritta riprende una frase motivazionale presente negli uffici. Josef Adam Moser ha utilizzato la modularità tipica tanto della produzione industriale quanto del lessico minimalista, per realizzare in collaborazione con Finstral un complesso oggetto dalle sembianze totemiche. Il rapporto che si è instaurato tra Antonio Riello e la Barth di Bressanone, ricalca la dinamica tipica esistente tra artista-designer e realtà produttrice. Riello ha fornito l’idea/disegno/progetto, deviando la forma di due prodotti in catalogo, e l’azienda li ha prodotti. Per Hannes Egger la collaborazione con Molino Merano, ha portato invece alla realizzazione di una messa in scena che invita alla partecipazione attiva del fruitore, in bilico tra installazione e performance.

Personalmente trovo il Kunsthalle Eurocenter un perfetto posto brutto, o meglio un grande appendiabiti di cemento armato che prende bellezza e utilità grazie a ciò che ci si “appoggia di sopra”. In che cosa trasformano questo spazio le opere esposte?

La Kunsthalle è un “non white cube” che somiglia a un white cube. Uno spazio che appare immediatamente neutro, ampio, anonimo, ma che in realtà non lo è. A ogni allestimento ci lasciamo sorprendere da come le installazioni contribuiscano a mutare radicalmente la percezione dello spazio, e interagiscano attivamente con gli elementi che caratterizzano la sala: le finestre, la colonna, le pareti in cartongesso o cemento etc. In questo caso le opere hanno una presenza importante e soffocano l’ariosità che siamo abituati a percepire. Rendono lo spazio più piccolo.

Christoph Hinterhuber, Drag Star, 2015

Le industrie operano secondo schemi organizzativi e produttivi da lungo tempo scientificamente studiati. Cosa credi debba imparare la produzione artistica da quella industriale?

Non penso che il discorso vada posto in questi termini, più che imparare dalla produzione industriale, la produzione artistica se ne serve, ecco tutto. Vuoi o non vuoi, ne assimila l’estetica. Ci sono alcuni casi poi, in cui il legame tra questi due mondi risulta del tutto evidente, pensa agli studi, o meglio alle “factories” di Jeff Koons, Anish Kapoor o Antony Gormley. Questi, come molti altri artisti del mainstream internazionale, dispongono di grandi spazi dove decine di maestranze sono impegnate ogni giorno in una piccola ditta artigianale, che non produce necessariamente pezzi unici. Ma questo aspetto delle “Factories”, non è altro che il risultato dell’evoluzione di quelle che sono state le botteghe degli artisti di un tempo. Michelangelo non ha dipinto i 1000 metri quadrati della cappella Sistina tutto da solo… Ma pensiamo anche poi anche al fenomeno della commissione da artista a industria. L’estetica degli artefatti è inevitabilmente influenzata dalle caratteristiche dei materiali prodotti sul mercato dalle aziende.
La destituzione ontologica dell’oggetto d’arte inaugurata da Duchamp e portata a compimento negli anni Sessanta da Warhol, ha condotto all’utilizzo indiscriminato di qualsiasi espressione e materiale. Se Fountain di Duchamp rimaneva ancorata a un’estetica artigianale, con Brillo Box nel 1964, Andy Warhol sancisce il definitivo distacco tra estetico e artistico, affermando che semplicemente scegliere un prodotto da uno scaffale del supermercato e proporlo in un luogo dell’arte come oggetto deputato all’apprezzamento, ne decreta conseguentemente la proprietà artistica. Così il prodotto industriale è diventato forma d’arte in sé.
Anche se l’arte rivendica da sempre il diritto di fare cose semplicemente “belle” e non utili, e con ciò si differenzia da quello che oggi definiamo design, la sua estetica riprende e riflette spesso su elementi funzionalisti e seriali, ecco il punto della faccenda.

XXL Arte e industria in dialogo, Kunsthalle Eurocenter,  Lana fino al al 18 ottobre.

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