People + Views > Portraits

October 7, 2015

Walter Zambaldi: incontro con il nuovo direttore dello Stabile di Bolzano

Mauro Sperandio
Walter Zambaldi è il nuovo direttore del Teatro Stabile di Bolzano, un ritratto informale e le sue parole lo presentano.

Incontro Walter Zambaldi a Merano, poco prima della conferenza stampa di presentazione della nuova Stagione del Teatro Stabile. Il suo curriculum è online e dunque non voglio spendere parole a presentarlo da un punto di vista professionale; credo sia più interessante descrivere -senza pretesa di esaustività- l’uomo. Il neo direttore è un giovane di corporatura imponente, figuratevi un rugbysta dai modi cortesi, franco e simpatico. Con gli sportivi della palla ovale credo condivida, oltre alla stazza, un’ altra affinità, ovvero quella di occuparsi di cose complesse che all’occhio dello spettatore sembrano semplici e lineari.
 
Per conquistare punti preziosi, il rugbysta, deve calciare tra i pali una palla di forma non sferica, ma ovale. Si porrà in posizione adeguata, calcolerà razionalmente la traiettoria, gestirà la propria emotività ed incanalerà il furore della competizione in un calcio che colpirà un oggetto contraddistinto che, come gli esseri umani, si comporta in modo scarsamente prevedibile. Un pallone ovale, una volta calciato, andrà da un punto A ad uno B, senza dubbio, ma per una strada che lui solo conosce, come vivesse di vita propria.

Ascoltare Walter Zambaldi mentre parla, non solo del proprio lavoro, mi ha dato misura di quanto quest’uomo sia imbevuto di teatro. Una partita di calcio del figlio mi viene descritta come un recita su palco verde. Le personalità incontrate per lavoro vengono associate alle maschere della commedia dell’arte, non solo per un gioco divertente, ma, più seriamente, perchè visti come archetipi con vizi e virtù che li connotano. Quando parla di teatro in senso artistico, apre le braccia, come se il mondo dovesse entrare in un lui-teatro. Se gli aspetti trattati sono quelli che riguardano l’impresa-teatro, le grandi mani disegnano piccoli gesti e fanno piccoli aggiustamenti ad un meccanismo invisibile.
Gli occhi si accendono, il linguaggio si colora, il sorriso è beato quando Zambaldi parla dell’umanità varia ed infinita che popola il teatro e che in esso produce arte e lavoro.
La razionalità dell’amministratore abbraccia la “santa pazzia” dell’artista, il tiro provato e studiato si applica ad un pallone che si fa umano per la sua folle ovalità; Zambaldi racconta la sua passione per un teatro che sa sorprendere anche lui, che i segreti conosce e governa.

Sta per aprirsi il sipario sulla nuova stagione del Teatro Stabile, la prima che la vede nel ruolo di direttore. Come sarà il teatro di Walter Zambaldi?

Uno degli aspetti fondamentali del teatro è per me l’apertura in varie visioni. Deve esserci apertura nei confronti del territorio in cui stai lavorando e nei confronti di un territorio più ampio. Un teatro sano e vitale è aperto nei confronti dell’arte teatrale, dei testi, degli attori e degli artisti. Il teatro è un porto di andata e ritorno del pensiero, dell’idea, della poetica e dell’emozione. Questi potrebbero sembrare concetti vaghi, ma non lo sono e bisogna agire in modo determinato per arrivare ad avere un teatro che assomigli a questo ideale di apertura. Partiamo già da un gran teatro, pronto ad affrontare questa strada che va battuta e perlustrata. I risultati non saranno immediati e bisognerà sempre stare attenti a non invischiarsi in stilemi ripetitivi o casalinghi. La chiusura -che dà una sicurezza illusoria- e il quieto vivere fanno morire il teatro.

Il teatro si trova in una provincia di confine, caratterizzata dal bilinguismo e da mille identità che qui sono confluite. In che modo queste particolarità influenzano il carattere dello Stabile?

Il teatro deve assomigliare al territorio che lo ospita e il territorio deve ritrovarsi nel suo teatro.
Nel caso della provincia di Bolzano, il territorio assomiglia al teatro nella sua apertura e nelle sue mille identità; entrambi, poi, devono guardarsi dal male del provincialismo e della chiusura.

Abbandoniamo per un attimo il teatro tangibile e parliamo del suo spirito. Cosa ha di magico il teatro?

Il teatro è un sistema complesso e già questo lo rende affascinante. Ha una forte componente artigianale ed artistica, dotate entrambe di un loro fascino, ed è un luogo in cui l’arte figurativa, la letteratura, l’artigianato artistico si incontrano. Ma il teatro è anche un azienda e un mondo con una tradizione, regole e linguaggio proprio, che vanno imparati. Quando sono entrato nel mondo del teatro, i tecnici, i direttori di scena, il direttore ed i registi mi hanno iniziato ad una terminologia, misteriosa in principio e per questo affascinante. Le parole che prendono vita in scena, il fuoco che ci si passa di mano in mano, di teatro in teatro e che si spera che raggiunga il grado capolavoro, rendono unica l’esperienza teatrale.
Il rituale scandito da regole che governano l’incontro tra attori e pubblico ed il riflettersi di questi ultimi sul palcoscenico hanno un grande fascino. L’odore del palcoscenico, l’apparente pulizia e la sporcizia del dietro le quinte hanno un’attrattiva unica. Sembra quasi senza un capo, eterna, la ricerca dei personaggi che popolano il teatro. Come tutte le cose “inutili”, anche il teatro, nell’eterna ricerca che svolgono i personaggi che lo animano, non può che affascinare. Il teatro si fonde con la vita, forse per questo chi vi entra in contatto non può rimanere indifferente o, meglio, non può non rimanerne sedotto.

In questo quadro la figura del direttore assomiglia a quella del demiurgo Platonico…

Dare stabilità ad una cosa, che per definizione è così fragile e fugace, è quasi un gioco di prestigio.  Il fatto che sia impossibile realizzare dei video di teatro che rendano giustizia ad uno spettacolo, a meno di fare un film sul teatro o, meglio, un documentario, sembra quasi testimoniare questa natura trascendente del teatro.
Il ruolo del direttore consiste nel far funzionare quel gioco di squadra che, attraverso una gerarchia ferrea, governa i rapporti tra chi opera nel teatro.

Compito del direttore è quello di far convivere l’aspetto artistico con quello economico ed amministrativo. C’è un momento in cui la razionalità dell’amministratore lascia briglia sciolta al fuoco artistico?

Quella del teatro è una realtà unica, in cui tutti sono accomunati da una passione fortissima per il proprio mestiere; è un mondo senza patrie, passaporti, razze, libero da pregiudizi. Si vendono sogni, è vero, ma il meccanismo è molto concreto.
Il motto patafisico “Piedi per terra e testa tra le nuvole” credo descriva l’atteggiamento giusto per il mio lavoro. Bisogna mirare alto e tentare l’impossibile sia nella messa in scena che nei progetti, avendo una visione a lungo termine, in modo anche schizofrenico. Per attuare questi sogni, per poterli poi portare in scena, c’è bisogno di  razionalità e concretezza.

Nel suo curriculum figurano numerose ed importanti produzioni e direzioni artistiche, l’incarico della direzione dello Stabile, immagino, sottrarrà tempo a questo tuo impegno diretto…

Credo che questa sia una parte del mio impegno artistico. Non avrei studiato ed approfondito così tanto l’aspetto manageriale, tanto da perderne la testa, se non fosse stato a servizio del teatro, della messa in scena. Possiamo raccontarci lo spettacolo più bello mai pensato, ma senza mezzi, programmazione razionale, dedizione e decantazione resterà un pensiero inutile. Anche in questa dimensione “rigorosa” del mio essere direttore trovo che ci sia una sfumatura creativa.

Print

Like + Share

Comments

Current day month ye@r *

Discussion+

There is one comment for this article.

Archive > Portraits