Culture + Arts > Visual Arts

September 4, 2015

Posthypnotic: Una proiezione incoscientemente lucida tra fisiologia
e politica

Allegra Baggio Corradi

Per tutto il mese di settembre la facciata del Museion continuerà a prendere vita attraverso proiezioni mediali notturne che renderanno visibili le possibilità poetiche e politiche della post-ipnosi. Abbiamo intervistato i curatori Martina Angelotti e Simone Frangi insieme alla curatrice del Museion Frida Carazzato per preparare gli occhi al fluido repertorio di immagini che ci ipnotizzeranno nei prossimi 4 eventi .

3Innanzitutto come siete arrivati a Bolzano?

Frida Carazzato: Ho invitato Martina e Simone a Bolzano per curare l’ultimo appuntamento del programma estivo della facciata mediale di Museion, in quando stimo molto la loro pratica curatoriale e mi interessava inserire il loro approccio nel programma “Intermezzo”.

Anche se fare confronti non é mai appropriato avete notato delle differenze sostanziali tra il contesto culturale altoatesino e quello milanese in cui operate solitamente?

Martina Angelotti: Per quanto mi riguarda conosco e mi sono più volte confrontata con realtà locali quali Arge Kunst e Lungomare ad esempio, apprezzando la loro ricerca artistica perché prevalentemente relazionata al territorio e molto attenta al contesto. Milano è ugualmente immersa in un contesto fertile per quanto riguarda le iniziative culturali legate al contemporaneo, soprattutto in questi ultimi anni sembra riapparso un favorevole interesse verso la spontaneità progettuale, nonostante la dibattuta assenza di un museo pubblico dedicato, che qui a Bolzano, al contrario, esiste. Spesso, tuttavia, questa dinamicità può rivelarsi controproducente perché si smarrisce il senso dell’orientamento, dal momento in cui manca una visione di politica culturale più ampia e lungimirante. Sono però convinta che sia importante mantenere un fermento artistico più “spontaneo” , “dal basso” , per rendere più fertile l’humus culturale di una città e controbilanciare le impostazioni più istituzionali. Milano ha conosciuto tempi migliori, ma fortunatamente si sta riaccendendo.

Simone Frangi: Credo che la differenza sostanziale tra Milano e Bolzano risieda in due diverse forme di ricettività dei progetti artistici da parte del tessuto sociale e cittadino, dettate dalla diversa conformazione urbana e dai diversi flussi che la attraversano. La comunità di operatori culturali  e il pubblico milanesi si sono abituati negli ultimi anni ad una inedita velocità nel nascere e nel consumarsi delle art initiatives indipendenti o istituzionali, che sono spesso iniziative culturali a carattere programmaticamente di breve respiro. Ho avuto l’impressione che in Trentino – dove lavoro già da 3 anni con Centrale Fies – e in Alto Adige la tendenza della politica territoriale sia quella quella di stabilizzare i progetti culturali trasformandoli in realtà di ricerca a lungo termine. A Milano le realtà culturali consolidate sono molto spesso di natura privata – Hangar Bicocca e Fondazione Prada ne sono un esempio – mentre le realtà indipendenti sono spesso portate a confrontarsi perennemente con la lotta per i finanziamenti, che caratterizzano poi la programmazione e la filosofia di gestione di uno spazio. 

2Siete entrambi collaboratori attivi del progetto non profit per la ricerca artistica contemporanea legato a Viafarini e Careof. Quale è la situazione attuale del non profit in Italia?

M.A.: Quella del non profit è una realtà che permette di operare con grande flessibilità, termine che in alcuni contesti ha accezioni negative, ma che in questo in particolare conserva il proprio fascino. Associazioni come Careof sono guidate dal principio della sperimentazione e della ricerca, rimanendo più slegate dai compromessi. Alle volte questo eccesso di libertà si rivela più faticoso da mantenere, soprattutto perché le questioni economiche sono un fattore vincolante importante, ma consente di lavorare “intellettualmente” in modo libero e scardinato dalle necessità che incatenano altri tipi di esperienze culturali.

S.F: In Italia le prime associazioni non profit sono nate con 15 anni di ritardo rispetto alle prime iniziative americane di questo tipo – penso a Artists’ Space o White Columns. Dobbiamo amaramente osservare che la cultura non profit, che comprende le politiche di sostegno in suo favore e le strategia di sostenibilità dei servizi che il non profit eroga, è rimasta sostanzialmente inalterata da allora. E’ importante comprendere come il concetto di non profit non sia sinonimo di “gratuità”, ma piuttosto rappresenti una cerniera tra l’artista e il mercato dell’arte, fondamentale per la professionalizzazione dell’artista in un senso molto ampio. Il discorso artistico non si può mai sganciare totalmente dalla necessità di un profitto, ma ciò che noi facciamo consiste nella preparazione dell’artista all’affrontare la sua carriera, il suo posizionamento nel panorama artistico e l’intermediazione con l’estero. Oltre ad occuparci degli artisti lottiamo continuamente per ottenere finanziamenti.

5L’intervento da voi curato per Museion consiste nella proiezione di immagini sulla facciata esterna dell’edificio. Che relazione intercorre secondo voi tra perfomatività artistica e il concetto di effimero?

M.A:  I lavori che abbiamo selezionato non sono effimeri, in quanto opere possiedono un valore idealmente universale. Naturalmente la loro percezione cambia per il luogo e la modalità di fruizione con cui vengono presentate. La loro fluidità è parte integrante della riflessione che esercitano sulla portata politica di uno stato come quello post-ipnotico. Le immagini proiettate sono delle messe in atto di una situazione fisiologica legata ad una diminuzione della coscienza “da svegli”. La facciata del museo è di per sé una superficie flessibile e molto determinante nella veicolazione dei lavori, qualunque essi siano, perché capta i movimenti delle persone che passano, della luce che cambia, degli oggetti che la circondano facendo diventare ogni elemento esterno una parte integrante dell’opera. E questo è un aspetto importante da considerare.

S.F: La questione della produzione effimera è centrale nelle mia ricerca curatoriale e grazie alla mia implicazione in Live Works – Performance Act Awards , iniziativa ormai triennale nata dalla collaborazione tra Viafarini e Centrale Fies, ho potuto materializzare una ricerca teorica personale in un progetto di piattaforma plurale. Questa ricerca confluisce, in interazione con la ricerca di Martina, anche nella programmazione pensata per Museion. Nel caso specifico di Posthypnotic infatti, è la fruizione di un esercizio video in uno spazio aperto, che non favorisce la concentrazione, che incamera la componente dell’effimero. Nel caso dello screening program che abbiamo pensato, la fruizione è di per sé già performativa perché necessita di un’azione di ricomposizione, di verifica o di assorbimento di un cluster di effetti visivi privi di un costrutto narrativo come quello del cinema tradizionale. 

Posthypnotic consiste in 4 proiezioni differenti. Come dialogano tra di loro?

M.A: Abbiamo lavorato a partire dal materiale contenuto nell’archivio e confrontandoci su reciproci interessi e direzioni, individuato un fil rouge che prendeva in esame l’ipnosi e il senso politico attraverso l’immagine in movimento. I lavori più storici che abbiamo scelto, (Gioli e Breer) attuano una riflessione sul cinema attraverso il linguaggio stesso del cinema. Quando l’Occhio trema di Paolo Gioli è ad esempio un omaggio a Buñuel e contempla qui una fase di costante sonnolenza; mentre lavori più recenti, come NoMoreSleepNoMore di Danilo Correale è una riflessione scientifica della dimensione del sonno e gli effetti che esso provoca sulla nostra vita da “svegli”.

S.F: Come diceva Martina, le opere storiche riflettono sul linguaggio, ma non si accontentano di esprimersi attraverso un’operazione metalinguistica o autoreferenziale ma sfruttano una certa grammatica per operare politicamente. Anche nel caso di Breer e Gioli, le simbologie, le provocazioni, i sollevamenti critici fanno sì che l’opera non sia mai solo un’operazione estetica ma guardano al cinema come strumento di critica politica. Quella di Correale è un’analisi delle dinamiche ipnotiche in-generate dalla e nella società capitalistica mentre Basma Alsharif riflette sulla ricostruzione identitaria attraverso il fenomeno della bilocazione. Attraverso la post-ipnosi, l’artista sonda le modalità con le quali sorpassare il confine che la separa dalla sua patria facendovi ritorno in modo non normato, appunto attraverso l’ipnosi.

1In base alla relazione che intercorre tra la natura fisiologica dell’ipnosi e le sue ricadute politiche Posthypnotic é un’operazione di visione oppure di azione?

S.F: La scelta del materiale che abbiamo operato è stata guidata da un principio di riflessione sul valore politico dello stato ipnotico inteso come fase di coscienza latente, di diminuzione della coscienza lucida. Abbiamo analizzato le immagini fluide dei quattro artisti rispetto alle ripercussioni dell’ipnosi sul corpo fisico e delle possibilità manipolative della coscienza politica. Le dinamiche artistiche e poetiche dell’ipnosi come fenomeno fisiologico divengono delle metafore per delle dinamiche di controllo politico. Posthypnotic è quindi un’operazione visiva in quanto rende partecipe lo spettatore, ma allo stesso tempo attiva in quanto lo ipnotizza.

Infine, il rapporto tra arte e tecnologia è oggi una necessità o rimane sempre una scelta?

S.F: Credo che la tecnologia sia insita nel concetto stesso di arte. Quelle che noi oggi consideriamo tecniche vetuste come la pellicola nel cinema, sono in realtà degli strumenti di riflessione che ingenerano delle possibilità poetiche. L’uso tecnico è da vedersi come una presa di coscienza piuttosto che come una necessità.  

Immagine 3: Robert Breer, Eyewash, 1959, Museion Facciata mediale 2015. Courtesy gb agency

Foto Luca Meneghel

Print

Like + Share

Comments

Current day month ye@r *

Discussion+

There are no comments for this article.