Dentro la Biennale Arte: Adrian Ghenie al Padiglione Romania

Dopo installazioni, performances, video proiezioni e body art è finalmente giunto il tempo di chiudere gli occhi, fermarsi e poi riaprirli per osservare la pittura. Osservare: azione questa difficile e rara. Osservare, non guardare. Osservare senza parlare. Non che si tratti di un’esperienza mistica o di un viaggio extra-corporale, ma l’occasione di confrontarsi con la pittura é sempre meno frequente sia nei musei che nelle gallerie di arte contemporanea.
Il perché non lo indagheremo in questo articolo per parlare, invece, dello strano caso di Adrian Ghenie al quale la Romania ha dedicato il suo padiglione alla Biennale 2015. La mostra è emblematica già a partire dal titolo: Darwin’s Room, come se il fare arte fosse assimilato all’esperienza scientifica. In effetti ciò che Ghenie articola attraverso il suo linguaggio pittorico, il trattamento della superficie e le composizioni slavate, mescolate, smerigliate e colanti dei suoi ritratti e dei suoi paesaggi immaginati, è in linea con la concezione contemporanea di arte come espressività totale, di ricerca di un codice genetico-artistico diverso da tutti gli altri. Ghenie sostiene spesso nelle sue interviste di non riflettere sul significato del gesto pittorico, di non prendere decisioni artistiche complesse e razionali sullo sviluppo del suo DNA artistico. Questo in netto contrasto con le risposte di critici e storici dell’arte che celebrano la sua pittura caricandola di significati densi e complessi. In una recente conversazione con Adina Zorzini, Ghenie ha molto francamente affermato il seguente: All kinds of people see them (my paintings) and start making correlations and references and I say: ”Hey, do you really believe I thought about all that stuff when I created them? I didn’t.”
Aggirarsi tra le stanze del padiglione romeno cadenzate dal ritmo di luci accecanti che amplificano le immacolate pareti bianche e il buio di spazi più delimitati, significa alternarsi tra il giorno e la notte in compagnia dei soggetti ritratti e dei luoghi immaginati e distorti da Ghenie. Camminare e guardare, passeggiare e fermarsi a osservare delle pitture. Non ci sono motivi da ricercare o commenti da fare. Basta osservare. Ognuno troverà quello che cerca e in barba ai critici di Sotheby’s e i loro esilaranti commenti che in quanto a pomposità fanno invidia persino alle frottole da campagna elettorale –vedi qui-, ciò che ne risulterà sarà un’intensa esperienza di osservazione. Sono superflui perfino i titoli, le date e le dettagliate informazioni sulla tecnica e le dimensioni dell’opera che con i loro riferimenti a Van Gogh, Rothko e Ghenie stesso non farebbero che distogliere gli occhi dai dipinti in quanto catalizzatori di sguardi.
Ciò che è interessante di Darwin’s Room è l’assenza di parole bilanciata dalla forte presenza di un ritmo dettato dalle tre sezioni della mostra: The Tempest, The Portrait Gallery e The Dissonance of History. Nessuna spiegazione azzardata e forzata che tenti di giustificare la presenza delle opere alla Biennale o delle opere in quanto tali. Solo gli occhi possono confrontarsi con le immagini per dare un senso a ciò che vedono o per non trovarlo lasciandosi affascinare e inorridire, sorprendere o ammutolire. Proseguendo di stanza in stanza ci si accorge che Darwin è un pretesto per trattare velatamente argomenti del contemporaneo. L’evoluzionismo come cambiamento costante dell’essere, la storia come narrazione della sopravvivenza della specie, il ritratto come fotogramma dell’individuo immerso nel colore fluido di una realtà fuggevole. Si tratta di ritratti e di paesaggi, di colori e di forme erose. Se i ritratti chiedono di essere guardati a lungo, i paesaggi chiedono di avvicinarsi e allontanarsi per godere dei cambiamenti che i segni sulla tela subiscono con l’avvento della luce. Avanti e indietro come su un’altalena, fermandosi e osservando come in un museo di arte e scienza antiche.
Darwin’s Room è un’esperienza rara rispetto all’arte contemporanea “istituzionalizzata” perché consente di osservare la pittura, snobbata dalle istituzioni perché troppo “classica”, in un contesto come la Biennale. Questo forse a conferma del fatto che la pittura, e non solo quella degli espressionisti astratti, può essere, o forse è sempre stata più contemporanea di ogni altra forma d’arte. Le opere di Ghenie rinforzano il carattere contemporaneo della pittura dimostrando che dentro ad un parco giochi per adulti in cerca di barboncini giganti e siepi a forma di orsacchiotto, gli oli su tela sono ancora in grado di raccontare delle storie dotate di senso.