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August 21, 2015

Oltre il confine della tela: la metafisica dei fori al MAG di Riva

Allegra Baggio Corradi

Oltre il confine della tela, la mostra in programma al Museo Alto Garda di Riva fino all’11 novembre, volge uno sguardo diacronico all’arte italiana della seconda metà del Novecento –concentrandosi particolarmente sugli anni Cinquanta e Sessanta- implementando nomi celebri con altri minori. Viene sancito, così, un continuum storico e fenomenologico tra arte e vita filtrato attraverso le opere e il loro susseguirsi in spazi bianchi. Queste le buone intenzioni del museo, ma ciò che ne risulta è un monotono e in aggiunta riciclato, assembramento di opere già esposte in numerose mostre dedicate allo stesso periodo storico-artistico. In questo caso a condire il tutto oltre ai soliti noti Burri, Manzoni e Fontana sono presenti anche opere di artisti meno acclamati, in un pot-pourri di compostaggio curatoriale di scarso interesse.
Evidente lungo il percorso della mostra è la posizione storico-critica della curatrice Daniela Ferrari, responsabile delle collezioni del MART di Rovereto e già collaboratrice del MAG in diverse occasioni. La dimensione concettuale delle opere è evidenziata lungo l’intero percorso espositivo che pone in risalto il matrimonio tra arte e vita consumato nell’atto, nel gesto creativo. E’ così che Dadamaino, Bonalumi e Scheggi, artisti che forse ancora più dei loro celebrati colleghi, hanno saputo interrogarsi sul significato ultimo dell’arte indagando l’estensione dell’universo pittorico, vengono presentati come gli autentici artefici di quella che si potrebbe chiamare una silenziosa e forse inconsapevole, rivoluzione copernicana del processo creativo. La tela definita dalla curatrice come un limite, un confine, quasi un limes comunicante con terre ignote, è interpretato come uno stimolo al valico, al superamento. Dalla realtà al noumeno senza avvedersi delle distese di vuoto da superare, delle ritenzioni pittoriche e materiche da perforare per accedere ad uno spazio illimitato, senza immagini né margini.

Paolo-Scheggi-per-una-situazione-1962-acrilico-nero-su-tre-te

Quasi si trattasse di un salto nel vuoto (un bungee jumping pittorico), la mostra spinge lo sguardo a cercare sensi, motivazioni, giustificazioni determinando una ricerca quasi ossessiva di un oltre, di un diverso a tutti i costi. Nulla di tutto ciò é necessario, tuttavia, poiché questo universo corrisponde al nulla di fatto. Lo sguardo non deve indagare in quanto i pittori stessi non hanno fatto che procedere per tentativi, uccidendo la tela, mortificandone la matericità, liberandola dai suoi confini per poi espanderla in un’immensità sconfinata, ma sempre ignota, inaccessibile. Ciò che la mostra vuole enfatizzare, ovvero la portata della dimensione concettuale delle opere, è un’operazione puramente curatoriale dato che all’origine del gesto creativo non vi è alcun concetto quanto piuttosto un istinto, una necessità intraducibile a parole, ma solamente intuibile. E’ infatti l’irrazionale che sottostà all’arte concettuale e non il razionale. Se per forza però bisogna identificare un concetto alla base dell’arte concettuale questo sarebbe forse il rifiuto della razionalità legata alla figurazione, il distacco dalla geometricità –pensata e disegnata- delle belle arti. Oltre la tela –che non ha mai avuto nessun confine in 2000 anni di storia al contrario di ciò che asserisce il titolo della mostra- non vi è il muro del Bonalumi interpretato dal MAG e neppure un’altra tela come suggerisce lo Scheggi interpretato dal MAG, ma solo e semplicemente una ics inconoscibile. Visitare le sale del museo di Riva non é altro che vedere il risultato finale di uno sfogo, di una liberazione, di una catarsi incosciente che ha spinto degli uomini a distruggere oggetti per ricomporre, esorcizzandoli, degli squilibri interiori (degli oggetti ai quali la mostra attribuisce funzioni, significati e valori ingiustificabili e soggettivi). Non ci sono motivazioni da ricercare, nessun commento da esprimere, nessuna chiosa con cui uscire dalla sala compiaciuti della meravigliosa e spirituale profondità raggiunta da artisti sublimi capaci di sondare i fondali dell’oceano pittorico come fossero palombari dell’anima. Servono solamente un paio di occhi, due paia di occhiali (uno per i dipinti accecanti e l’altro per quelli nuvolosi), un cerotto (per guarire dagli squarci), un chilo di patate (per riempire i sacchi di juta) e della carta igienica (non serve specificare per cosa).
Nessun commento pseudo-cervellotico é necessario per esprimere ciò che va semplicemente visto, constatato, ammirato per forza e per l’ennesima volta. Oltre il confine della tela, oltre che un titolo retorico e rugginoso, non é altro che una mostra atrofica che assembla opere d’arte senza proporre nuovi spunti di riflessione, commenti, critiche o interrogativi; quasi si trattasse di una lezione propedeutica, uno sguardo dall’alto su una landa desolata di squarci, tagli, buchi, fori e fossi. Amélie Nothomb direbbe che è necessario accettare tutto a dispetto del suo aspetto poiché solo così si è più vivi dell’orifizio dei lavandini, ma in questo caso neppure gli orifizi sarebbero stimolati da cotanta banalità.
Se però la vostra passeggiata domenicale in riva al lago vi sembra troppo piatta e sentite la necessità di movimentarla magari con delle buche in cui incappare, allora, recatevi al MAG di Riva, percorrete le sue bianche sale e lasciatevi sprofondare nei fori di Fontana, nell’amalgama di Burri e nella m***a, ovviamente d’artista, di Manzoni.

Buona visita!

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There are 5 comments for this article.
  • Mah · 

    Mostra ed allestimento possono non piacere, ma mi sembra che alcune affermazioni vadano un po’ oltre e infanghino decenni di arte contemporanea…
    -Sonia-

  • Lo spirito Fontana · 

    Da una in contatto medianico con le anime di Piero, Antonello ecc… addirittura iniziata dal grande Pablo in un mistico incontro milanese, ci si poteva aspettare qualcosa meglio di questa “caccata” di recensione. Ma si è laureata con il mago Otelma?

  • de gustibus · 

    Secondo me la recensione sarà pure una “caccata” e alcune affermazioni andranno anche un pochino oltre, ma ognuno ha la propria opinione. Non sarebbe noioso un giornale che scrive solamente recensioni positive di mostre o altre manifestazioni culturali solo per invitare il pubblico a partecipare? Magari le critiche, come in questo caso, spingono coloro che non condividono le opinioni dell’autore ad andare a visitare la mostra con ancora più curiosità…

  • Raffaella · 

    Ma la libertà di pensiero e di stampa che fine ha fatto?
    Trovo giusto che ognuno possa esprimere il suo pensiero… non è per questo motivo che ci piace e leggiamo Franz?
    Molto piccati e risentiti i due commenti…amici del Museo?

    • Sonia · 

      Per quanto mi riguarda, sono un’amica dello scrivere con un minimo di obiettività e senza voli pindarici da ventenne -o giù di lì- forse nemmeno troppo avvezza all’arte (a dispetto delle amicizie che millanta nella sua presentazione) e presa troppo dall’atto dello scrivere per se stesso. Se libertà di pensiero significa a tutti i costi scrivere quel che passa per la testa per autoproclamare “ciò mi schifa” e senza un minimo di documentazione che non siano osservazioni un po’ troppo soggettive e fuori le righe, beh… forse è necessario un passo indietro ed un po’ di misura e di umiltà.