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July 31, 2015

Motherlode Studio-Visit #04. Marta Cuscunà

Anna Quinz

 Marta Cuscunà è un pezzettino di cuore. L’ho già detto credo più volte, ma il suo “La semplicità ingannata” è l’unico spettacolo nella mia vita di spettatrice che ho visto tipo quattro volte. E ogni volta ho riso, ho pianto, mi sono divertita, ho pensato. Ci ho portato tutti a vederlo, il marito, gli amici, pure mamma e papà. Ora però era da un pezzo che tutti noi si aspettava il nuovo lavoro di Marta, il terzo della sua serie sulle resistenze femminili. E finalmente il momento è arrivato. Domenica 2 agosto, nella giornata delle Studio-Visit di Motherlode, finalmente ne vedremo un pezzettino. Io sono già emozionata, per quel che ho detto fin qui, ma anche perché in scena con Marta nello studio di “Sorry Boys” ci saranno delle “teste mozze” (si, proprio teste mozze) – i pupazzi che non mancano mai – e tra queste teste, c’è anche la mia. Marta insieme a Paola Villani ha creato questi volti partendo da calchi di persone reali, e – orgoglio e felicità – ha scelto anche me. Così di buon grado mi sono messa una cuffia in testa, le cannucce nel naso e mi sono fatta colare roba rosa sulla faccia. Muta per 20 minuti (roba difficile, per me) per poi avere l’onore di essere un pochino parte di questo spettacolo. Ok, sarò bionda e probabilmente irriconoscibile, ma sono  cose che non capitano ogni giorno, e vedermi lì, con le fattezze che Marta ha scelto per me, sarà favoloso. Voi però non dovete venire domenica per vedere la mia testa mozza. Dovete venire perché Marta è unica. Una di quelle donne che ti stregano, dal palco e nel mondo, con la sua intelligenza, la sua femminilità, la sua ironia, la sua bellezza così speciale. Dunque, siateci domenica, ci si vede nello studio di Marta, che intanto potete leggere qui, dove si svela e ci svela un con generosità un po’ di sé e del suo lavoro prezioso. 

Immaginati cercatrice d’oro per un momento. Dove andreste a cercarlo il tuo oro?

Lo cercherei nei piccoli paesini, quelli più isolati, nelle memorie dei suoi abitanti, nei riti più antichi, in tutti quei segni, gesti o vocaboli che, nonostante il tempo e le generazioni, resistono.

La tua vena madre, dove si trova? E dove e per cosa scorre il tuo sangue?

La mia vena madre è in un punto profondo dentro di me dove la capacità di “sentire” le cose si attiva prima della capacità di capirle. E’ il punto da dove mi arrivano le intuizioni. 

Il sangue mi va alla testa quando provo un senso di ingiustizia e quando mi infervoro nelle discussioni. (Ma anche quando trovo la tavoletta del water alzata, quando squilla un telefonino durante uno spettacolo, quando non c’è niente in casa per fare colazione) 

Mi si gela nelle vene quando ho paura di sbagliare e mi sento inadeguata. 

Scorre per le grandi passioni e i progetti più arditi. Scorre nelle domande più intime, quelle che non mi lasciano dormire la notte finché non trovo la risposta.

Cosa significa, cosa rappresenta, cos’è Centrale Fies per te?

E’ la mia casa. E’ dove trovo spazio e stimoli per fare cose nuove, dove molto spesso mi sorprendo. E’ come la borsa di Mary Poppins: se guardi dentro trovi molte più cose di quello che ti sembrava potesse contenere. 

La cosa più bella che hai fatto dall’ultima volta che franz ti ha intervistato (cosa che è successa qui)?

La cosa più bella in assoluto non te la voglio dire perché è stata speciale come un desiderio che devi tenere segreto se vuoi che si avveri…

La seconda cosa più bella è che sono stata sull’Oceano Indiano per vedere le tartarughe marine. Non sono riuscita a vederle ma durante la ricerca ho visto molto altro. Ed è stato bellissimo. 

Domenica presenterete tutti uno studio del vostro ultimo lavoro. La dimensione dello studio, per noi spettatori, è estremamente affascinante. E’ un po’ entrare nel lavoro, nel work in progress, di voi artisti. Per te cosa significa mettervi a nudo, a metà di un percorso creativo e mostrare al pubblico uno studio, appunto, di ciò che stai facendo? Ti influenza in qualche modo, poi nella realizzazione finale che verrà, il sentimento degli spettatori verso questa fase intermedia?

Le presentazioni degli studi per me sono un momento molto liberatorio perché accadono dopo un lungo periodo di lavoro sul progetto. Nel caso di “Sorry, boys” il primo studio arriva dopo due anni esatti di ricerca, scrittura, prototipi, prove… Ad un certo è utile far venire alla luce qualche parte, poterla guardare non più solo con i miei occhi o con gli occhi di chi collabora con me, ma con occhi esterni. Capire che effetto fa, che cosa effettivamente comunica al di là delle mie intenzioni… Per me è importante che il pubblico accetti un ruolo diverso rispetto a quando si prepara a vedere uno spettacolo fatto e finito. Uno studio implica vulnerabilità e allo stesso tempo potenzialità. Da entrambe le parti credo sia necessario esserne consapevoli. 1E di questo progetto che presenti, cosa puoi svelare, in anticipo? Tipo uno slogan, come dovessi convincermi a venire a vederti (anche se naturalmente io sono già più che convinta).

Sorry, boys è un racconto che arriva dritto sparato dal nostro presente. E’ una storia disturbante. 
Qui a parlare non sono i nostri nonni o sconosciuti antenati cinquecenteschi come succedeva invece nei miei lavori precedenti. Qui siamo noi. 
E’ qualcuno che ci guarda, sbirciando dal buco della serratura del bagno. 
E’ la vicina che ti spia dalla finestra. E’ irritante come un’opinione non richiesta. 
Fastidioso come il giudizio impietoso che avresti preferito non sapere.
Sorry, boys non è rassicurante perché il presente è sempre un campo minato.
Ma non spaventarti se non ti riconosci. 

Se puoi, se vuoi, se li conosci regalami una parola per ciascuno degli altri 4 protagonisti insieme a te della giornata di domenica. 

Filippo: dei suoi lavori adoro l’ironia surreale e il modo sottile e raffinato di farti ridere 
Aspetto di conoscere Mara e Hannes
Angius-Festa: sono curiosa di scoprire il loro lato nostalgico 

Finito drodesera, che farai, dove andrai?

Andrò avanti con la tournée dei miei spettacoli e con le residenze artistiche per terminare Sorry, boys…  Niente vacanze quest’anno…

Portrait Alessandro Ruzzier

 

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