Culture + Arts > Performing Arts

July 30, 2015

Motherlode Studio-Visit #03. Hannes Egger

Anna Quinz

Con Hannes Egger ci conosciamo da anni. A parte il fatto che tra “gente di cultura” in Alto Adige ci si conosce praticamente tutti, io e Hannes ci siamo incrociati sulle nostre strade in varie occasioni, abbiamo lavorato a progetti condivisi, sono stata a casa sua quando ancora era un cantiere, abbiamo fatto un lungo viaggio insieme Bolzano-Torino per partecipare entrambe a una fiera d’arte, abbiamo anche fatto qualche festa e vernissage, ci siamo tutti e due sposati di recente e qualche volta ci siamo confrontati allegramente sulle questioni matrimoniali. Insomma, tra professionale e privato, di chiacchiere e roba insieme se n’è fatta molta. Quindi intervistarlo e parlare di lui, mi fa parecchio piacere. Ancora di più se si considera che Hannes è un artista che io da sempre stimo molto, per la spontaneità e leggerezza del suo lavoro – leggerezza nelle forme, a fare da contraltare all’intelligenza assoluta dei contenuti – per il suo modo unico di “giocare” con l’arte e i suoi linguaggi, in una serie di progetti, opere e performance che come poche altre sono capaci di coinvolgere le persone –  non solo quelle “di settore”- in modo delicato ma potente, divertente e scanzonato. Unico altoatesino del quintetto degli open studios di domenica 2 agosto a Motherlode, Hannes renderà ancora più vera l’affermazione che ho fatto poco fa, quella dove dicevo che lui sa “giocare” con l’arte. Perché è proprio un gioco quello che ci presenterà a drodesera. Nel senso stretto del termine, un gioco di carte che….
Non anticipo altro, perché è lo stesso Hannes a regalarci generosamente curiosità e retroscena di questo suo work in progress.
Dunque, eccolo qui per voi, Hannes che svela (in parte, sennò che gusto c’è?) le sue carte. 

Immaginati cercatore d’oro per un momento. Dove andresti a cercarlo il tuo oro?

Il primo posto in cui cercherei è sotto il letto.

La tua vena madre, dove si trova? E dove e per cosa scorre il tuo sangue?

Non ne ho la minima idea…

Cosa significa, cosa rappresenta, cos’è Centrale Fies per te?

Per me Centrale Fies é un grande laboratorio che produce cultura in modo coraggioso. Attualmente sono poche le istituzioni che hanno il coraggio di sperimentare. Sperimentare vuol sempre dire mettersi in gioco, sapendo di poter fallire. Ma proprio questo atteggiamento è secondo me molto importante nella produzione culturale. Non si può sviluppare nulla senza rischiare e Centrale Fies, è uno dei pochi che si sentono di agire in questo modo, in un tempo di cautela generica.

La cosa più bella che hai fatto dall’ultima volta che franz ti ha intervistato (cosa che è successa qui)?

Sono andato un paio di volte in montagne e ho avuto qualche discussione con persone interessanti.

2Domenica presenterete tutti uno studio del vostro ultimo lavoro. La dimensione dello studio, per noi spettatori, è estremamente affascinante. È un po’ entrare nel lavoro, nel work in progress, di voi artisti. Per te cosa significa metterti a nudo, a metà di un percorso creativo e mostrare al pubblico uno studio, appunto, di ciò che stai facendo? 

Intendo spesso (o quasi sempre) i miei lavori come studio, come work in progress. Non mi interessa – perché mi annoia – presentare un lavoro, fabbricato nel mio studio, che poi viene messo in mostra e viene ammirato da me e/o da altri. Io lo posso ammirare anche nel mio studio, non devo uscire con un lavoro “chiuso“. Mi interessa proporre lavori “aperti“, che si sviluppano e si trasformano in collaborazione con altre persone. Sono curioso di quello che succede, come si trasformano situazioni, cosa si sviluppa, i dialoghi che provocano ecc. Spesso i miei lavori si presentano come un impulso. Il lavoro “Perform!“ che domenica viene presentato in forma di studio è un lavoro che invita già di per sé all’interazione. Si tratta di un gioco di re-enactment e reinterpretazione di performance storiche, al quale tutti possono partecipare. Insieme a Denis Isaia ho elaborato il progetto, abbiamo scelto una certa storia della performance art, che mettiamo – con questo gioco – sul tavolo, per farla rivivere con le persone presenti. È un mix tra un’antologia della performance art, un gioco di re-enactment, un progetto didattico e una performance. Lo studio fa parte del progetto, per capire se ha senso produrre il gioco in serie, in un secondo momento.

Parli del “mettersi a nudo“: tanti artisti, sopratutto donne, hanno giocato sulla nudità e sul corpo nei loro lavori. Pure questo aspetto fa parte di “Perform!“, anche se nessuno dei partecipanti al gioco dovrà spogliarsi, se non vuole. 

Ti influenza in qualche modo, poi nella realizzazione finale che verrà, il sentimento degli spettatori verso questa fase intermedia?

Ovviamente. Visto che lo studio aperto del progetto è anche una prova, per capire le funzionalità del gioco.

1Dammi un motivo per cui dovrei venire a vederti. 

Beh, é un lavoro interessantissimo per tutti coloro che si vogliono mettere in gioco, che hanno voglia di sperimentare la loro performatività.

Se puoi, se vuoi, se li conosci, regalami una parola per ciascuno degli altri 4 protagonisti insieme a te della domenica di drodesera.

In bocca al lupo a tutti e spero che avremo  insieme una giornata interessante e stimolante.

Finito drodesera, che farai, dove andrai? 

Penso di ritornare nel mio studio e di continuare la mia ricerca con un sacco di esperienze nuove sulle spalle.

 

Portrait by Elisa Nicoli

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