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July 14, 2015
Il maschile plurale di Oliver Dubois:
30 uomini + 1
Anna Quinz
Quando due anni fa a Bolzano Danza ho visto lo spettacolo “Tragédie” di Olivier Dubois, sono letteralmente rimasta folgorata. La mia carriera di spettatrice della danza è iniziata più o meno 25 anni fa (ero fan di Bolzano Danza già da bambina) e dunque di cose a teatro ne ho viste tante. Alcune buone, alcune meno. Ecco, in 25 anni di esperienza, forse “Tragédie” è stato uno dei lavori più potenti, coinvolgenti, curiosi, appassionanti che io abbia mai visto.
Era inevitabile dunque un sussulto di giubilo nel momento in cui ho scoperto che anche in questa edizione del festival il coreografo francese sarebbe tornato in città, con il suo nuovo lavoro. Che di nuovo, non è un lavoro come tutti gli altri. Se due anni fa abbiamo visto muoversi sul palco 18 danzatori completamente nudi, questa volta vedremo 30 uomini + 1.
Dubois infatti ha lanciato, insieme a Bolzano Danza e al Festival di Civitanova Marche che co-produce la prima assoluta di questo progetto – una call per soli uomini, rigorosamente non danzatori professionisti. Hanno risposto in molti e tra questi ne sono stati selezionati 30, tra qui e le Marche. Uomini di età diverse, con alle spalle esperienze diverse, che vivono vite diverse e fanno lavori diversi. Gli uomini di Dubois sono attualmente a Bolzano, dove per la prima volta andrà in scena lo spettacolo “Les Memoir d’un seigneur”, il 16 luglio alle 21 al Teatro Comunale di Bolzano. sono qui perché da domenica stanno intensamente lavorando nella sala prove al settimo piano del teatro, per costruire insieme a Dubois, al danzatore che li accompagnerà in scena, Sébastien Perrault, e ai collaboratori del coreografo, quello che vedremo sul palco giovedì sera.
Dunque, un confronto diretto tra professionisti della danza e non, tra un corpo educato al gesto coreografico e corpi che vivono puramente della loro “normalità”, tra mascolinità che si relazionano tra loro e danno letteralmente corpo e forma a una danza tutta maschile, fisica, intensa.
Sono andata in sala prove a spiare un po’, e soprattutto ho incontrato due dei 30 uomini coinvolti nel progetto, poco dopo aver iniziato a lavorare intensamente alla prima di giovedì. Ecco cosa mi hanno raccontato di questa esperienza così particolare che stanno vivendo. Loro sono Gianni Moretti, artista, e Michele Cobelli, segretario in una scuola di danza bolzanina.
Gianni, Michele, come avete saputo di quersto progetto, e soprattutto perché avete deciso di partecipare? Non è una cosa che si fa tutti i giorni, no?
Gianni: ho conosciuto il progetto tramite facebook e l’ho trovato subito interessante perché mi incuriosiva il meccanismo alla base: il dialogo tra due aspetti, uno controllato e uno meno controllato. Chiedere a 40 uomini non danzatori di mettere in piedi uno spettacolo con due professionisti, credo sia un modo interessante per perdere il controllo su qualcosa – il lavoro coreografico – che normalmente ha bisogno di estrema precisione e consapevolezza. Sono aspetti affascinanti, la struttura coreografica e l’organismo dell’opera.
Michele: io ho saputo del progetto tramite Emanuele Masi (il direttore artistico di Bolzano Danza) che mi ha visto ballare a un saggio di danza. Io lavora nella segreteria di una scuola di danza e mi diletto con un gruppo di “over” che ballano il tip tap, una disciplina che è stata un po’ dimenticata. Ho trovato il progetto molto interessante, in particolare per il fatto che sono stati coinvolti solo uomini. Nel mondo delle scuole di danza l’uomo viene visto quasi sempre come un tabù, come qualcosa di un po’ fuori luogo, quando invece effettivamente trovo sia corretto che uomini e donne abbiano la stessa possibilità di praticare le medesime discipline. Ecco perché trovo bello e stimolante che all’interno di Bolzano Danza sia possibile sviluppare un progetto come questo.
Michele, accennavi alla questione “scottante” di questo progetto. Solo uomini sul palco, giovedì sera, e dunque un evidente ragionamento corporeo e coreografico sull’essere maschio. Gianni, tu rispetto a questo tema, che è anche il tema portante dell’edizione di quest’anno di Bolzano Danza – la riflessione sul maschile e femminile nella danza – come ti relazioni, cosa trovi stimolante e importante per te, da uomo?
Gianni: per quanto riguarda le dinamiche del maschile, per me era interessante partecipare perché proprio in questo territorio un anno fa avevo partecipato a un altro progetto che aveva sempre come tematica il maschile e il femminile, “Cose da uomini” curato da Susanna Sara Mandice. E curiosamente, questo lavoro coreografico riprende i fili di questo discorso e lo porta avanti. È curioso come certe dinamiche di competizione maschile quotidiana si ripropongano, anche all’interno dello spazio di finzione teatrale.
Voi non siete professionisti, quindi il vostro corpo non è educato a questo tipo di lavoro. Come state vivendo, in termini puramente fisici, queste giornate?
Gianni: l’esercizio fisico è forte, molto più di quello che mi aspettavo. Credevo si sarebbe svolto in tutt’altro modo, in realtà è molto orientato allo sforzo corporeo elevato e anche molto alla coreografia e alla danza.
Michele: pensavo di organizzare la mia settimana andando la mattina in palestra e il pomeriggio al workshop, poi ho capito che avrei dovuto evitare la palestra, perché lo sforzo fisico è notevole, c’è molto da fare. E anche se sono uno sportivo, e appunto frequento una palestra, mi rendo conto che i movimenti richiesti qui sono completamente diversi, quindi a fine giornata il mio corpo sente e risente. Rispetto al tip tap poi, che io faccio abitualmente, questa è una disciplina completamente diversa. Io sinceramente sono un po’ titubante rispetto alla danza contemporanea, ma questo lavoro – forse perché lo sto vivendo dall’interno e nonostante sia accompagnato da una musica particolare – direi che mi sta prendendo molto. E a livello corporeo è qualcosa di indescrivibile, proprio perché siamo coinvolti direttamente ed emotivamente, perché siamo dentro la coreografia.
Come è iniziato il lavoro tra voi 40 uomini prima sconosciuti e ora “buttati” insieme in un progetto così intenso e di stretta vicinanza? Vi siete conosciuti, presentati, studiati, osservati?
Gianni: per me è interessante che non ci sia stato quel classico giro di presentazioni che si fa di solito a inizio progetto. Tutti stanno cercando una loro posizione nel gruppo, non me lo aspettavo, ma da subito si è creata una forte coesione nonostante le dinamiche di micro-competizione che mi sembra di rilevare. Trovo interessante osservare come si queste dinamiche e rapporti interpersonali si evolvano nei giorni. E le differenze che in realtà ci sono, è come se fossero appianate all’interno della dimensione diciamo dello sport. Effettivamente ci troviamo di fronte a qualcosa che non conosciamo o comunque non conosciamo bene, perciò in realtà c’è quasi un doppio binario, da una parte appunto una dimensione più competitiva e dall’altra una dimensione di gruppo in cui tutti creiamo una sorta di rete per affrontare quello che ancora non conosciamo.
Cosa pensate proverete giovedì sera al debutto, quando il sipario si alzerà e voi sarete protagonisti della scena?
Gianni: Cosa proverò quella sera non lo so, probabilmente conoscendomi molta agitazione. Comunque per me questo lavoro è interessante nel suo insieme, non tanto per lo spettacolo finale, ma piuttosto nello svolgersi dal primo all’ultimo giorno e nel vedere come cambiano le dinamiche umane tra di noi, rispetto e nei confronti dei coreografi e del danzatore professionista che arriverà oggi. Sono molto curioso di vedere cosa accadrà quando insieme a lui inizieremo a provare sul palco.
Michele: certamente una grande emozione e magari anche un po’ di responsabilità rispetto al ballerino professionista che condivide lo spettacolo con noi, perché comunque noi non siamo danzatori e dunque non abituati a cose del genere. Ma si cercherà sicuramente nel nostro piccolo di dare il meglio, sicuramente verrà fuori qualcosa di bello e avremo modo di divertirci.
Gianni, tu sei un artista visivo. Come vivi questo lavoro così diverso dal tuo quotidiano e dal tuo modo di pensare la creatività e la composizione artistica, anche nella sua non autonomia, visto che a differenza del solito, qui sei “sottoposto” al pensiero creativo altrui?
Gainni: questo tipo di sfida mi interessa molto. Quando ho detto che sarei venuto qui molti mi hanno chiesto “che ci vai a fare, non ti riguarda come artista, lavori con altri media, hai un altro tipo di linguaggio”. Per quanto mi riguarda la mia ricerca è andata sempre nella direzione di una verifica al negativo, uscire completamente dal mio ambito per vedere quali sono i punti di contatto rispetto a ciò che faccio, per tornare poi con una consapevolezza diversa. Prima di questo ho fatto un workshop di performance con Franco B, ero molto curioso e sono andato. Ed è stata una delle esperienze più interessanti per me come installatore, disegnatore e pittore. Per me è stimolante analizzare le strutture che muovono certi organismi e come queste strutture riescono a mantenere in piedi un organismo, che sia una coreografia o un disegno su carta. E quel momento nel quale queste strutture crollano, perché non c’è un equilibrio tra la gestione totale, il controllo, e il lasciarsi andare all’errore.
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