Rosengarten

June 26, 2015

Carla Cardinaletti a Farm Cultural Park: da nord o da sud, quel che conta è guardare nella stessa direzione

Anna Quinz


Carla Cardinaletti è un’artista che noi di franz conosciamo bene. Presente con opere site specific potenti alle prime due Rosengarten Festa (un balcone fiorito di rose, un Rosengarten urbano il primo anno e poi il messaggio su strada che accoglieva tutti i visitatori “Come as you are”, il secondo) , è stata anche uno dei protagonisti della Rosengarten Residency che ha dato vita all’installazione/apparizione della terza edizione della festa del quartiere creativo di Bolzano. Ma la carriera di Carla naturalmente va ben al di là di Rosengarten e Bolzano. Carla è un’artista capace di interpretare e leggere i luoghi in cui interviene, che gioca con la luce, le parole, i pensieri, i materiali con un’attenzione e una cura speciali. Ogni suo lavoro lascia un segno forte in chi lo osserva, perché è sempre lì esattamente dove deve essere, come deve essere, quando deve esserlo. Impossibile dimenticare per esempio la clessidra enorma che “invadeva” le pareti esterne dell’Eurac Tower o i suoi macroscopici occhiali da sole con le lenti rosa che dominavano il forte di Fortezza durante Panorama 14: guardare attraverso e riscoprire altre tonalità di visione del contesto circostante, che all’improvviso si tingeva di pink diventando per sempre altro da sé.

Negli ultimi mesi Carla è stata impegnata su una nuova grande sfida, di nuovo a contatto diretto con un luogo significativo, di nuovo a confrontarsi con ambienti, spazi, persone, lasciando poi dietro di sé una traccia preziosa che racconta e legge quel che Carla ha visto, sentito, vissuto. Questa volta la sfida è lontana, geograficamente parlando: Favara, Sicilia. Carla ha vinto il concorso I Art, che offriva una residenza a trenta artisti in tutta la Sicilia. Per questo l’artista bolzanina ha trascorso un mese a Favara e ha avuto la fortuna enorme (parole sue) di essere ospite di Farm Cultural Park, che ha aderito al progetto. Anche Farm è una nostra “vecchia conoscenza”. 2 anni fa le sue anime, Florinda Saieva e Andrea Bartoli sono stati nostri ospiti a Bolzano per un Rosengarten Brunch, durante il quale ci hanno raccontato di questo loro magnifico e prezioso progetto di riqualificazione urbana della piccola Favara attraverso i linguaggi e le forme dell’arte contemporanea. 

Abbiamo chiesto a Carla di raccontarci la sua esperienza siciliana, dalla quale possiamo certamente – perché la geografia, se i pensieri sono condivisi e le visioni allineate, è cosa relativa –  imparare molto anche noi. 

3Carla, che idea ti sei fatta di Farm Cultural Park, visto da vicino? Noi ne abbiamo sentito parlare, anche direttamente dalle parole dei suoi creatori, ma forse è solo standoci dentro che si può veramente capire, no?
Farm è una realtà da vivere, altrimenti si rischia di non crederci. Sopratutto per noi altoatesini che siamo stati abituati alla presenza della mano pubblica come motore economico delle attività culturali. E per capire Farm, bisogna respirare Favara. Inimmaginabile per me altoatesina una realtà come quella dell’agrigentino. 

Il bello di avere avuto l’opportunità di esserne ospite per un mese mi ha permesso di conoscere la città e le logiche che stanno alla base del progetto Farm, essere spettatrice di come si possa, in un territorio ferito, creare un luogo di cultura aperto a tutti. L’anima di Farm sono le persone che la pensano, progettano, ampliano mattone su mattone ogni giorno, che perdono le notti per immaginare progetti per la città (e poi li realizzano!). La forza di Andrea e Florinda oltre alla lungimiranza e all’amore per il loro territorio è la capacità di trasmettere la passione e circondarsi di persone che come loro guardano nella stessa direzione. Accanto a Farm c’è Farmidabile, la cooperativa di comunità, che sviluppa progetti di integrazione e sviluppo per la città. E poi ci sono i favaresi-farmesi che hanno capito la forza dei 7 Cortili e una quantità di persone che arrivano dall’Italia e da tutto il mondo per partecipare alle attività culturali e condividere il Farm-pensiero. È straordinario che oggi i 31 mila like della pagina FB di Farm abbiano superato il numero degli abitanti di Favara. È come se la città ora avesse duplicato i suoi cittadini. 

Cosa possono imparare gli alteri territori, per esempio Bolzano o lAlto Adige, da un’esperienza visionaria e coraggiosa come quella di Farm?
Noi possiamo imparare che “c’è posto per tutti”. Alcune case dei 7 Cortili, la sede di Farm, sono ancora abitate dalle signore ultranovantenni che lì sono nate, le “zie” che convivono benissimo coi turisti internazionali che visitano la galleria, coi profumi della cucina africana o coi rumorosi djset serali.  E attenzione, io che so quattro lingue europee, la zia Maria mica la capivo, ma poi mi prendeva sottobraccio e andavamo a fare due passi e tutto diventava chiaro. A Farm non c’è discriminazione, perché al centro c’è la persona e il suo benessere. Farm sa che sono le persone che fanno le città, che si cambia mentalità attraverso la cultura, offrendo punti di vista diversi che rompono le logiche cristallizate di un territorio in profonda sofferenza.

Fondamentalmente Farm ha colto quali sono le esigenze del suo territorio, da quelle materiali, come il risanamento urbanistico del centro che fino a qualche anno fa era in completo degrado, fino a quelle immateriali, l’offerta formativa per i ragazzi, gli spazi di diporto e aggregazione per la comunità, l’offerta culturale e lo scambio con artisti e intellettuali da tutto il mondo. Farm fa mappatture, si dota di strumenti antropologici, fa ricerca, si confronta. E tutto questo crea anche un indotto economico per una città che altrimenti sarebbe rimasta periferia della valle dei Templi, conosciuta solo per il suo Agnello Pasquale di marzapane. Ottimo tra l’altro!

Inoltre da Farm possiamo imparare che i progetti culturali si possono realizzare anche senza i contributi pubblici, e che le best practise che ci caraterizzano potremmo comunicarle meglio al mondo. E poi l’Istat decreta Bolzano e Agrigento agli antipodi per quanto riguarda il reddito pro capite, noi al secondo posto loro al penultimo; ecco, potremmo magari imparare a apprezzare di più quello che abbiamo. 

2Le prime impressioni quando sei arrivata a Favara… 
Il primo giorno a Favara è stato un lunedì, unico giorno di chiusura di Farm… Già il viaggio da Palermo è stato un’odissea, ore per percorrere neanche 150 km. Avevo appena trascorso due giorni coi miei colleghi a parlare di arte, mostre e a godermi la magnificienza di una città come Palermo. 

Mi sono ritrovata sola, in una cittadina di trenta mila abitanti, in piena quaresima, coi canti religiosi sparati dagli altoparlanti delle vie del centro storico, i palazzi del centro che dire fatiscenti è poco, abitata apparentemente solo da uomini… Per me che non vengo certo da NY, è stata comunque una botta. Alla sera sono andata a cercare un posto dove cenare, e finalmente ho conosciuto il cuore della città, la sua gente. La cosa straordinaria è che non c’è diffidenza per lo straniero, che se ti poni in modalità ascolto la gente si avvicina e ti accoglie.  

Farm in primo luogo è qualcosa di forte, da come ne parli e da come possiamo vedere ogni giorno sui media che tanto spazio dedicano a questo progetto. Ma un conto è lo sguardo “esterno” un’altra cosa starci dentro e viverlo in prima persona, anche con i problemi e le difficoltà che un’idea del genere può avere, in un luogo piccolo come Favara. Dunque, poi c’è il contesto in cui Farm è inserito. Shock culturale per una bolzanina in Sicilia? Come sei stata accolta dalle persone, come si è svolto il tuo stare lì e il tuo lavoro?
Il mio compito era quello di investigare il territorio per concepire un progetto artistico che lavorasse sulle eredità immateriali della Sicilia. Favara ha un passato ingombrante, e certo non ho la presunzione di concepire un lavoro che parli di abusivismo edilizio, mafia, mal governo in un mese. Dunque ho preferito concentrarmi sulla dote che questa città attraverso Farm ha messo in moto per riqualificare il suo territorio. Ho conosciuto moltissimi favaresi, ho vissuto come vivono loro, facendo slalom tra le macchine perché i marciapiedi non esistono, ho appeso anch’io il sacchetto dell’immondizia (residuo+umido) sul chiodo fuori casa, ho sopportato i vicini urlanti, ho mangiato i dolci tipici, ho frequentato le processioni pasquali, ho passeggiato in piazza con gli anziani del paese, mi sono fatta la piega più lunga della mia vita dal parrucchiere cool del centro, ho grigliato la stigliola (sorry, senza mangiarla), sono andata a Punta Bianca e alla Scala dei Turchi (il mare dei favaresi), ho girato in vespa senza casco. Ho fatto quello che fa la gente normale. Parallelamente sono diventata una farmese, ho partecipato a workshop, ho presentato il mio lavoro, ho cenato con artisti e designer internazionali, ho condiviso progetti, ho fatto la guida ai turisti russi, ho ascoltato concerti, ho seguito il divenire dei progetti di riqualificazione urbana.

1Parlami del progetto che presenti, come è nato, cosa racconta, come ti rappresenta…
La mia attività di ascolto ha prodotto un piccolo lavoro, omaggio al progetto più straordinario e ambizioso che Farm sta realizzando. Massima espressione della dote che Farm prepara per Favara: il Children’s Museum. ”Turn on the key” è una Chiave di neon rosa che ha l’ambizione di essere quel misterioso oggetto che strizza l’occhio ai più piccoli e che racconta loro, con la potenza evocativa di un oggetto che libera, apre, svela, quello che l’arte è, quello che può essere.

 L’opera di Carla è stata spedita, e presto sarà visibile a Favara. Magari, chissà, durante le vacanze al mare, tra una spiaggia siciliana e l’altra, potreste fare un salto qui, a incontrare Farm Cultural Park e a farvi rapire dalla sua forza e bellezza…

Foto:
1 + 2 + 3: Carla Cardinaletti 
4:  Pietro Millici for I-Art (scattata nello spazio selfie di Farm)

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