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February 18, 2015

Voci nella tempesta.
Intervista ad Elena Marino

Mauro Sperandio

Il centenario dallo scoppio della Grande Guerra è occasione per le doverose celebrazioni ma anche per un rinnovato interesse nei confronti degli eventi bellici.  Le ferite materiali ed immateriali che la guerra ha lasciato sono visioni sfuocate che il lavoro di storici e gente di spettacolo rendono più nitide. Nelle pagine, sui palcoscenici, il dolore assume la consistenza dell’immagine e le persone rivivono donandoci il loro vissuto. Così,un anniversario di morte si trasforma in un insegnamento di vita senza tempo. Allo Stabile di Bolzano vanno in scena le vite di tre donne -Voci nella tempesta- testimonianze di una guerra diversa da quella maschile, ma combattuta con pari coraggio difendendo i confini della quotidianità domestica. Elena Marino, autrice del testo e regista dello spettacolo, così ne parla:

Tre donne di fronte alla tragedia della guerra e dell’esilio. Una storia vecchia di 100 anni, ma che pare non avere tempo…

Le voci del passato servono a confrontarci con il nostro presente, ed è tanto più commovente e culturalmente forte confrontarsi con storie vecchie di 100 anni che risuonano contemporanee e parlano del nostro malessere quotidiano, dei nostri telegiornali, delle nostre paure e speranze. Nutriamo la necessità di renderci conto dei fenomeni storici e sociali nei quali siamo immersi. Abbiamo bisogno di visioni ampie, anche scorci dalle profondità della storia, dalle sue stratigrafie più ignorate: la nostra situazione attuale può essere osservata per somiglianze e contrasti da ottiche differenti, da punti di vista storicamente dislocati.
I personaggi delle nostre tre donne, ricavati dagli scritti autobiografici che abbiamo avuto la fortuna di ricevere da numerose donne trentine di quel periodo (non dimentichiamo l’altissima percentuale di alfabetizzati del nostro territorio rispetto al resto d’Italia), tracciano per noi la traiettoria che dal confronto con un momento storico ormai mitizzato (la Grande Guerra) ci riporta alle necessità e alle scelte dell’essere umano: non le armi, non i massacri al fronte, non la “guerra” come la conosciamo, ma i “risvolti” della guerra, il suo “backstage”. Queste tre donne scelgono il coraggio, ognuna a modo suo. E scelgono di farsi una propria idea di quello che sta accadendo, contraddicendo anche vulgate storiche alle quali siamo ormai abituati (per esempio per quanto riguarda l’atteggiamento della popolazione trentina all’entrata in guerra dell’Italia contro l’Impero Austro-Ungarico).
Voci nella tempesta
Le protagoniste sono di lingua e abitudini diverse, cosa le unisce e cosa le salva?

I nostri tre personaggi portano avanti strategie esistenziali e atteggiamenti profondamente diversi, ma hanno in comune il coraggio di avere le proprie idee, di fronte anche a momenti storici così sovrastanti e maschili come una guerra. C’è un irriducibile buon senso femminile, legato alla famiglia e alla dimensione umana, che combatte faccia a faccia il disastro bellico che, oltre a essere un massacro fisico, è anche un disfacimento culturale, un disgregamento della famiglia e un avvilimento etico. Le donne si salvano perché devono salvare: i figli, la famiglia, il pudore, i pochi averi. Combattono a modo loro la battaglia contro la fame, la violenza, l’esodo forzato, il razzismo, le bugie e le menzogne retoriche che le assalgono da ogni dove: la guerra si presenta in primo luogo per le donne come il momento della massima ingiustizia e della massima bugia. In guerra, è risaputo, la verità assume contorni indecifrabili e la propaganda è parte attiva del conflitto, arma eccellente per mescolare le carte e avvilire il buon senso dei popoli.
Le nostre donne sono unite dalle piccole cose, dalla realtà della sopravvivenza. Ma anche dalla voglia indomabile di avere un proprio pensiero riguardo alla situazione, e di “far sentire le propria voce”. Che è voce di preghiera, di giudizio, di protesta. Che è canto che svela le ferite in modo oscenamente esatto.
Teatro Stabile Bolzano Teatro Studio
In una Storia “scritta al maschile”, nella tempesta, si levano delle voci di donna. Cosa contraddistingue il racconto “al femminile”?

Tutto ciò che apparirebbe come l’aspetto più importante della guerra al maschile, cioè i combattimenti, le vittorie e le sconfitte, le armi e gli eserciti, le marce in territorio nemico, le morti, il fronte… tutto ciò scompare, nel racconto femminile. Non è più considerato centrale per parlare della guerra. Il racconto al femminile vede la guerra nei suoi risvolti sui civili, sulle città, sulle terre. Sulla famiglia. Nota i bambini, la fame, le umiliazioni, gli strazianti addii. La rovina che la guerra si lascia dietro in quella che chiamiamo “società civile”. Questo è il racconto che ci interessava, perché è quello che non entra nei libri di storia, che gli studenti non memorizzano sui banchi di scuola. Ma forse questo “backstage” della guerra è la sua vera, immensa, reale ombra. E forse l’essenza della guerra è in questa “ombra”, non nelle battaglie sulle quali, più facilmente, si accentra l’attenzione e la memoria.
Le voci femminili sono insistenti, non possono perdonare né dimenticare. Per gli antichi greci le donne erano le depositarie della vendetta perché erano le depositarie della memoria delle ferite: l’uomo combatteva, moriva, ed era sufficiente ricordarne il luogo di morte, il “monumento”. La donna custodiva invece il sangue che cola a terra e richiede un’elaborazione più sotterranea e lunga, una digestione più lenta.
Le nostre donne non chiedono vendetta: esigono ascolto perché sono portatrici di canto emotivo, e di un coraggio anti-retorico, tutto legato all’umanità e alla famiglia, alla protezione dei figli, cioè delle nuove generazioni. Le nostre donne chiedono di darsi da fare per ricostruire quel che di umano rimane nella nostra civiltà.

Prima che regista ed autrice, lei è una donna trentina. La ricerca e l’elaborazione di questo testo cosa scoprono e suscitano nei Trentini di oggi?

Mi sono appassionata talmente tanto alle vicende delle donne trentine che stanno alla base del nostro spettacolo, che credo in primo luogo sia importante scoprire, conoscere le loro voci, perché hanno ancora tanto da dirci. Conoscere le proprie origini può avere risvolti emotivi, etici. Si comprendono meglio tante cose. Non si giustificano le tensioni che facilonerie “storiche” vorrebbero attizzare, ma si comprende meglio quali ferite hanno generato quali atteggiamenti, e comprendere vuol dire rispettare. Senza rispetto per la storia nostra o degli altri non ci può essere serenità sociale, così come senza la conoscenza e il rispetto della storia individuale non ci può essere reale amicizia.
Noi con questo spettacolo abbiamo fatto del nostro meglio per trasmettere un reale amore e rispetto per l’esperienza reale del passato che ci è stata testimoniata, e per il nostro attuale territorio. Crediamo che non solo ai trentini debbano interessare queste vicende, perché si tratta di narrazioni che regalano punti di vista differenti e inediti. Le storie, le narrazioni, sono pattern di cui ci corrediamo per comprendere il presente. “Voci nella tempesta” racconta un momento importante della storia europea, e purtroppo anche un mito ricorrente nella storia umana, cioè quello dell’esodo ( e dei profughi). Le voci femminili incalzano per raccontare vicende che permettano di assumere anche altri punti di vista, oltre quelli già noti e magari scontati. Deviare il proprio sguardo dal già noto per osservare qualcosa di nascosto o laterale rinfresca il senso critico verso il presente.

Venerdì 20 Febbraio, ore 20.30, Teatro Comunale di Bolzano (Teatro Studio),“Voci nella tempesta”, testo di Elena Marino, regia di Elena Marino, con Silvia Furlan, Silvia Libardi, Chiara Superbi. 

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