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February 17, 2015

Prima del silenzio:
Leo Gullotta al Puccini

Mauro Sperandio

Trovo difficoltà ad introdurre Prima del silenzio e l’intervista a Leo Gullotta, non perché sia persona di parole striminzite e nemmeno perché sia poco cortese o affabile, tutt’altro. La difficoltà non sta nemmeno nell’argomento dell’intervista, Prima del silenzio è una storia senza tempo che celebra la parola come moto dell’animo, come collegamento tra l’esperienza e la sensibilità, come onesto scambio.
Un vecchio poeta, artigiano del dire, incontra un giovane sanguigno di spirito eminentemente pratico; l’incontro e la divergenza, le delusioni e le aspettative di queste due umanità a confronto si mostrano come flutti di un mare mai calmo. Solo la parola, solida perché consapevole, saprà solcare una distesa di schietta umanità.

Difficoltà, forse, non era la parola giusta. “Attenzione”, per il mio interlocutore, per il suo discorso, è la disposizione adatta, la chiave per valicare ostacoli e barriere. Con attenzione e piacere, Leo Gullotta:

Il vostro spettacolo va in scena per il secondo anno consecutivo, più di 40000 spettatori vi hanno assistito ed ovunque la reazione di critica e spettatori è stata entusiastica. Quali corde tocca nell’animo del pubblico?
Prima del silenzio
è un testo che ormai ha  trent’anni, ma sembrerebbe scritto, non ieri, ma proprio questa mattina. Giuseppe

Patroni Griffi, uno dei più grandi intellettuali italiani dello scorso secolo, lo scrisse dedicandolo al grande Romolo Valli, che -tragica coincidenza- morì in un incidente automobilistico dopo l’ultima recita al teatro Eliseo. Si tratta di un testo che abbraccia tematiche attualissime, l’opera giusta per il pubblico che in questo momento storico ama riappropriarsi del teatro, quindi della parola, della riflessione, della qualità e della professionalità.Il pubblico a teatro trova queste cose e ne rimane affascinato e quando si ritrova in uno dei temi dello spettacolo è costretto aprire i “cassettini dell’anima”, che molto spesso si faticano ad aprire.In quel momento, lo spettatore ritrova sé stesso ed è obbligato ad osservarsi.Lo scontro generazionale, la crisi matrimoniale, il fallimento politico e sociale ma anche e soprattutto la morte della parola sono temi che non possono lasciare indifferenti. Perché la parola è vita e senza di essa non c’è vita, perché la morte nel suo affermarsi è negazione della parola.Prima del silenzio bisogna vedersi incontrarsi, parlare, discutere, altrimenti non è vita.
Eugenio Franceschini Foto Tommaso Le Pera
Il giovane protagonista usa con parsimonia la parola, preferendo l’azione e la fisicità. La parola usata con la consapevolezza dell’artigiano è cosa da vecchi, o la paura di dare un nome alla realtà -ed affrontarla- è paura dei giovani?

Anche questo è un tema che viene affrontato nello spettacolo, un pugno nello stomaco per il pubblico. Sicuramente i giovani hanno delle colpe, ma le hanno soprattutto i loro genitori, le persone che si sono ritrovati accanto.La poca esperienza di vita di questi ragazzi li porta ad assimilare ciò che li circonda in maniera acritica, trasformandoli -grazie ai nuovi media- in scrittori che vogliono essere, a prescindere da tutto, protagonisti.

Cardine dello spettacolo è “la morte della parola”. In televisione, nel giornalismo, nel discorso politico la parola è utilizzata in maniera furba, inconsapevole, approssimativa. Ritiene sia un problema di idee o linguistico?

Negli ultimi venticinque anni -a mio modestissimo avviso- c’è stato un abbattimento del pensiero voluto e studiato a tavolino: meno pensi, meno rifletti, meno problemi dai al potente di turno. La crisi dell’università, di tutta la scuola e della stessa cultura, con il crollo degli investimenti nel cinema, nel teatro e nella musica, rientrano in questo orribile progetto. Prima del silenzio raccoglie vastissimi consensi tra un pubblico assai eterogeneo, perché tutti si sentono coinvolti.Il riappropriarsi della parola, di un ragionamento, di un tema, costringe a confrontarsi con aspetti della propria anima che ci si è illusi di nascondere. Il pubblico, in totale e profondo silenzio, ascolta questo atto unico di un’ora e mezza, esplodendo al termine dello spettacolo in un infinito applauso liberatorio. Il pubblico è contento di aver goduto del teatro con la T maiuscola, della parola e del dialogo, qualcosa che dopo lunga assenza viene ritrovato.

Crede che sia necessario fare un po’ di violenza al pubblico, per ridestarne l’interesse?

La violenza non mi piace nemmeno in senso figurato. Bisogna essere onesti ed offrire spettacoli onesti, che rifuggano l’autocompiacimento, che pensino al pubblico e lo rispettino. Mi viene in mente Specchio segreto, una trasmissione televisiva del grande Nanni Loy, l’atteggiamento della gente di allora [si trattava di una serie di candid-camera; famoso l'episodio in cui un tale intingeva il proprio croissant nel cappuccino di un ignaro avventore] di fronte allo scherzo era serena tenera, di grande umanità. Ai nostri giorni esperimenti simili troverebbero reazioni stizzite, brutali, di pancia, senza riflessione.
Non abbiamo più l’abitudine di osservare, di ascoltare e rispettare l’altro, non ci riconosciamo più nel prossimo.
Leo Gullotta Foto Le Pera
Lei, con le sue scelte artistiche, con l’intensità della sua recitazione, scavalca il palco e pungola la sensibilità del pubblico. Nella sua vita, nel bene e nel male, ha inciso di più la parola o il silenzio?

Ho cominciato a fare questa professione da ragazzino, avevo quattordici anni quando sono entrato al Teatro Stabile di Catania. Nei dieci anni in cui ho frequentato il teatro catanese ho avuto come punti di riferimento attori di fama internazionale quali Turi Ferro, Salvo Randone, Glauco Mauri, Giancarlo Cobelli, Giuseppe Fava (giornalista ucciso dalla mafia), Leonardo Sciascia. Ero un ragazzino, ho avuto la fortuna di crescere accanto a questi punti di riferimento autorevoli e probabilmente sono stato spinto ad ascoltare, -anche se forse non me ne rendevo conto- formandomi e coltivando l’attitudine all’ascolto. Credo che parola e silenzio nella mia vita abbiano avuto ruoli di pari importanza. Ci sono concetti che vivono di parole e silenzi e che bisogna tenere bene a mente:rispetto, incontro, parola, confronto, discussione. Oggi tutto questo è azzerato,vince chi grida più forte e sopraffà l’altro.

In che modo la sua storia di uomo ha influenzato il suo interesse per gli altri?

Sono nato a Catania, in un quartiere popolare, in una casa povera, da una famiglia semplice in cui, però, papà ha mandato a scuola tutti.In un periodo di ricostruzione, tra gli anni ’50 e ’60, un periodo in cui lavoravano tutti per migliorarsi e migliorare questo paese. C’era un altro accento, la disponibilità e la voglia di offrire un sorriso in più, nonostante le difficoltà della vita. Dovremmo recuperare un po’ di questo atteggiamento, non ci dovremmo rintanare dietro la paura che magari è stata costruita volontariamente, dietro la xenofobia, l’omofobia, tutte cose preparate per dividere. Viviamo oggi una guerra tra poveri, in cui la classe borghese -che è sempre stata misura nella storia- è stata messa da parte. I ragazzi sono stati annientati con il falso mito dell’apparire senza fatica, pronti a farsi zerbini per un po’ di celebrità. I giovani devono studiare per arricchirsi interiormente e armarsi contro le avversità della vita. Vengo da una terra che ha visto varie dominazioni: fenicia, greca, romana, angioina, normanna… ed io sento nel mio sangue queste diversità. Devo essere curioso, devo guardare alle mie radici con devozione..

Cosa si aspetta dal suo futuro?

Sono stato un uomo fortunato, ho potuto lavorare con i grandi, crescendo scolasticamente, professionalmente.Non so cosa farò, non ho la sfera di vetro, ma, come tutti dovrebbero, farò la mia infinitesimale parte, senza rintanarmi come il protagonista di Prima del silenzio, che scopriremo alla fine dello spettacolo, se si è veramente nascosto, oppure se si cela in un luogo dell’anima in cui i suoi ricordi e le sue parole vivono.

Foto: Tommaso Le Pera

Martedì 17 Febbraio, ore 20.30, Teatro Puccini di Merano(BZ),“Prima del silenzio”, testo di Giuseppe Patroni Griffi, regia di Fabio Grossi, con Leo Gullotta ed Eugenio Franceschini.

 

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