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January 8, 2015

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Sara Masè

Titolo originale: Big Eyes

Regista: Tim Burton

Di cosa parla: una giovane pittrice, Margareth, incontra Walter, artista non  affermato, dalla forte personalità e con fascino da imbonitore. I due si sposano, dando vita ben presto ad un inconsueto sodalizio artistico: lei dipinge dei surreali ritratti di bambini dagli occhi giganti e suggestivi, mentre la paternità delle opere viene abilmente indossata dall’istrionico marito che riesce in breve tempo ad acquisire notorietà mondiale. Ad un certo punto, tuttavia, il peso dell’inganno e la frustrazione di non essere riconosciuta quale autrice di quei ritratti portano Margareth a squarciare il velo di quella bugia.

Cosa spacca: il film si colloca negli anni Cinquanta in America che, per quanto fosse un Paese più “avanti” di altri all’epoca (il divorzio non era un tabù), forse non era ancora pronto per riconoscere il talento di una donna. Questa la spiegazione del perché ci volesse un “pittore maschio”, oppure era solo la sottile manipolazione da parte del marito, che voleva indurre la donna a “cedere” a lui, privo di estro pittorico, la corona e l’attenzione dei media?
Il film risulta irritante e dissonante fin dalle prime inquadrature, per lo spettatore sembra impossibile credere che la donna possa davvero lasciarsi manipolare in modo tanto subdolo. Il marito è antipatico e si è portati a diffidare di lui sin da subito. Il regista dichiarava, durante la lavorazione del film, di essersi da sempre ispirato all’estetica malinconica delle opere i Keane, quei fanciulli dagli occhi tristi e giganti che in parte, possiamo riconoscere in alcuni personaggi di Frankenweenie e del più vecchio Nightmare before Christmas.

Cosa fa schifo: il protagonista maschile, come già detto, è irritante, presuntuoso, collerico e vuoto. Una persona “orribile”, in un certo qual modo ben peggiore di molti  personaggi tipicamente “cattivi”, e che sia poi un certo risveglio religioso – anziché l’uso della ragione e dell’intelletto – a determinare il risveglio della protagonista può essere deludente, anche se in ogni caso l’importante è che si sia svegliata.

Menzione speciale: l’estetica degli anni cinquanta viene ricostruita in modo efficace, combinata con un interessante elogio del kitch (che rappresenta una delle caratteristiche ritrovabili in altre opere di Burton), incarnato nei ritratti di bambini con occhioni che danno il nome al film.
Il film comincia in una giornata di sole, con una fuga in macchina ed un’inquadratura tipica dei noir dell’epoca (donna al volante ripresa di fronte), ed è ancora in macchina, di notte, con la stessa tipologia di ripresa, che Margareth lascia il marito e si avvia ad una nuova esistenza, a chiusura dell’unica scena cupa e dark di tutto il film. Un omaggio al noir americano?

Consigliato a chi: si domanda cosa sia un’opera d’arte e cosa possa consacrare un artista in quanto tale.

Voto ponderato: 7-

Al Filmclub Bolzano fino al 14.1.2015.

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