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December 2, 2014

Sinestetico Strauben #13. Centri benessere

Mauro Sperandio

Il titolo non vi faccia pensare a luoghi dove essere massaggiati, spatolati con creme di consisistenze e cromie le più varie, bruniti come Krapfen e come i Krapfen sulla linea di galleggiamento diafani.

Non mi riferisco a quei luoghi che hanno a che fare con l’estetica delle estetiste, o con l’impastare dei massaggiatori.

Scrivo “Centri di benessere” riferendomi a quei luoghi che rendono gradevole lo stare, l’essere, perché animati da persone preposte alla cura del prossimo (avanti il prossimo!) o perché passivamente accoglienti, confortevoli.

La sartoria

Differentemente dal negozio di abbigliamento, la sartoria ha la peculiarità di poter offrire capi semi-pronti, di taglie temporaneamente abbondanti ma che possono essere adattate alle figure più varie ed anche irregolari. Senza che pensiate ad un mio processo di immedisimazione, trovo che chi viene assistito da un sarto si senta circondato, oltre che dalla stoffa, da un affetto quasi genitoriale.

Alla sarta, ma anche al sarto, è permesso lisciare ventri e bassoventri, pinzare bacini, e spianare natiche là dove il tessuto sovrabbonda, il tutto mentre il/la cliente -in un’estasi non acritica- è concentrato a guardarsi allo specchio, non più padrone del suo corpo, magari mentre si immagina adeguatamente vestito per un’elegante contesto. L’esclusività dell’indumento e la sua capacità di mostrare o celare sembrano essere sublimate dal trattamento premuroso dell’artigiano.

Forse per una riminescenza puerile la gente in sartoria si fa toccare, raddrizzare e mettere in posa con cieca ubbidienza, come fiduciosi bimbi al fasciatoio.

La lavanderia a gettoni

“I panni sporchi si lavano in casa”, questo adagio popolare è un invito a non mettere in piazza ciò che nel privato nasce e privato deve restare, della propria biancheria usata, si sa, la gente ha un certo pudore. Chi entra in una lavanderia a gettoni cerca di celare il proprio fagotto di indumenti, anche se così palesemente zozzi non sono. Tuttavia -parlo per esperienza diretta- chiuso l’oblò della lavatrice, messi in cassaforte i propri stracci, risolto l’imbarazzo, la gente chiacchera amabilmente del più e del meno, più che in altri luoghi di attesa, diversamente da quanto avviene in sale d’aspetto e fermate dell’autobus. Alla faccia dei tandem linguistici -che si pagano anche cari alle agenzie che li organizzano- le lavanderie a gettone sono delle piccole assemblee interculturali, consessi di socialità, luoghi di cortese scambio dove brindare ad un’amicizia effimera con un goccio di ammorbidente. Con dignità, anche a novanta gradi.

Il barbiere, la parrucchiera

Negli anni delle scuole elementari affidavo i miei indomabili capelli alle cure di un anziano barbiere. Il barbiere in questione, per gli anni che lo frequentai, mi chiese ogni volta che mi recavo da lui di chi fossi figlio e nipote. La mia risposta, anche questa sempre identica, richiamava in lui il ricordo del mio nonno paterno che si peritava sempre allo stesso modo di ricordare come “bell’uomo, distinto etc. etc…”, per unr quarto d’ora. Quando smisi di seccarmi per la ripetitività della questione e sublimai la noia in (im)pietoso riso, ebbi la possibilità di godermi le premure del barbiere: un mantellino di raso come Batman, una nuvoletta di talco della più celebre delle marche, una spolverata alla faccia -poco delicata ma data con professionale dedizione- e, tocco finale prima del congedo, due energiche pompate di acqua di Colonia, date come il verderame al vigneto.

Ricordo con simpatia il mio vecchio barbiere, non perché eccellesse per simpatia o servizio, credo solo perché in quel momento lui era il mio barbiere ed io il suo unico cliente.

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