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November 24, 2014
Sex and drugs and…Mozart
Lucia Munaro
Sì, sesso e droga e, invece del rock’n roll, la musica sublime di Mozart. L’idea provocatoria del regista di Graham Vick per il Don Giovanni di Wolfgang Amadeus Mozart che a Bolzano ha aperto la stagione della Fondazione Teatro Comunale, appare riuscita. Il dissoluto don Giovanni calato in un milieu contemporaneo ha convinto il pubblico e meritato gli applausi, calorosi nel finale.
Complici l’interpretazione per certi versi giocosa del cast, le ottime voci e le capacità attoriali dei due baritoni, Gezim Myshketa nel ruolo del protagonista e di Andrea Concetti in quello di Leporello, servitore e alter ego di Don Giovanni, in primis. Ma anche via via di tutti gli altri, da Giovanni Sebastiano Sala nei panni di Don Ottavio alla voce piena di Cristian Saitta, in quelli del Commendatore. Non da meno il cast femminile, sempre nella prima rappresentazione di sabato sera, ovvero Federica Lombardi (Donna Elvira), Valentina Mastrangelo (Donna Anna) e Alessia Nardin (Zerlina).
Dopo il rituale inchino agli interpreti, accompagnati dall’orchestra regionale Haydn diretta dal venezuelano José Luis Gomez-Rios, una riflessione merita sicuramente l’allestimento di Vick, che gioca sul contrasto tra la musica intramontabile di Mozart e il libretto altrettanto geniale di Lorenzo da Ponte da una parte, e dall’altra un’azzardata ambientazione del dramma giocoso nei nostri giorni. Sulla scena quindi limousine e discariche, container che diventano luoghi del delitto al posto di Settecentesche carrozze, parchi e palazzi.
Una trasposizione che fa riflettere sulla dissolutezza diffusa, la licenziosità attuale dei costumi, ma esalta anche una musica che continua a rimanere splendida a distanza di secoli e con certezza manterrà il suo incanto anche nei secoli a venire.
E restituisce comunque la psicologia sottile dei personaggi, la lieve satira dei comportamenti acquisiti, dei rapporti amorosi così come erano intesi al tempo, che traspaiono dal libretto.
A Vick riesce il gioco del difficile equilibrio tra il carattere giocoso e il soggetto drammatico dell’opera. A questo proposito le corone funebri dedicate al padre presenti fin dalla prima scena sul palcoscenico e che rimandano all’omicidio del Commendatore, padre di Donna Anna, da parte di Don Giovanni, sembrano avere un carattere simbolico, di essere lì a esprimere la perdita, o meglio la soppressione cruenta nella società contemporanea di una figura paterna, della sicurezza data da costumi consolidati e da una morale condivisa.
Tutto, come suggerisce una scena dell’opera, è ormai preda di telecamere e strumenti per riprendere e restituire della realtà immagini prive di una valenza morale, viviamo in un mondo disfatto e in perenne degrado, dove dopo il senso di colpa, sparisce via via anche il senso della vergogna, basti pensare alla cultura dilagante del selfie, che non si arresta neppure nel frangente di un’azione criminosa.
Altra intuizione di Vick, quella di far precipitare nel famoso finale l’impenitente Don Giovanni non negli inferi, come suggerisce la messa in scena tradizionale dell’opera, bensì in platea tra gli spettatori, quasi a dire forse che i dannati siamo noi.
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