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November 5, 2014

People I Know. Gabriele Muscolino e i Nachtcafé: “ci affidiamo al crowdfounding per far sopravvivere l’arte alla crisi”

Anna Quinz

Gabriele Muscolino è nato a Bolzano nel ’73 ma per metà arriva da altre montagne, quelle del Comelico (BL), zona di origine della famiglia materna. Fa l’insegnante d’italiano in una scuola tedesca e di questo lavoro parla come de “la mia esperienza professionale più complessa e ricca”. Prima si è occupato a lungo di libri antichi, prima ancora si è dedicato agli studi umanistici “sono un inattuale, nel senso che la mia formazione – racconta – non è oggi all’ultima moda”. Ma forse, più di tutto, Gabriele è un musicista. Motore e autore dei testi della band folk Nachtcafé, Gabriele appena può suona, canta, scrive. La band ha già pubblicato un disco, sta lavorando al prossimo e presto sarà anche al Teatro Stabile di Bolzano con una pièce di Michele Flaim, dedicata al drammaturgo Frank Wedekind. Gabriele ha studiato jazz, è da sempre innamorato della musica e della cultura popolare sulla quale ha scritto – da bravo umanista – anche contributi scientifici. Amante della montagna, profondo e riflessivo, Gabriele è uno di quegli uomini che riesce a trasmettere – con sguardo e voce – un naturale senso di serenità e calore. Dote preziosa per chiunque, ma sopratutto per chi, come lui, racconta storie ed emozioni attraverso la musica.

Gabriele, quando entra la musica nella tua vita?
Ho cantato e suonato fin da piccolo, ma è da adolescente che ho cominciato a dare un senso alla musica, come dici lei, “nella mia vita”. Mi piaceva la musica popolare: era una traccia di un passato rurale che, per fortuna, ho conosciuto nella montagna veneta, prima che scomparisse.

Genesi dei Nachtcafé?
Francesco Brazzo e io suoniamo insieme da oltre 20 anni. Quasi un matrimonio vecchio stampo… Un po’ alla volta, suonando irlandese, abbiamo voluto creare brani nostri, che avevamo voglia di scrivere, che riprendessero il folk. E 7-8 anni fa abbiamo trovato con i Nachtcafé (gli altri membri sono Marco Stagni, Matteo Facchin, Georg Malfertheiner e Pietro Berlanda) l’alchimia giusta, sia musicale che personale. I nostri compagni di viaggio sono bravi musicisti, creativi, intelligenti.

Come si fa, oggi a imporsi nel mercato musicale? Voi per chi e per cosa create la vostra musica?
Imporsi serve per vivere di musica. Il problema è che dovrebbero esserci più livelli economici, mentre quelli intermedi sono saltati. C’è una polarizzazione ricchi-poveri. Da un bel pezzo, diciamo dai tempi del primo best seller della modernità – il Werther di Goethe – non esiste arte senza mercato. E chi lo nega racconta bubbole. Quindi anche i Nachtcafé cercano di proporre la propria libertà artistica a delle nicchie di mercato. Un’equa remunerazione è il riconoscimento di una dignità artistica.

Per la produzione del nuovo album “Uomini e no”, vi affidate al finanziamento “dal basso”: il crowfounding. Le motivazioni di questa scelta? E più in generale, la tua visione sui “destini” della produzione musicale oggi?
Il crowdfunding è diventato l’unico modo per fare musica indipendente. Più che mai nell’Italia di oggi, con le sue miserie. Si evita la trafila delle case discografiche, perché una comunità di appassionati di musica diventa il produttore. Non è beneficienza: ciascuno dà il suo particolare contributo e riceve qualcosa in cambio. Quindi il crowdfunding è un segno di speranza nel fatto che l’arte possa sopravvivere alla crisi, è una forma di lotta contro la depressione e lo strapotere della cultura-spazzatura. Come poi si evolverà la produzione musicale lo sa il cielo. Certo, oggi il mercato è parcellizzato e le case discografiche pare verranno sostituite dai produttori di software musicale. E così come si allarga la forbice delle differenze economiche nella nostra società, anche nella musica ci sono sempre più proletari, veri mendicanti dell’arte, contrapposti a un numero sempre più piccolo di riccastri della musica commerciale. 

Presto sarete al Teatro Stabile, come vivete e vi preparate a questa esperienza, cosa presenterete?
Sì, sarà il 14 febbraio prossimo: un’alternativa valida alla festa di San Valentino… Scherzi a parte, si di  tratta di una pièce di Michele Flaim, dedicata al drammaturgo Frank Wedekind. Un autore strepitoso, ancora tutto da scoprire, con una vita appassionante. Io ho tradotto dal tedesco alcune sue canzoni, che sono state inserite nel testo. Ho cercato un buon compromesso tra fedeltà all’originale, resa in un buon italiano da canzone e rispetto della metrica. Poi, come Nachtcafé ci occupiamo di tutta la musica, che accompagnerà sul palcoscenico il bravo Peter Schorn nel ruolo di protagonista. A dirla tutta, apprezzo la presenza fisica della musica in scena, tanto quanto detesto l’uso di basi musicali nella drammaturgia. Non è la prima volta che lavoriamo per il teatro; ma questa sfida è più ambiziosa delle altre, perché tradurremo il testo in tedesco per portarlo in giro a sud quanto a nord.

1Torniamo a parlare di te. Cosa significa per te scrivere testi di canzoni? 
Scrivere versi per musica mi sembra come distillare in formule i propri pensieri migliori. Cioè i pensieri alla cui verità credi maggiormente. Se l’ispirazione è una lettura (personalmente sono un ‘consumatore’ di classici), posso svilupparne uno spunto; oppure voglio divulgarne in musica il concetto, così com’è, per esempio trasformando in versi un passaggio in prosa; o ancora fare un omaggio ad un autore che amo, con una citazione. Se l’ispirazione è invece l’esperienza personale, è meglio essere più prudenti: diciamo che mi “autocito” con un filo di ironia. Come se fossi pronto a rimangiarmi quel che ho detto. Invece coi classici ti puoi prendere sul serio. Perché tanto loro ti coprono le spalle.

Quale differenza tra il suonare musica di altri e la propria?
Scrivere canzoni proprie è un bisogno: di espressione, di autorealizzazione. Per me la musica degli altri è stata una palestra di composizione. Volevo emulare, cioè fare qualcosa di mio, come loro. Ho imparato e continuo a imparare come creare le strutture – strofe, ritornelli ecc. -, le melodie, i passaggi armonici e così via. Come abbinarli alle sillabe. Perciò è evidente che io apprezzi di più chi compone. Direi che anche pubblico e gestori della cultura dovrebbero pensarla allo stesso modo. Ma così faccio uno spot a me stesso, e non è molto elegante.

A parte la musica, cosa ama Gabriele?
Ho una mia ricerca personale, se vuoi spirituale. Perciò amo tutte le cose che in questa e di questa ricerca vivono: la natura, lo yoga, la lettura, le arti, la mia compagna, il mio lavoro e la buona cucina. Quest’ultima non ti tradisce mai.

Hai un particolare legame con la montagna. Cosa rappresenta per te, quella altoatesina e quella del Comelico? Conoscendo bene queste due aree, che differenze vedi?
A me come ad altri, la montagna risveglia la parte selvatica, primitiva – “urig” si dice così bene in tedesco. E anche una sana solitudine. Da questo punto di vista è una gran fortuna vivere a Bolzano. Tra Alto Adige e Comelico ci sono forti differenze, che potrei chiarire solo con delle generalizzazioni: ricchezza contro povertà; senso della comunità contro autolesionismo; e a livello di sentimento collettivo, supponenza e senso di sazietà contro invidia e rabbia, o sofisticazione contro autenticità. Eppure la radice culturale delle due terre è la stessa, sono sorelle che parlano lingue diverse. Un comeliano assomiglia a un tirolese molto più che a un milanese, e un tirolese assomiglia a un comeliano molto più che a un viennese. Che verità insopportabile, eh?

Per contribuire anche voi al crowdfounding andate  qui 
Per il sito della band, qui 
per vedere i video del making of del disco “Uomini e no”, il posto è questo e questo 

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