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October 13, 2014

People I Know. Armin Barducci:
disegno ergo sum

Anna Quinz

Armin Barducci, bolzanino classe ’76, è una specie di gigante buono con la matita in mano.  La sua statura imponente rivela infatti, già al primo sguardo tutta l’ironia e la delicatezza che si celano dentro a quel grande corpo. Liceo artistico e poi Accademia di Belle Arti di Bologna, Armin ha iniziato a lavorare nel settore del fumetto e dell’illustrazione a soli 17 anni pubblicando vignette ecologiche su quotidiani locali. Durante gli studi ha collaborato con piccole riviste e pubblicato il suo primo fumetto. Dopo gli studi ha fondato (assieme a Hannes Pasqualini, Marco Polenta, Matteo Cuccato e Mara Mauro) il progetto autoprodotto Monipodio!. Negli stessi anni ha iniziato a insegnare fumetto in un corso serale. Ora Armin ha all’attivo circa 20 corsi/laboratori di fumetto (per qualunque età) all’anno, lavora come operatore al centro giovani Charlie Brown (tramite il quale co-organizza il festival di fumetto e musica Artmaysound), coordina gli Sketch Crawlers Bolzano per delle sessioni di disegno dal vivo e si lancia – come racconta lui stesso – in ogni iniziativa che lo stimoli. Dal teatro allo storytelling, dai laboratori sperimentali ai corsi di disegno con carcerati. Attualmente sta progettando un paio di nuovi libri, mentre l’ultimo, “Misantromorfino”, edito da Eris Edizioni, è in stampa e verrà presentato alla fiera Lucca comics & games. Disegnare, dunque, in ogni modo possibile, come lavoro a tempo pienissimo, e come personale espressione di sé. Perché se uno la matita (in senso letterale o virtuale, visto che ormai Armin disegna con ogni mezzo possibile, digitale o analogico che sia) ce l’ha come prolungamento di se stesso, separarsene è davvero impossibile.

8Armin, quando hai preso per la prima volta una matita in mano? Quando hai capito che quella sarebbe stata la tua vita?

Non ricordo quando ho preso in mano la mia prima matita, ma ricordo bene quando ho deciso che il mio futuro sarebbe stato quello di fare ciò che sto facendo (o almeno la cosa più vicina a quello che avrei voluto fare, dato che il sogno di bambino è splendidamente ingenuo). Era il gennaio del 1990 e ho deciso che volevo fare il fumettista. Da lì in poi ho fatto un disegno al giorno per 5 anni di fila. Giusto per allenarmi. Poi i disegni sono diventati 2 e ora navigo a 6-7 al giorno. Belli, brutti, veloci, veri, tavole intere, schizzi col gesso per terra… qualunque cosa.6Cosa significa per te disegnare? Come definiresti il tuo stile?

Disegnare è la mia vita. Lo stile invece non esiste. Ne ho 4-5 diversi. Tutti collaudati, tarati e codificati. A volte si mischiano tra loro, a volte si evolvono in qualcosa di nuovo. Non sono mai stato “fermo”. Mi piace dilettarmi in discipline diverse, capire come funzionano le cose. Mi piace il fatto di essere una persona curiosa. Tu dimmi cosa devo affrontare, e io trovo il modo stilisticamente migliore per affrontarla.9Lavori molto con i ragazzi. Il disegno può ancora essere un medium espressivo importante per raccontarsi?

Per i bambini disegnare è fondamentale. Per i ragazzi anche. Si tratta di un mezzo che ha bisogno di tanta disciplina e applicazione. Di pazienza e costanza. Tutte caratteristiche che cozzano parecchio con l’evoluzione della comunicazione lampo odierna. Bisogna fare un passo indietro, fidarsi dei consigli della nonna, cioè nelle discipline più vecchie, per poter affrontare un quotidiano fin troppo veloce e caotico. Bisogna imparare e insegnare a fidarsi.

7L’esperienza in carcere invece, com’è andata?

Quando sono entrato in carcere la prima volta, lo ammetto, ero molto “concentrato” e non capivo scherzi e battute. Mai come quella volta, mi hanno fatto battute a raffica. Tutti quanti, sia guardie che carcerati. Già dalla seconda volta sono stato emotivamente vuoto, il miglior modo per lavorare in questo posto. Sii vuoto, senza giudizi, non sta a te darli. Sei lì per disegnare, far disegnare, conversare e ascoltare storie di persone comuni che hanno fatto qualcosa di non comune e per questo sono lì. Nel mio corso si può fare un po’ di tutto, dipingere o disegnare, apprendere o sfogarsi tramite il disegno, ma soprattutto si parla. Si parla tantissimo, si raccontano storie sui paesi di origine, sulle visioni culturali, sui viaggi, sul futuro. Un vantaggio è che l’aula nella quale tengo i corsi, è tappezzata di vecchie cartine geografiche. Qui la mente vaga spesso oltre le sbarre, nell’immaginarsi il futuro, alla ricerca di casa (Heimat, ovunque essa sia). I detenuti in sé sono persone molto gentili e stringono sempre la mano. Salutano e chiedono come va. Cose che “fuori” capitano di rado. Non so che pensano loro del corso. Sanno che possono stare bene ed è quello che ricordano. Poi ricordano che magari qualche nozione di disegno l’hanno assimilata e che da lì in poi potranno “far passare il tempo” con un mezzo in più. 

4Se potessi disegnare l’Alto Adige dei tuoi sogni, sarebbe….

Un camion fermo che finalmente viene caricato di nuovo. 

Potendo invece avere una gomma magica, cancelleresti…

Il dover essere legati al tempo, alle ore ai minuti. 

5

http://diariodeformato.blogspot.it/

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