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July 28, 2014

Drodesera 2014 – SKILLBUILDING:
skill 4 – “fashion design”

Guido Musante
Un selfie può giustificare un'esistenza? Nell'ambito del premio “Live Works Vol.2 - performance act award”, lunedì 28 luglio Dennis Vanderbroeck presenta "This selfie should justify my existence", opera d'intersezione tra il fashion design e l'azione performativa.

Nel ricco palinsesto proposto da SKILLBUILDING, edizione 2014 del festival di arti performative Drodesera a Centrale Fies, un ruolo centrale è riservato ai protagonisti del premio “Live Works Vol.2 – performance act award”. Le opere dei nove artisti finalisti, in residenza a Fies dal 9 all’11 luglio, saranno proposte al pubblico in tre serate d’eccellenza: lunedì 28, martedì 29 e mercoledì 30. Una rosa di rilievo, composta da otto giurati provenienti da diversi ambiti artistici e culturali (Giorgio Agamben, Antonio Marras, Jiri Kovanda, Daniel Blanga Gubbay, Cristiano Seganfreddo, Barbara Boninsegna, Simone Frangi, Denis Isaia) assegnerà un ulteriore periodo di lavoro e un premio per la produzione a uno dei nove performer selezionati in questa edizione: Cian Donnelly (IE), Corinne Mazzoli (IT), Curt Steckel (USA), David Bernstein (USA-NL), Feiko Beckers (NL), Jacopo Miliani (IT), Julie Béna (FR), Riccardo Giacconi (IT), Dennis Vanderbroeck (NL).

Il lavoro di quest’ultimo artista, This selfie should justify my existence, programmato per la visione al pubblico lunedì 28 (h 20.30 – sala comando) offre come personale Skill di apporto al progetto SKILLBUILDING un’originale  . Attivo sulla scena londinese, Vanderbroeck concepisce progetti artistici connotati da un approccio spontaneo e quasi infantile, un insieme originale di divertimento partecipato e d’arguzia concettuale, capace di produrre immagini di forte impatto estetico, che comunicano con il pubblico attraverso associazioni e intuizioni spontanee. Nelle opere di Vanderbroeck si fondono elementi di moda, arte e performance, comunicati attraverso l’uso di video, fotografie e performance dal vivo. Le diverse forme espressive che costituiscono le sue principali aree di lavoro tuttavia sono “altro” rispetto alla loro natura originaria, essendo forzate per armonizzarsi in un unica azione performativa. E così, la fotografia risulta funzionale alla registrazione degli happening, i vestiti non sono moda, ma piuttosto sculture dinamiche da mettere in scena, mentre i video costituiscono non un’opera a sé stante, ma la necessaria operazione di registrazione, reiterazione e catalogazione degli spettacoli.Drodesera-Dennis Vanderbroeck-2

La pratica artistica di Vanderbroeck si fonda sulla ricerca dell’equilibrio tra due diverse condizioni concettuali e operative. Da un lato emerge una costante attenzione al valore estetico dell’ansamble proposto – o “hiper estetico”, come Vanderbroeck lo definisce –, e quindi alla costruzione coerente del cosiddetto linguaggio visivo delle performance. Dall’altro lato nel lavoro dell’artista olandese è costantemente presente un forte elemento di tematizzazione concettuale, in costante divenire. Questo strato tematico su cui si costruisce l’arte di Vanderbroeck evolve e si costruisce di volta in volta, di opera in opera, mettendo in atto una sofisticata operazione di rappresentazione della complessità dell’identità. In questo approccio artistico è forte la ricerca del paradosso, o della dimostrazione per assurdo, in cui ciascun concetto o elemento espressivo si fa portatore di un significato simmetricamente opposto. E così, per esempio, il visibile comunica l’invisibile, così come il temporaneo allude al definitivo, la casualità alla determinazione.

Pur con molte differenze nei ritmi, nelle modalità di costruzione dei significati e nei codici estetici trasmessi, il lavoro di Vanderbroeck può rinviare alle azioni visionarie e coinvolgenti di Hélio Oiticica. I vestiti-scultura in movimento, le Parangolés, costruiti  dall’artista brasiliano dell’environmental art costituivano forme di costruzione dello spazio e della società, elementi di pianificazione di una città ideale dell’inconscio e della libera e intuitiva espressività del corpo e dello spirito. Allo stesso modo i ‘vestiti’ del giovane artista olandese sono dei medium che puntano a esplicitare i fondamenti per una nuova condizione di reciproca interrelazione umana. Esiste tuttavia uno iato fondamentale tra i due. Se l’arte di Oiticica trovava naturale forma di vita ed espressione all’esterno, quella di Vanderbroeck idealmente si proietta all’interno: l’interno della ‘sfilata’ o del “servizio fotografico”, ma anche l’interno dell’individuo, che si rivela coprendosi, e si cela mostrandosi.    

Tema centrale tra i molti che si inseguono nelle performance di Vanderbroeck è infatti l’esposizione della vulnerabilità dell’individuo attraverso il rivestimento e l’isolamento prodotto dagli “abiti”, e allo stesso tempo l’azione di protezione delle individualità attraverso l’atto di svestizione che mostra e rivela. In questo senso il mondo di immagini e rappresentazione costruito dall’artista si pone come un “universo-voyeur” che osserva e si muove (in maniera calibrata) tra i due mondi. Non a caso Vanderbroeck considera lo spettatore il punto di partenza e insieme il punto d’arrivo di tutte le sue performance: “credo spesso che il mio lavoro non esista fino al momento in cui non viene osservato”. SKILLBUILDING ci chiama dunque tutti a raccolta per osservare, lasciando che l’arte si riveli e lo spirito si vesta di una nuova sostanza vitale.

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