Music

July 25, 2014

I Controfase ci presentano “Conflitti”: “Oltre a Noto-Sakamoto per afferrare la sostanza”

Marco Bassetti
Solo piano ed elettronica per il nuovo album dei Controfase, “Conflitti”. Un album di ricerca, oscuro, denso e stratificato, che cerca di dire senza le parole quello che, con un fiume di parole, il precedente “Rispettabili criminali criminali e comuni mortali” aveva detto in maniera forte e chiara. Ne abbiamo parlato con i due autori, Andrea Beggio ed Emanuele Zottino.

Incontro i due Controfase Andrea Beggio ed Emanuele Zottino in un bar del centro. Ho in mano il loro nuovo cd, da poco uscito per l’etichetta bolzanina LaGrind Noire. Un album tutto strumentale, solo piano ed elettronica: non nascondo loro il mio stupore. Anzi, lo sfrutto come leva per provare a scoperchiare il mondo – apparentemente impenetrabile, sicuramente affascinante – allestito dai due compositori altoatesini con questo loro nuovo lavoro. Ecco allora che nel corso della chiacchierata ci s’inoltra in una fitta rete di rimandi e suggestioni, in una luminosa costellazione in cui Morton Feldman dialoga con Kandinsky, la dodecafonia scientifica dell’ultimo Stravinskij s’intreccia con il minimalismo degli anni Sessanta e l’algida sperimentazione piano-elettronica di Alva Noto-Ryuichi Sakamoto viene spudoratamente superata a sinistra.

Frutto di un organico ristretto – Emanuele Zottino al piano e Andrea Beggio all’elettronica, con Marco Ober nel ruolo cruciale di ingegnere del suono – rispetto ad un album debordante quale era stato “Rispettabili criminali criminali e comuni mortali”, “Conflitti” sorprende – pur nella complessità del suo progetto estetico – per compattezza, asciuttezza e chiarezza d’idee. Nella totale assenza di parole e appigli semantici stabili – al di là di qualche suono concreto e di qualche titolo sibillino – a dominare è il suono nella sua vischiosa e cangiante corporeità, articolato in una molteplicità di linguaggi e situazioni davvero spaesante. All’ascoltatore, gettato in un vasto oceano di sensazioni, il compito di individuare una rotta: non senza fatica, non senza soddisfazione.

“Mi piace pensare – ha confidato Emanuele Zottino in un lampo di consapevolezza riguardo alla propria ricerca poetica – che si possa essere molto più radicali tirandosi indietro, oppure esagerando su certi parametri che non hanno a che fare con la tecnica esecutiva o la complessità compositiva, come i silenzi, le durate, la rarefazione, l’armonia, il timbro”.

Da un album molto “parlato” (“Rispettabili criminali e comuni mortali” , 2012), colmo di parole e denso di significati, siete giunti ad un album di sola musica strumentale (“Conflitti”, 2014). Come si è sviluppata questa idea?

A. B. “Rispettabili criminali e comuni mortali” nasceva da un testo di Luciano Gallino e si sviluppava tutto intorno alla voce di Pietro Frigato. Qui invece abbiamo lavorato solo con piano ed elettronica. Sia io che Emanuele avevamo alcuni pezzi nel cassetto e così abbiamo deciso di confrontarci a viso aperto a partire da queste composizioni, solo io e lui: a livello esecutivo lui si è occupato della parte pianistica ed io della parte elettronica.

E. Z. “Dimensioni”, il pezzo che chiude l’album, è stato il primo esperimento di collaborazione tra me ed Andrea. Stiamo parlando del 2004, tutto il progetto Controfase nasce da lì. Dopo quella prima collaborazione abbiamo esteso il nostro organico a tre componenti con l’entrata di Barbara Schindler all’arpa, poi abbiamo conosciuto Pietro Frigato e i testi sono diventati parte fondamentale del lavoro “Rispettabili criminali e comuni mortali”. Con questo nuovo lavoro, “Conflitti”, l’idea di tornare a spogliare l’organico non è stata programmata a tavolino, è stata piuttosto istintiva: abbiamo sentito l’esigenza di tornare a qualcosa di più cristallino. Del resto questo filone sperimentale che va da John Cage a Morton Feldman ai Pan Sonic ce l’abbiamo nel dna, quindi ci siamo detti: “facciamo un lavoro compiuto su questa nostra ricerca che ci vede coinvolti, in modo alternato, da dieci anni a questa parte”.

L’impressione è che, anche senza le parole, “Conflitti” si presenti comunque come un lavoro politico. Cosa ne pensate?

A. B. Questo è un aspetto molto importante per noi. Provare a dire qualcosa, anche solo impiegando due strumenti, è per noi fondamentale. Possiamo dire che in qualche modo le intenzioni espresse in maniera diretta in “Rispettabili criminali e comuni mortali” rimangono anche nei pezzi strumentali.

E. Z. La sfida è stata proprio questa: riuscire a dire senza le parole quello he con “Rispettabili criminali” abbiamo detto in modo molto chiaro con le parole. In questa ricerca abbiamo dedicato tutto il nostro impegno… Anche perché tutti i pezzi che conosciamo per pianoforte ed elettronica, ad esclusione di quelli storici degli anni ’50 e ’60, quelli ad esempio del duo Alva Noto-Ryuichi Sakamoto ci lasciano in qualche modo insoddisfatti. Mi spiego: si tratta di due grandissimi compositori e mi piace tantissimo il loro suono, ma sento la mancanza da parte loro di una sostanza forte. Ecco, nel nostro modo di comporre e suonare, la ricerca è sulla sostanza delle cose.

In che modo allora “Conflitti” prova ad “afferrare la sostanza”?

E. Z. Mi sono accorto, ad esempio, che i miei pezzi – a differenza di quelli di Andrea – hanno sempre la tonalità, quindi qualcosa di melodico, e il suo contrario, che provano a mettersi d’accordo: a volte ci riescono e a volte no. Siamo sempre stati interessati ad esplorare entrambi i linguaggi, quello melodico e quello più astratto: questa volta abbiamo lavorato su queste due modalità espressive, magari anche in maniera spregiudicata, per esplorare tensioni e sensazioni legate al “conflitto”.

A. B. Da questo punto di vista è importante è anche l’aspetto extramusicale. Invece di nominare semplicemente i pezzi con dei numeri, abbiamo scelto di attraccare delle etichette ai pezzi per dare delle indicazioni per l’ascolto: tra i concetti espressi dai titoli e i contenuti dei pezzi si creano delle tensioni, pensiamo, interessanti. Questo ci può forse esporre a critiche di “intellettualismo”, ma per noi era fondamentale legare la musica a dei valori.Controfase-Conflitti

“Conflitti” si compone di sei tracce, tre composte firmate Beggio e tre firmate Zottino. Ripercorriamole una ad una, facendo commentare a ciascuno i pezzi composti dall’altro. Partiamo da “Crisi” di Andrea Beggio.

E. Z. “Crisi”, con la presenza di suoni concreti di angoscia, è il pezzo più “splatter” dell’album. Il suono più forte, quello che scandisce un po’ il ritmo di tutto il pezzo, è quello di un respiratore artificiale. È come se il pezzo ti catapultasse in una sala operatoria e tu sentissi tutto dal punto di vista del “paziente”. Questo crea ansia e il ritmo asimmetrico contribuisce ad accentuare ulteriormente questa sensazione. Anche la parte pianistica, sviluppandosi attorno a grappoli di note che cadono a cascata improvvisi e inaspettati, entra in questo gioco creando inquietudine. È un pezzo molto concreto, fisico, viscerale. Un pezzo che a livello timbrico risulta molto fitto.

“Nebbie” di Emanuele Zottino.

A. B. “Nebbie” è un pezzo pieno di silenzio. Tutto ruota attorno ad una serie di accordi di pianoforte, provenienti da tonalità diverse, per questo è un pezzo che continua a cambiare di colore. È come provare una serie di sensazioni osservando un oggetto fluido o aeriforme che si muove. È come osservare la nebbia, appunto, che si concentra e si dirada. Anche l’elettronica è molto sospesa, rarefatta, fantasma.

“Antitesi” di Andrea Beggio.

E. Z. “Antitesi” è il pezzo più radicale, perché ha la scrittura più limpida di tutti. È una specie di “Bolero” di Ravel in cui il crescendo si basa su un’unica serie dodecafonica monodica, con l’indice del pianista che viene abbassato ogni tanto. È un crescendo di riverbero che deriva dalle note del piano. È come l’alone del pianoforte che piano piano, gradualmente ma in modo inesorabile, si prende tutto lo spazio fino a mangiarsi le note stesse: alla fine c’è, infatti, più riverbero che suono naturale. Tutto questo crea una tensione crescente e continua di circa quindici minuti. Se nel “Bolero” vince l’estasi, in “Antitesi” vince l’inquietudine… Come fosse il rallenty del rallenty del rallenty della scena più insostenibile di un film horror in cui sai che sta per succedere qualcosa e non puoi farci niente per impedirlo. Penso sia anche un omaggio a certa musica minimal degli anni Sessanta che lavorava molto sul massaggio cerebrale, sul portare chi suona e chi ascolta ad uno stato d’ipnosi. Mi piace poi molto che questo pezzo sia dodecafonico, dal momento che la dodecafonia da un punto di vista storico – togliendo la parentesi di Stravinsky – è stato il linguaggio della complessità: nel caso di “Antitesi” siamo, invece, nel minimal oltre il minimal.

“Codici” di Emanuele Zottino.

A. B. “Codici” è stato pensato per dodici pianoforti, poi è stato trascritto per sei perché per dodici pianoforti non avrebbe possibilità di essere eseguito. Quello che si sente nel cd è il pezzo per dodici pianoforti, dove è sempre Emanuele a suonare le dodici linee. È come se queste linee andassero a comporre un tappeto, ma solo quando si sentono tutte le linee sovrapposte si riesce a vedere il tappeto nel suo complesso. Si tratta di dodici linee monodiche con tempo aleatorio sviluppate a partire da una partitura grafica fatta di cerchi, come se fosse una composizione di Kandinsky. In questo modo le note s’incastrano in modo approssimativo e appare tutto molto vivo. Per come è stato sviluppato uno si aspetterebbe un minestrone, invece armonicamente presenta delle zone interessanti che tengono vivo l’ascolto per dodici minuti. Come poetica, il pezzo è una specie di “iper-Feldman”.

Essendo “Codici” tra i pezzi più complessi del disco, chiediamo ad Emanuele una replica. Allora quali sono i codici per aprire questo pezzo?

E. Z. È come se dietro al pezzo ci fosse un linguaggio oscuro, criptato. Il linguaggio è composto da tre accordi minori: la minore – do diesis minore – fa minore. Essendo equidistanti, questi tre accordi sono interscambiabili, il rapporto tra loro è neutro. Questo crea una sorta di magma indistinto, senza un orientamento, come un organismo che vive di vita propria, seguendo i propri codici. In pezzo non segue nessuna logica propriamente intesa, nessuna successione temporale, la partitura è puramente pittorica, assolutamente istintiva.

Arriviamo a “Interferenze” di Andrea Beggio. 

E. Z. Se “Crisi” è splatter, “Interferenze” è punk. Qui abbiamo sentito la necessità di aggiungere molta distorsione, per avere calore, ruvidezza, quel carattere sporco che è proprio del rock. È un pezzo che scivola gradualmente verso questa dimensione, si scalda piano piano. Però è anche il pezzo che io capisco meno dal punto di vista della struttura.

Chiediamo ragguagli ad Andrea.

A. B. La prima parta si muove attorno ad una progressione di accordi, però ad ogni accordo è stata appiccicata una nota che non c’entra niente. La progressione ti dà la direzione, i singoli accordi s’impongono per la loro asprezza. Nella seconda parte del brano s’inseriscono particolari rielaborazioni del piano e la distorsione prende il sopravvento. È una progressione senza fine, una spirale continua.

Concludiamo con “Dimensioni” di Emanuele Zottino.

A. B. “Dimensioni” è, come detto, un pezzo storico. Qui la parte elettronica prova a dialogare con il pianoforte. Inizialmente la parte di pianoforte accosta tonalità maggiore e minore, come quando si sovrappongono due colori che non stanno bene insieme, e verso la fine il pezzo si avvia verso una distensione con un riposo di una delle due tonalità. Per quanto riguarda l’elettronica si avverte una sorta di beat, molto irregolare, non certo un battito in 4/4: si tratta di glitch, ovvero di suoni prodotti tagliando file audio. Quel millisecondo di noise conferisce al pezzo una particolare sensazione ritmica. Da un certo punto di vista “Dimensioni” è il pezzo più classico, forse il pezzo più orecchiabile. Ci sembrava il pezzo più giusto per chiudere l’album.

La nostra esplorazione dell’album è conclusa. Come concludiamo l’intervista?

A. B. Ricordando il ruolo del fonico, assolutamente fondamentale in tutte le cose che facciamo.  Marco Ober è a tutti gli effetti parte del gruppo e il suono è roba sua. Anche in sede di registrazione il contributo di Marco è stato essenziale: ha registrato anche la sala, tutto con riverbero naturale. 

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